Teatro Verdi sold-out per il musicista sostenuto dall’Orchestra di Sofia, in una serata evento firmata dalla Caffè Motta e dall’Associazione Sergej Rachmaninov
Di OLGA CHIEFFI
Emilio Aversano è riuscito in una particolarissima impresa, qui a Salerno, riempire il massimo cittadino per un concerto, ove nelle stagioni sinfonico-cameristiche non era riuscito nemmeno a stelle del gotha della tastiera quali Angela Hewitt o Grigorij Lipmanovic Sokolov , tanto da costringere la direzione artistica del teatro a cambiare target di pubblico riguardo il pur validissimo cartellone concertistico, aprendo le porte alle scolaresche partecipi di eccellenti performances in cambio di un insignificante obolo. Quale sarà il segreto di Emilio Aversano, che è parte di una schiera di validi pianisti nostri concittadini, tra cui ricordiamo Costantino Catena endorcer Yamaha, unitamente a Paolo Francese, di stanza tra Toscana e Germania, Salvatore Giannella, il quale stasera eseguirà il doppio concerto in Re Minore di Felix Mendelssohn, con il violinista Mario Dell’Angelo e l’orchestra da camera del Conservatorio, Lucio Grimaldi, o lo stesso Matteo Napoli, da anni in Nuova Zelanda? Acclamato dalle riviste, protagonista al Musikverein di Vienna dove, unitamente alla sua infaticabile tastiera, Emilio Aversano ha portato le eccellenze del nostro Sud, tra cui i profumi mediterranei del famoso Vecchio Amaro del Capo, che ha felicemente “ubriacato” di erbe e note la capitale austriaca, il pianista è ritornato nella sua Salerno, dal suo pubblico, per un evento ad hoc, sul palcoscenico caro a tutti gli artisti della nostra città, creato dalla sinergia dell’Associazione Sergej Rachmaninov, che ospita con i suoi cartelloni lirici estivi le orchestre dell’Est e uno sponsor prestigioso quale la Caffè Motta, che ha dato modo a quanti erano stati raggiunti dall’eco mediatico del musicista, d’incontrarlo nel salotto della propria città, con biglietti che spaziavano tra i 10 euro del loggione, raddoppiati per la platea. Emilio Aversano, sostenuto dalla Sofia Festival Orchestra, diretta dal gallese Jonathan Mann, ha eseguito due concerti amatissimi della letteratura pianistica, il concerto K488 in La di Wolfgang Amadeus Mozart e il I di Pyotr Tcaikovsky op.23. Sua Maestà il pianoforte con una coppia autorale di questo calibro può davvero tutto: se l’impatto visivo del maratoneta della tastiera è veramente carismatico, capigliatura romantica, dolci modi, inchino senza affettazione, frac perfetto, le due partiture sono state piegate, stravolte alla sua naturale filosofica inclinazione, alla ricerca del colore, della nuance, anche attraverso un uso frenetico e inusitato del pedale, come la presa del cane da caccia che stordisce l’uccello senza ucciderlo, alla ricerca di un impercettibile vibrato, un approccio, in particolare nel trascinante gioiello ciaikovskiano, stemperato e vagamente ipnotico. Lettura e interpretazione personalissima dei due concerti che nell’Adagio mozartiano, non è affatto sfociata nella lucidità disperata dell’autore che guarda già all’oltre, così come l’ esecuzione “improvvisata” in entrambe le partiture, forse per la concertazione incolore del giovane direttore Jonathan Mann e le minime prove, di non poche misure, è riuscita, ad un certo uditorio, contraddittoria e non abbastanza coraggiosa. Finale da concerto di Capodanno con il Bel Danubio Blu e l’attesissima Radetzky March, per un programma che, nella prima parte, con il Preludio al I atto della Traviata di Giuseppe Verdi ha messo in luce gli archi dell’Orchestra Bulgara. Applausi per tutti ed evocazione del più famoso dei Notturni di Fryderyk Chopin, da parte dell’assoluto protagonista della serata.