Parigi non è soltanto la capitale dei francesi, Parigi è una sfumatura etnica, che abbraccia tanti colori con sé. Parigi è una culla di personalità, è una fucina di talenti. Come quelli italiani che vi hanno trovato un’incondizionata ospitalità, ma soprattutto quei salernitani che davanti ai loro occhi hanno visto passare scene inconcepibili nella mente di chi è lontano. Quei salernitani che stanno bene e guardano indietro ringraziando di esserci ancora. Vincenzo Capezzuto, ballerino e cantante salernitano è a Parigi da una settimana, in nome della sua arte. “Fino a qualche giorno fa qui si respirava ancora aria di primavera”, sottolinea Vincenzo, mentre racconta quegli attimi di tensione che ha vissuto la sera di venerdì: “Sono qui da una settimana per la registrazione di un disco ed una serie di concerti che quasi sicuramente non avranno luogo. Venerdì sera mentre tornavo in hotel, dopo una cena con amici, ho visto mobilitarsi numerose macchine della polizia, sembrava ci fosse stata una rapina o qualcosa del genere, vedevo che molte persone correvano come se scappassero da qualcosa. Non si capiva niente. O comunque lungi da me quello che poi si è saputo e verificato. Fortunatamente nessuno dei miei colleghi ha avuto problemi e stiamo tutti bene. Durante tutta la mattinata di ieri poi non ho messo piede fuori dall’hotel, c’è troppa tensione nell’aria ed in più il grigio plumbeo del tempo”. Nel pomeriggio la vita deve continuare. I francesi vogliono rialzarsi e riprendere quello che rimane della propria vita tra le mani e continuare a farne la quotidianità: l’atmosfera è impegnativa ma la gente continua a vivere con dignità. C’è molta tensione e ci si sente vulnerabili, l’ordinanza consiglia di non uscire e di rimanere in casa, ma tante persone escono per cercare, piano piano, di tornare alla normalità. Adesso devo solo capire il da farsi, ma lunedì tornerò a casa”. Anche il salernitano Giovanni, architetto adottato nella sfera lavorativa dalla Francia, è a Parigi, e si ritiene fortunato nella sfortuna, perché venerdì sera il destino ha voluto che lui rientrasse prima dal lavoro: “La metro di piazza della Repubblica è quella che prendo per andare a lavoro ogni giorno. Ieri sono uscito un po’ prima dallo studio e quindi fortunatamente ho evitato il peggio. La zona è frequentatissima da giovani tutte le sere ma in particolare nel fine settimana, è una zona centrale ed è tranquillissima, non è una zona periferica o malfamata, al contrario, e penso che proprio questo fatto faccia ancora più paura. A Parigi c’è un clima multietnico e multi religioso bellissimo e la “diversità” culturale e religiosa non viene proprio considerata come tale, ma come un aspetto di civiltà normalissimo, poi capita però che trovi sempre qualche testa calda che la pensa diversamente”. Così Giovanni racconta quegli attimi, sentendosi in dovere di difendere in parte quella che è diventata la sua realtà di vita, non nascondendo però di aver provato paura non appena venuto a conoscenza della tragica situazione e di essere rimasto in casa, per evitare il peggio. La consapevolezza che rimane è che per questa generazione europea è la prima volta che la guerra entra nelle case, negli occhi e sulle strade in maniera così eclatante e pesante. Non si tratta di una bomba, né della distruzione di un obiettivo sensibile. A fare questa strage sono persone che con la freddezza di chi non conosce pietà, uccide faccia a faccia, per distruggere l’illusione di benessere e strappare la convinzione che in fondo capita sempre ad altri, lontano dalle nostre vite che parallelamente continuano ad essere tali, anche di fronte alla morte di altri.
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