Olga Chieffi
“Di corsa usciti a mezzo il campo, date
prima il saluto alle tribune. Poi,
quello che nasce poi
che all’altra parte vi volgete, a quella
che più nera s’accalca, non è cosa
da dirsi, non è cosa ch’abbia un nome”.
Sono i versi che Umberto Saba dedica agli eroi della sua Triestina, al calcio, allo sport, quel “gioco”, specchio della vita, esprimente il libero e armonico esercizio delle facoltà, quel gioco che ha suscitato la meraviglia di diversi scrittori per il teatro, da Claudio De Palma che da ragazzo s’identificava nei voli di Dino Zoff, a Paolo Triestino, tifoso romanista, con la sua pièce Roma-Liverpool 1-1 ovvero… l’irresistibile evocazione della finale della Coppa Campioni disputata il 30 maggio dell’84”. De Palma, qualche anno fa ha scritto un eccezionale monologo “Il cielo sopra la traversa” costruendolo su quegli stessi principi su cui Kant basa l’arte, essendo il calcio, il goal, espressione della durata di un istante, di un’intelligenza, e assurgendo a pura intuizione, un improvviso dribbling, un passaggio, un colpo di testa, la scelta inspiegabile di una “battuta” anticipata nell’esecuzione di un tiro, divenendo ciò, che per il fatto di poterlo anche solo pensare, attesterà facoltà di animi superiori ad ogni misura dei sensi, e sarà per questo un’opera d’arte, il calcio, come tutti gli altri sport, atletica, equitazione, ginnastica artistica, tennis, scherma, è capace di fermare il tempo, quell’istante che vale non per quello che seguirà o si prevede che segua, ma di per sé. “Pare che “istante” significhi qualche cosa di simile: ciò da cui qualche cosa muove…” (Platone: Parmenide 156d). “Forse l’imprevedibile il pubblico lo può attendere ancora solo dagli eventi sportivi – ha affermato Ruggero Cappuccio -, il teatro, nella maggior parte dei casi ha perso questa prerogativa”, e, ancora, il giornalista e scrittore uruguaiano Eduardo Galeano: “Per quanto i tecnocrati lo programmino perfino nei minimi dettagli, per quanto i potenti lo manipolino, il calcio continua a voler essere l’arte dell’imprevisto”. Solo su questo assunto la discesa a rete di Maradona, fuori del tempo seppur velocissima, può trasformarsi in tema musicale, in un dolente ed ossessivo tango. Il tema musicale, come la punizione del colonnello ungherese Ferenc Puskas, non è un seguito di istanti, ma è una certa organizzazione razionale del tempo fondata sulla successione. Il tempo, come autosufficienza dell’istante, assume una dimensione sacrale, iniziatica, misterica, ecco spiegata la vestizione di Zamora, il portiere che entrava in campo salutando il pubblico come un torero e, come un torero, curava l’eleganza dei suoi interventi per amor del bel gesto, dell’urlo della folla sorpresa e ammirata da quella presa alta, proprio lassù, nell’angolo, dove si arriva tutti distesi e solo le dita sfiorano quel tanto che basta, da quel tuffo che sembra calcolato al millimetro per chiudersi in parabola sulla palla. E’ l’istante dello sport, come quello dell’arte l’atto, la vita stessa nella sua pienezza, o, con linguaggio nietzschiano, il dionisiaco. Il punto di riferimento filosofico è pur sempre Bergson e la sua contrapposizione tra tempo-vissuto, tempo interiore e tempo-spazio, seguendo le cui tracce, si può approdare alle storielle di Benni, evocanti scenari irreali, ma pur veri, sino al mastino Sandocan, bucapalloni e al vecchio con cappello e bastone che da sempre attraversa i campetti di periferia. Ma le linee del rettangolo di gioco, sul quale ogni volta, sia esso il Santiago Bernabeu, o il cortile del palazzo popolare, si gioca la partita della vita, sono linee d’ombra, in particolare quella di porta, davanti alla quale “si è attratti dall’incanto dell’esperienza universale da cui ci si attende di trovare una sensazione singolare o personale: un po’ di se stessi (…) finchè ci si scorge di fronte una linea d’ombra”. Ma l’attore, non supererà mai la linea d’ombra, nel suo sguardo, che sa guardare il cielo sopra la traversa, si leggerà per sempre la meraviglia, quell’infinito “oh!” che è l’essenza del “puro folle”, incarnazione dell’innocenza e della purezza, lo stesso del nostro poeta Alfonso Gatto che scrisse “Il calcio è come la poesia, un gioco che vale la vita”.
Editoriale del “Popolo Sportivo” del 23/02/2016