Nicola Russomando
L’ultima assemblea generale della Conferenza episcopale italiana che si è tenuta ad Assisi dal 17 al 20 novembre con la partecipazione di papa Leone ha riproposto una questione nell’agenda già di papa Francesco: l’accorpamento delle diocesi più piccole e periferiche tra loro o a quelle più grandi. Il tutto avviene con la finzione giuridica dell’unione “in persona episcopi”, nella persona del vescovo, per cui i soggetti giuridici restano nominalmente distinti, salvo che, sul fronte canonico, la nuova realtà diocesana risulta di fatto unificata. E questo anche sul fronte del finanziamento pubblico dell’otto per mille, per cui lo Stato italiano continua a riconoscere e a finanziare due e, in qualche caso, anche tre soggetti distinti. Vero è che, a norma dell’Intesa del 1984 che ha sostituito il Concordato lateranense del 1929, resta prerogativa della S. Sede la definizione delle circoscrizioni ecclesiastiche, materia però rilevante per la Repubblica italiana che riconosce personalità giuridica di diritto pubblico a tali circoscrizioni anche ai fini del finanziamento. La stessa prassi è seguita, ancorché su scala minore, nella creazione delle “unità pastorali” tra parrocchie, per cui le persone giuridiche-parrocchie continuano a godere delle relative prerogative pur ricondotte ad un unico parroco. Si assiste in Italia, sul fronte della geografia ecclesiastica, ad una vera e propria revisione degli ambiti senza distinzione tra Nord e Sud, ma con delle più chiare conseguenze per il Mezzogiorno. L’ultima grande revisione delle circoscrizioni ecclesiastiche italiane è avvenuta nel 1986 a seguito dei contenuti dell’Intesa, in base alla quale, a titolo di esempio, è nata la diocesi di Salerno-Campagna- Acerno, laddove prima Acerno era in amministrazione perpetua a Salerno sin dal Concordato borbonico del 1818 e Campagna unita in persona episcopi alla metropolia nel 1973 dopo un biennio di sede vacante. In passato la S. Sede agiva in materia con particolare circospezione tenendo conto di tradizioni e di specificità dei luoghi, mentre oggi sembra essere incurante di un tale approccio al problema. E questo tipo di politica rientra appieno in quel fenomeno di burocratizzazione per cui le realtà ecclesiastiche territoriali sono viste e interpretate non come “porzioni del Popolo di Dio”, ma come dipartimenti da gestire e amministrare. Fenomeno analogo a quanto avviene anche negli Ordini religiosi per cui, sotto il pretesto della crisi delle vocazioni, si assiste alla chiusura sistematica dei conventi non ritenuti strategici senza che i responsabili del governo tengano conto dell’effettiva partecipazione dei fedeli alla vita di queste comunità. E’ il caso, ad esempio, del Convento cappuccino di Giffoni che, negli intenti della Curia provinciale, deve essere soppresso perché non considerato rilevante nella geografia interna dell’Ordine a dispetto dei fedeli che in massa lo frequentano. Nel piccolo, come nel grande, è dato di assistere allo stesso atteggiamento: la visione burocratica prevale sulle obiettive considerazioni di ordine religioso e spirituale, ma con conseguenze anche di ordine sociale. Infatti, la battaglia che l’arcidiocesi di Benevento e del suo vescovo mons. Felice Accrocca sta combattendo per scongiurare lo spopolamento delle zone interne non appare in linea con la politica di semplificazione territoriale perseguita dalla Conferenza episcopale italiana, in nome della quale le prossime candidate all’accorpamento potrebbero essere S. Angelo dei Lombardi e Ariano Irpino, già private degli apparati amministrativi civili, come i Tribunali, e condannate per questa via a diventare sempre più periferiche e quindi a spopolarsi. Già oggi la presenza del vescovo in queste aree è l’estremo segno di una rilevanza goduta in passato, ma vivificata nel presente da veri “pastori con l’odore delle pecore” e non ricondotta al governo di lontani burocrati. Il nuovo prefetto del Dicastero dei Vescovi, il napoletano mons. Filippo Iannone, che ha sostituito proprio papa Leone in questo ruolo, in analoga occasione, si è limitato a raccomandare proposte da parte delle Conferenze regionali che si muovano nella direzione già tracciata. In tutto ciò scompare completamente la rilevanza dei fedeli in queste valutazioni con buona pace di quella “chiesa sinodale” vagheggiata da papa Francesco, che prevedeva il più ampio coinvolgimento di tutte le componenti ecclesiali nei processi decisionali. Del resto, il risultato delle due assemblee sinodali della Chiesa in Italia è stato dominato dal tema dell’accoglienza da riservare al mondo LGBTQ+ e alla questione dell’accesso delle donne ai ministeri consacrati. In genere, nei tavoli sinodali, la vera questione del venir meno della pratica religiosa è stata assorbita da discussioni su modelli di organizzazione pastorale pur nella consapevolezza di chiese sempre più vuote. E, laddove esse sono più frequentate, si abbatte la scure della razionalizzazione. Tuttavia, la CEI ha un criterio per valutare l’impatto di queste politiche sulla realtà italiana: il gettito dell’otto per mille che si assottiglia di anno in anno. La contribuzione è su base volontaria, operata all’atto della dichiarazione dei redditi, e l’assottigliamento è anche giustificato dal calo dei praticanti. Vi è però una quota di cattolici, anche praticanti, che, non riconoscendosi in talune scelte operate per via gerarchica, destinano l’otto per mille allo Stato. Per fortuna in Italia, a differenza della Germania, chi non contribuisce per via fiscale a sostenere la propria chiesa non è considerato uno “sbattezzato” ed escluso quindi dalla pratica ecclesiale. Sarebbe il caso di ricordare anche ai vescovi tedeschi, così presi dal loro “Cammino sinodale”, il “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Il detto di Gesù si colloca in un suo confronto con gli Erodiani, che gli chiedevano, provocatoriamente, se fosse giusto versare il tributo a Roma ed esibivano una moneta con impressa l’effigie di Tiberio. La risposta di Gesù alla provocazione ha un duplice significato: se da una parte separa gli ambiti di appartenenza, dall’altra intende ribadire il primato di Dio su ogni questione di ordine economico, primato che oggi, nella Chiesa, sembra cedere il passo di fronte a sollecitazioni di tipo burocratico-amministrative.





