Trionfo assoluto per Lina Wertmuller e Daniel Ezralow nel Macbeth salernitano e per tutti i ruoli maschili. Daniel Oren scende a compromessi con una massa orchestrale non perfetta. Le repliche vedranno la direzione di Carmine Pinto
Di OLGA CHIEFFI
Clima da grande evento lunedì sera in un teatro Verdi, esaurito in ogni ordine di palchi, per la prima del Macbeth, che ha visto riunite nel massimo salernitano tre amati nomi del mondo dello spettacolo e dell’arte, Lina Wertmuller, Daniel Ezralow e Daniel Oren. Se i primi due hanno centrato regia e coreografia, Oren, crediamo abbia dovuto scendere a decisi compromessi con la composizione delle masse orchestrali, poiché, come non mai, si sono avvertite in sala diversi sbandamenti tra buca e palcoscenico, indecisioni degli ottoni, intonazione ondivaga dei legni nella scena del sonnambulismo e degli stessi violini, in diversi punti dell’opera. Problemi di orchestrazione o superficialità d’intenti dettata, forse, dalla direzione da parte di Oren unicamente della prima rappresentazione, hanno allontanato ancor più quelle scelte che alla vigilia della ripresa autunnale della stagione lirica del 2008, portarono alla epurazione di ben quattordici musicisti tra violini, viole, contrabbasso, unitamente alla prima tromba, unitamente alla “declassazione” del primo oboe. Dopo otto anni Oren pare “sopportare” suoni non certo consoni ad un’orchestra e ad un teatro, a detta dei media, così prestigioso. Un’opera lirica non ha solo bisogno unicamente di regia e coreografie, ma di buoni cantanti e dei suoni “giusti”, degli archi, dei corni, della sezione trombe, che guida su tutti gli ottoni, dei clarinetti, del corno inglese, “scoperti” in quest’opera, del coro, solo così si ottiene quella magia che in Verdi e, in particolare, nel Macbeth è così difficile da raggiungere. Daniel Oren lascia orchestrare i suoi seguaci, quindi, sbarca in teatro per la generale e pretende di offrire al pubblico, giustamente, la sua idea di opera. Il direttore ha impresso alla partitura quella generosità di temperamento che è sua prerogativa, sospingendo l’opera verso parossismi d’espressionistico delirio, non così improbabili, come date e circostanze storiche potrebbero far ritenere. Quando è riuscito a tenere tutto sotto controllo, anche sul palcoscenico, e dietro (menzione per la banda esterna che a momenti è stata superiore ai fiati in buca), ha conseguito riuscite superbe, come la chiusa del primo atto. Indovinata l’interpretazione musicale di tutte le voci maschili, a cominciare dal protagonista George Petean, perfido, sommesso, insinuante sgomento, mai truce, mai stentoreo, che è riuscito a mettere in piena luce la grandezza del personaggio, ovvero di un criminale pienamente responsabile delle sue azioni, il quale conosce benissimo la legge morale, che così trasgredisce. Convincente anche il Banco di In Sung Sim, così come il Macduff di Azer Zada e il Malcom di Francesco Pittari. Personaggi che, però, poco hanno offerto al teatro prescritto da Verdi. Lady Macbeth, feroce, costituzionalmente amorale, incapace di intendere e di volere, una diversa forma di criminalità del consorte, ha vissuto della voce di Susanna Branchini, che non ha certo passeggiato nelle altezze e negli abissi di una difficile parte, che, per di più, prevede la presenza continua in scena del soprano, dura prova che ha messo in ombra lo sgranarsi dei gorgheggi e dei vocalizzi, non sempre limpidi e incisivi. Il coro preparato da Tiziana Carlini ha svolto un compito dignitoso, rispetto alle difficoltà in partitura, anche relative alla recitazione e ai tempi feroci staccati da Oren. Tutti sanno che la principale difficoltà di realizzazione di questo titolo consiste nelle apparizioni soprannaturali: l’ombra di Banco nel banchetto, e il corteo degli otto re nella caverna delle streghe. La Wertmuller e il suo staff, composto da Valerio Ruiz, Virginia Vianello, Nicoletta Ercole e Daniele Nannuzzi, hanno lasciato fare tutto all’albero, una “passaporta”, di potteriana memoria, da cui tutto nasce e che tutto inghiotte, il sogno di mamma di Lady Macbeth, che quasi insegue un inafferrabile “monacello”, e, naturalmente, le streghe di Daniel Ezralow, splendidamente in linea con la regia, adattatesi al risicato spazio a loro disposizione, che scuotono, provocano, con i loro manti, nebulizzando, verità, menzogna e invenzione. Applausi per tutti e per Lina, che ha salutato il suo pubblico da un palco di second’ordine. Si replica domani sera e sabato 26.