Di BRUNELLA CAPUTO
L’interesse per la scrittura teatrale in Pasolini risale alla sua giovinezza. Pare che il suo primo testo, scritto a sedici anni, sia un testo teatrale composto per un concorso scolastico dei giovani fascisti. Negli anni della guerra Pasolini scrive dei testi teatrali per i suoi alunni e li utilizza come strumento didattico. Scrive poi testi in dialetto friulano, più maturi e legati a vicende del territorio. Della fine degli anni quaranta sono due testi in lingua considerati interessanti. In uno, in particolare, Pasolini narra del rapporto conflittuale, dal punto di vista psicologico, dei suoi genitori e anche del suo atteggiamento, come figlio, all’interno di questo legame non facile e pieno di dissidi. Nelle tragedie, considerate forse le sue opere più note, vengono messe in risalto tutte le problematiche psicologiche e ideologiche della sua opera. Personalmente, considero molto affascinante e interessante l’idea di Pasolini sul teatro di parola: la rappresentazione è considerata come un rito “culturale”, i veri personaggi sono le idee. In questo contesto, l’attore è considerato quasi semplicemente un uomo di cultura che comprende il testo e diventa traghettatore dello stesso verso lo spettatore, con il quale ha un’assoluta parità culturale; attori e spettatori si confrontano su uno spazio teatrale frontale. Le opere scritte nella metà degli anni sessanta, tra cui Affabulazione (pubblicata successivamente), sono considerate opere per il “teatro di parola”. Affabulazione è una tragedia. Parte da un sogno angoscioso di un padre, un ricco industriale lombardo, d’estate, nella sua villa in Brianza. Un padre che prova strane sensazioni che lo riportano a sentirsi stranamente bambino e a provare una oscura attrazione per il figlio. L’ebrezza dell’adolescenza, la libertà e l’ingenuità di questo stato dell’età umana, è ciò che il padre vorrebbe inconsciamente recuperare. La storia narrata dal Pasolini drammaturgo è una storia di attrazione e repulsione tra padre e figlio e può essere considerata come una metafora angosciante dell’ assenza di dialogo tra due generazioni in un’epoca in cui, questo silenzio ha portato alla creazione di conflitti drammaticamente forti e a volte cruenti. Pasolini definì quest’opera “un po’ mostruosa e folle”, che attraverso la struttura della tragedia primaria narra la crisi esistenziale di un padre che vorrebbe rinnovarsi nel mistero del figlio e scoprirne l’essenza. La coppia padre/figlio, in questo testo, è avvolta in un vortice di sesso e di potere e davanti alla bellezza, purezza, vitalità e incomprensibile obbedienza del figlio, il padre riconosce la sua sconfitta. Affabulazione, come tutti i lavori pasoliniani, si presta a diverse chiavi di lettura e non può essere interpretato in maniera univoca, ma sicuramente la frattura generazionale è un elemento molto evidente. L’ombra di Sofocle svela al padre che il figlio non è un “enigma”, ma un mistero e, come tutti i misteri, non si può trasformare ragionando. Bisogna accettare questa verità, e la verità è, il cerchio in cui è contenuta l’intera opera teatrale di Pasolini.