Oggi, nella Chiesa di Santa Apollonia, alle ore 20, decimo appuntamento del Festival di Musica da Camera del Conservatorio Giuseppe Martucci
Di Olga Chieffi
Questa sera, nella Chiesa di Santa Apollonia alle ore 20, decimo appuntamento in cartellone della IV edizione del Festival di Musica da Camera, promosso dal Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” di Salerno e ideato dalle docenti del dipartimento di musica da camera Anna Bellagamba e Francesca Taviani. La serata dedicata ai grandi rappresentanti del romanticismo tedesco, principierà con il Trio in Re Minore op.49 composto da Felix Mendelssohn –Bartholdy nel 1840, proposto da Aleandro Giuseppe Libano al pianoforte, Jacopo Minelli al violino e Francesca Giglio al violoncello. Quest’opera è simbolo dell’arte della sfumatura, del colore L’arte delle sfumature possedendo una fisionomia variegata e complessa. Il primo movimento, Molto allegro ed agitato, è pervaso da un pathos che predilige le tinte fosche, ma senza il tono da diario intimo di tanta musica romantica: c’è più atmosfera che confessione sentimentale. L’Andante con moto tranquillo comincia invece con un assolo che sembra uscito dalle Romanze senza parole. Il tono colloquiale e naïf, lontano da ogni eccesso passionale, è deliziosamente ben educato: da giovane, Mendelssohn stesso aveva ironizzato sulla sua tendenza a scrivere movimenti lenti fin troppo pieni di buone maniere, definendoli «musica del giusto mezzo». Lo Scherzo è un moto perpetuo, una successione continua di note regolari e velocissime. Questa tecnica, che può esaurirsi in uno scintillante virtuosismo, è qui ravvivata dal frequente accavallarsi di incisi ritmici irregolari, che rendono il brano al tempo stesso cerebrale e brillante. Il Finale presenta un delicato equilibrio fra atteggiamenti diversi: il drammatico convive col giocoso, il pathos con l’eleganza salottiera. Seguirà Der Hirt dem Felsen, composto da Franz Schubert, eseguito dal soprano Colette Manciero, con Francesco Pio Ferrentino al clarinetto e Rossella Giordano al pianoforte. E’ limitativo usare il termine lied per quest’opera. “Il pastore sulla rupe” è un esperimento isolato di Lied con accompagnamento di pianoforte e clarinetto, che Schubert fece nel 1828, l’anno della morte, su commissione di Anna Milder-Hauptmann, cantante allora famosissima e generosa. Il Lied, l’ultimo che Schubert ha composto, è una graziosa descrizione imitativa del canto di un pastore che si accompagna col suo flauto e degli echi della natura circostante. Si continuerà con il mezzosoprano Michela Rago, il clarinettista Francesco Pio Ferrentino e Carmine Rosolia al pianoforte, che eseguiranno Zwi Gesange op.91 di Johannes Brahms. Gli Zwei geistliche appartengono alla maturità produttiva di Johannes Brahms; furono completati nel 1884, sebbene Geistliches Wiegenlied risalisse al settembre 1864. Lo stile liederistico di Brahms prende le mosse dal Volkslied tedesco, in linea con la riscoperta e l’elaborazione del canto popolare tipica dell’estetica Romantica, votata a rivalutare le tradizioni del folclore locale. Il costante equilibrio strutturale lascia ampio spazio a un’accorata e profonda espressione del sentimento, in linea con la costante oscillazione della personalità artistica di Brahms tra ordine classico e sentimento Romantico. Gestille Sehnsucht è un dolce e malinconico Adagio espressivo su versi di Friedrich Rückert. Finale con il debutto del coro diretto da Maria Cristina Galasso, con Anna Brancaccio, Carla Jaci,
Valentina Ginestous, Elisabetta Vilni, soprani Giovanna Bruno, Caterina Russo, Mariantonella Stanzione, contralti, Giovanni Germano, Daniele Lettieri, Giuseppe Malafronte, tenori, Giampaolo Capuano, Rocco Paolillo, Aldo Roberto Pessolano, bassi, Carmine Mandia, fisarmonica, Francesco Saggiomo, pianoforte, che eseguirà Dirait on da Le Chansons de roses di Morten Lauridsen, il cui fascino è dovuto ad una grande proprietà di linguaggio tecnico compositivo e ad una profonda conoscenza dello “strumento” coro, e la celebre Ave Maria di Astor Piazzolla in realtà il brano “Tanti anni prima”, tratto dalla colonna sonora del film “Enrico IV” di Marco Bellocchio, un’ elegia d’infinita espressività.