Antonio Manzo
Giornata di scontro aperto tra Sigfrido Ranucci e il Garante per la Privacy, presieduta da Pasquale Stanzione docente emerito dell’università di Salerno, che dopo un botta e risposta tra Autorità e giornalista si conclude con la notifica di una sanzione di 150mila euro alla Rai proprio per la diffusione da parte di Report dell’audio tra Gennaro Sangiuliano e la moglie Federica Corsini, in merito alla vicenda con protagonista l’ex ministro e Maria Rosaria Boccia. “Il Garante per la protezione dei dati personali ha irrogato e notificato alla Rai – Radio Televisione Italiana S.p.A. la sanzione di 150mila euro per la violazione di alcune disposizioni del Codice della Privacy, del Gdpr e delle Regole deontologiche relative ai dati personali nell’esercizio della professione giornalistica”, comunica l’Autorità, spiegando che la sanzione è relativa all’audio della conversazione tra Gennaro Sangiuliano e la moglie Federica Corsini, trasmesso da Report l’8 dicembre. Nell’ambito di altro procedimento analizzato sempre oggi, il Garante “ha dichiarato invece infondato il reclamo di Sangiuliano nei confronti di altre testate”. “In questi giorni raccolgo solidarietà bipartisan, ma si sta rivelando ipocrita: da una parte solidarietà, dall’altra qualcuno sta armando il Garante della Privacy per punire Report e dare un segnale esemplare a altre trasmissioni”. A dirlo in mattinata è Sigfrido Ranucci, in collegamento con una conferenza stampa organizzata al Parlamento europeo di Strasburgo dal deputato dem Sandro Ruotolo. Naturalmente la strada politica imboccata fa dimenticare il fatto dell’attentato a Ranucci e la figlia e costringe tutti a confinare la gravità dell’episodio nella diatriba politica da talk show permanente, mentre è in discussione il principio della libertà di stampa. Se, per dirla tutta, in Italia è ancora possibile fare giornalismo d’inchiesta oppure ritirare il principio costituzionale della liberà di stampa, al di là del rispetto della deontologia professionale che non appartiene solo a chi dà notizi ma anche a chi le propone, nel caso concreto chi amministra la cosa pubblica. Parlare e dimostrare il malaffare amministrativo è liberà di stampa. Appartiene al giornalismo. Così come dovrebbe appartenere ai pubblici poteri anche il dovere di rispettare il bene comune e non solo, in tristi casi, farlo diventare strumento di arricchimento e malversazioni, corruzioni e concussione. Non è possibile che chi tocca i fili deve morire e chi scrive deve andare sotto scorta. Il provvedimento dell’Autorità Garante, al centro anche di una nostra inchiesta pubblicata pochi giorni fa, rimette in pista il concetto di libertà di stampa “vigilata” dai pubblici poteri. Unanime la condanna dell’attentato – sia pure fortunatamente mancato – al giornalista Sigfrido Ranucci e a sua figlia. Il clima di odio e’ palpabile. Esso è prodotto dagli estremismi, dagli “opposti estremismi” come diceva Giovanni Spadolini. Il governo non c’entra. Questo è un dato di fatto oggettivo al di là di battute estemporanee non opportune come quelle della segretaria dem Schelin e dell’ex presidente del Consiglio capo dei Cinque Stelle Giuseppe Conte L’intolleranza nei confronti di chi scrive e manifesta le proprie idee appare evidente.. In termini così aspri non era mai capitato Neppure, parliamo dei giornalisti salernitani ai quali fu resa difficile la libertà di stampa negli anni di Tangentopoli. Al di là degli errori commessi dalla magistratura che interveniva, giustamente, sul diffuso malcostume e sul malaffare amministrativo generato dalla politica di quegli anni. La condanna dell’estremismo di un atto gravissimo, come l’attentato a Ranucci e figlia, deve sempre andare oltre le semplificazioni manichee. Etichettare le vittime della violenza è stato un gioco pericoloso in passato e resta un qualcosa di profondamente sbagliato anche oggi. Chi scrive di giornalismo investigativo lo sa bene. Sono sbagliatissime le tesi dell’avvocato degli Italiani Giuseppe Conte sulle querele, legittimi strumenti per tutelare la propria dignità personale, considerata come la depenalizzazione dell’ingiuria. La querela non è una minaccia alla libertà di stampa, specie quando il querelante offre la facoltà di prova. Un grande giurista diceva “Querelare o scomparire”. La tolleranza di chi non querela non è buonismo, ma indica a volte la paura di scoperchiare il vaso di Pandora. Ragionar così è solo un piccolo e modesto contributo ad un dibattito che è giusto avviare con fermezza ed aperture non ideologiche, guardando non solo alla delinquenza politica, ma anche a quella criminale che il giornalismo investigativo intende affrontare, come nel caso della provincia salernitana assediata da un diffuso Sistema Cilento come testimoniato su queste pagine. Per quel che è accaduto a Ranucci da oggi non si possa non stare, senza se e senza ma, dalla parte di tutti i giornalisti al di là dei colori politici. “Ciò che dico lo affermo con cognizione di causa – aggiunge ancora Ranucci -, e lo si vedrà nelle prossime ore. Chiedo che il Garante europeo verifichi come sta operando il Garante della Privacy italiano, perché sembra agire come un’emanazione del Governo”. La dura reazione dell’Autorità non si fa attendere e la risposta arriva con una nota che giudica “gravissime” le affermazioni rese da Ranucci nel corso della conferenza stampa a Strasburgo. Il Garante per la Privacy, nella totalità dei componenti, ribadisce “l’assoluta indipendenza e trasparenza del proprio operato a difesa della legalità”. Riservandosi “ogni necessaria iniziativa a propria tutela”. Proprio in questi giorni questo giornale ha dato conto, solitariamente, dell’inchiesta che la procura regionale della Corte dei Conti, al centro di un groviglio di interessi accademici che coinvolgeva il presidente dell’Autorità la cui pubblicazione ha acceso l’ennesima prova della campagna diffamatoria contro chi lavora per la libertà di stampa in questo Paese, nel caso concreto un’istituzione del sapere che dovrebbe essere e non solo apparire indipendente e autorevole. Non si possono governare i concorsi universitari ed ottenere in cambio incarichi di consulenza all’Autorità. Ma su questo sarà necessario tornare per deontologia professionale, raccontando altri concorsi truccati all’università di Salerno e taciuti per un eccesso di riservatezza delle vittime.





