Il Tribunale di Fico - Le Cronache Ultimora
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Il Tribunale di Fico

Il Tribunale di Fico

Antonio Manzo

Ci mancava solo che in Campania svettasse la degenerazione dell’antimafia a garanzia dell’antipolitica, E va bene. Sarò pur vero che è in atto la riscoperta della “teologia della moralità”, elaborata già alla vigilia delle regionali 2015 dall’allora presidente della commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi con il corollario degli impresentabili, tanto da colpire perfino Vincenzo De Luca. Dolosamente, a quarantotto ore dal voto. Ma che ora Roberto Fico, da ex presidente della Camera dei deputati, si trasformi in presidente di un suo tribunale con le vesti di candidato del centro sinistra è davvero troppo. Lui ha annunciato, urbi et orbi, che non vuole liste con gli inquisiti o personaggi politici inseguiti da procedimenti giudiziari. La sua “teologia morale” può rafforzare l’avvio di un’estenuante campagna mediatica per coprire la già improbabile coerenza grillina in materia di moralità. L’affaire “impresentabili” è infine scoppiato. Esattamente come dieci anni fa. Come tutte le narrazioni di successo, anche la saga degli impresentabili non risparmia colpi di scena, indignazioni, prese di posizione incrociate, doppi e tripli livelli di lettura. Partiamo dall’antimafia che da questa vicenda esce un ferita a morte dopo aver fatto prendere fato all’antipolitica. L’antimafia viene colpita dalla fatwa dei facinorosi, facendla diventare sbilenca ma come un un’importante risorsa politica.. Il ragionamento che c’è dietro la teologia della moralità stavolta impersonato da Roberto Fico è semplicemente antipolitica. Perché fa partire proprio dalla Campania, mentre anella credibili successi, la pessima reputazione di cui gode la politica, l’idea ampiamente diffusa secondo la quale “tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera”, e la sempre più impalpabile differenza programmatica solitariamente invocata dallo stesso De Lucca. Accentuano la personalizzazione rissosa della politica che proprio in queste ore ha offerto la stagione letteraria del dolore giusto trasformato in perniciosa rissa elettorale con la complicità delle telecamere e dei microfoni.. Insomma, specie in Campania e Puglia, che già furono le uniche due regioni ad alimentare la lista degli impresentabili, gli elettori che esprimono un voto di opinione sono un’esigua minoranza. Le “rivelazioni”, dieci anni fa, della Commissione antimafia furono ridondanti e dunque incapaci di avere un effetto sul comportamento di voto. Ciò non gli impedirà a De Luca di vincere dapprima le primarie, poi le elezioni. In altri termini, è difficile pensare che, in elezioni come quelle appena svoltesi, un elettore voti un candidato “al buio”, senza sapere chi esso sia. E l’esperienza ci insegna che i trascorsi giudiziari, anche per motivi di mafia, non sono un ostacolo insormontabile verso il successo politico. Basti citare i casi dei sindaci dei Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose che, dopo la parentesi della gestione commissariale, si ripresentano e vincono nuovamente le elezioni come accaduto a Scafati o a agani dove Gambino è stato votato europarlamentare di Fratelli d’Italia. E così, la debolezza di strumenti politici che, al pari di altre misure antimafia, risultano efficaci al costo di fare arretrare le garanzie e sacrificando i diritti individuali. La verità è che nel campo largo è in corso una guerra intestina. Viene il tempo del divorzio. Prima che sia troppo tardi dopo la denuncia di De Luca di progressivo allontanamento dell’elettorato cattolico dal Pd. Se si continua così il partito muore. E quello che tutti pensano, le parole che divampano con francasso di rovina nelle stanze di Largo del Nazareno, le pronunciano in molti per i quali c’è una c’è una parte del Pd che la pensa così. Manco se l’avesse saputo, De Luca nel suo ultimo libro dedica una importante parte alla riforma della giustizia e al diritto penale minimo, tra crisi del garantismo, sulla verità processuale con la chiarezza delle leggi e del linguaggio fino alla categoria del cosiddetto “creazionismo giudiziario”, cioè quel mondo dove s’inventano e non si spiegano le fattispecie criminali. Creazionismo che alberga perfino nel mondo dei giudici spesso in guerra tra loro, proprio come capita anche a Salerno. A volte, si contendono un posto di comando al vertice di uffici giudiziari e c’è incertezza. Parte subito l’accusa pilotata contro un candidato in pectore così da invalidarlo in sede di Csm. A Salerno è capitato ance per bloccare magistrati sgraditi mewssi repentinamente “in sonno” con improvvise incolpazione del ministro di Giustizia. E questo è un lato oscuro ma presente di creazionismo giudiziario. Si assiste così a una sorta di riscrittura giudiziaria della grammatica e della sintassi delle figure legali di reato: nel senso che queste figure vengono dalla magistratura d’accusa riconcettualizzate mediante una loro trasposizione dal codice penale in codici differenti, strutturati cioè secondo paradigmi etico-politici e/o socio-criminologici. In poche parole: il reato – per dir così – si politicizza, eticizza o sociologizza. E ora Roberto Fico inaugura la campagna elettorale contro gli impresentabili, come accadde dieci anni fa con Rosy Bindi, Una legge politico-mediatica e moralista che sventa i pericoli dei candidati forti e non divisivi. Bensì intruppati.