Eboli, il crollo dei Conte - Le Cronache Provincia
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Eboli, il crollo dei Conte

Eboli, il crollo dei Conte

di Peppe Rinaldi

 

Analisi e riflessioni sul voto della scorsa settimana si sprecano. Per chi ora scrive la «notizia» più bella arriva però dalla Puglia: qui, un certo Nicola Vendola detto Nichi o Niki, per due volte governatore locale, fondatore e mentore del partito “Sinistra italiana”, tecnicamente un «trafficante di esseri umani» (il nostro, si sa, ha comprato in Canada un neonato al mercato delle vacche dei diritti cosiddetti) non è riuscito neppure a farsi eleggere in Consiglio regionale. Piccole soddisfazioni private condivise pubblicamente.

Tornando in Campania, dove pure al vertice c’è andato un soggetto non tanto distante «culturalmente» dall’ex presidente pugliese (e ce ne accorgeremo presto) vediamo che molte sono state le sedute di autocoscienza, specie a «sinistra» – sempre che la parola conservi un  significato – ma quella è una vecchia storia. Della «destra»  – sempre che la parola conservi un significato – è inutile parlare, almeno per ora. Dopo le ultime regionali è stata incessante la pioggia di commenti e rivendicazioni, riposizionamenti e preparativi per il futuro, tutto accomunato da una caratteristica: hanno vinto tutti, nessuno ha perso. Sorvolando sullo scontro diretto tra Fico e Cirielli, è tempo di scendere un po’ nel «particulare», prendendo di petto un caso interessante: la città di Eboli.

Qui si registra un dato che prevale su tutti, pur non essendo una situazione  inedita quella vissuta nel Palazzo: la frana che ha travolto il gruppo sulla tolda di comando della città. Stiamo parlando del clan dei Conte, storica famiglia politica del territorio, il cui patriarca, Carmelo, materia cerebrale fina e organo cardiaco di ghiaccio, pure non necessita di presentazioni, certo non qui, certo non per chi scrive nel conforto dei cinque assatanati lettori di complemento. Ora, come in tutti i patriarcati che si rispettino, capita che lo iato tra il capo tribù e gli eredi si mostri oltremodo flessibile. E insidioso. Nei giorni scorsi ci eravamo occupati proprio del tratto familiare dell’amministrazione comunale, peraltro intuibile ictu oculi, suscitando qualche reazione adolescenziale tra gli interessati, giustificata forse dalla tensione elettorale, saldatasi poi con strampalate teorie complottistiche. Cose che capitano. Osservando cosa hanno detto le urne, non si può non notare che qualcosa sia andata storta. Molto storta. Racimolare meno di 1500 voti nel proprio feudo in favore del destriero di famiglia, l’avvocato Federico, non è un risultato soltanto insoddisfacente, è una batosta a tutto tondo, un monito che le pur affollate liste hanno lanciato in quella direzione.

 

Centri di potere

 

Comune, ex Piano di Zona, Consorzio farmaceutico intercomunale, circuito delle cooperative sociali, addentellati vari negli apparati del territorio, sistema delle imprese legate alla macchina dei lavori pubblici, entrature e/o pressioni in istituti di credito, locali e non, insomma un vero e proprio arsenale che avrebbe potuto (dovuto?) creare un effetto di trascinamento per almeno il doppio di quei consensi. Invece è stato un flop, come si dice, aggravato dalla balcanizzazione della maggioranza consiliare, un rappresentante della quale confida a Le Cronache, dietro l’impegno d’onore dell’anonimato, che “siamo agli sgoccioli, credo, sta per scadere il tempo di sopportazione: questi pensano solo agli affari propri, le cose le veniamo sempre a sapere dopo, ora basta”. In effetti, gli spifferi delle ultime ore confermerebbero una crisi imminente, chissà stavolta quanto seria. Certo, c’è da capovolgere una impostazione ricorrente che rischiava di inchiodare la realtà a un dato falsato: non sono (non sarebbero) i consiglieri della maggioranza ad essere sempre «famelici» nel chiedere qualcosa ma è (sarebbe) il contrario, cioè è il vertice che viaggia per conto proprio lasciando a chi poi ha realmente raccattato voti e consensi un pugno di mosche in mano. Vedremo.

Il candidato Federico Conte per la seconda volta non riesce a farsi eleggere in Consiglio regionale, racimola poco meno di 1500 voti nel suo fortino, si piazza a metà classifica generale. Ha investito tempo e danaro in questa campagna elettorale, si è speso in lungo e in largo, puntando molto su un’apprezzabile  capacità argomentativa derivante da anni e anni di pane e politica. Nella sua Eboli, però, la dote è apparsa insufficiente, il sistema non ha risposto come avrebbe dovuto. Poi, è mancato il voto di opinione, quello sempre sottovalutato dai dirigenti politici (tutti, o quasi), in genere propensi a credere che un’amministrazione locale si misuri soltanto sulla rete fognaria, la pubblica illuminazione o le feste di piazza, dove pure si potrebbe discutere a lungo.

La storia insegna che non è così, ci sono fasce significative della cittadinanza che guardano anche ad altro. Ad esempio: il sindaco Mario Conte si è infilato mani e piedi nella militanza «pro-Pal» a pochi giorni addirittura dal pogrom del 7 ottobre in Israele. Ha sposato ogni belluria e ogni scemenza urlate in piazza – pretese e ottenute poi negli atti pubblici – che hanno fatto respirare anche ad Eboli l’atmosfera della migliore Norimberga d’altri tempi. Ancora oggi campeggiano sulle mura del Municipio due eloquenti striscioni, uno chiede “Verità per Giulio Regeni”, l’altro dice (ma a chi?) “Cessate il fuoco”, con riferimento alla vicenda di Gaza. Ecco, dal “Cessate il fuoco” al “Cessato il voto” è stato un attimo.

 

Cianfrusaglie ideologiche e la perdita dell’alleato storico

 

Lo stesso candidato alla Regione, del resto, durante il proprio mandato parlamentare sotto le insegne dell’ex partitino “Liberi e Uguali”, si distinse per alcuni interventi in Parlamento maturati all’interno della cianfrusaglia ideologica del momento: era il tempo del tentativo di far passare la famosa legge fascista, quella sì, firmata dal «businessman dell’arcobaleno» Alessandro Zan, il deputato Pd di Padova ammirato accanto alla signorina Schlein ballare al Gay Pride sulle note di Raffaella Carrà. Se, ancora, ti fai sponsorizzare da uno come Sandro Ruotolo, che reca scritto in fronte che la politica non è affare per lui, oltre ad essere notoriamente un soggetto «voto-respingente», e se insisti col proporre come rinforzo elettorale uno dei politici più screditati del Paese come l’ex ministro Speranza, allora significa che il senso della realtà inizia a scemare. E con esso, infatti, i voti.

Per non dire, poi, dell’elemento materiale e concreto che ha tolto il velo a un andazzo che proseguiva da circa 30 anni. All’epoca di Tangentopoli il clan dei Conte era praticamente sparito, annientato dal ciclone scatenato su un’intera classe politica, o quasi. Se non fosse stato per l’alleanza mantenuta con una importante cooperativa del posto, che ha garantito ai Conte per anni ogni sorta di copertura (elettorale, personale, finanziaria) e soprattutto la possibilità di continuare a rimanere a galla in attesa di tempi migliori, a quest’ora staremmo a parlare di altre persone, altre politiche, altre realtà. Quell’alleanza, come capita nella vita, si è a un tratto spezzata facendo venire meno una considerevole messe di voti. Esattamente ciò che le urne hanno testimoniato il 23 e il 24 novembre scorsi.

Sarà per la prossima volta.