Antonio Manzo
Giovanni Falci ha 31 anni quando il padre gli regala la copia di un’opera di Lisia, l’oratore ateniese noto per il suo stile chiaro, semplice e lineare, considerato un modello di prosa attica. Un prestigioso “avvocato” del tempo con l’arte di immedesimarsi nel carattere del cliente. E lui, docente in pensione di latino e greco, pensa bene, un giorno, di attendere nella sala di attesa dello studio del figlio neo avvocato, per consegnargli una copia dei “Discorsi di Lisia” come amuleto ideale in vista delle arringhe che Giovanni dovrà pronunciare per difendere l’imputato Enzo Tortora. Si, il presentatore che a Castel Capuano è costretto a stare dietro una gabbia con l’infamante accusa di essere un membro della Nuova Camorra Organizzata. E il buon padre vuole favorire Giovanni consegnandogli anche dei fogli scritti con la sua vecchia “Olivetti” contenenti la traduzione del testo dell’avvocato Lisia tradotto dal greco in italiano . Ora proprio del clamoroso processo degli anni 80 giovane in toga, insieme ai suoi più illustri colleghi da Raffaele Della Valle a Vincenzo Maria Siniscalchi, racconta la sua esperienza professionale in un libro Il “mio” processo Tortora. Che ha determinato tante cose nella sua vita: tormenti, immaginazione, domande senza risposte e timore di invadere luoghi sempre tenuti segreti. È un racconto di vita, tra i fatti di una difesa dell’avvocato e un sentimentale percorso di una generazione cresciuta tra Torraca, paesino del Cilento, e Salerno che sarebbe stata la sua momentanea residenza ormai da trent’anni e passa. Stavolta Giovanni Falci fa i conti con i pensieri di un avvocato e le decisioni dei giudici, in un viaggio nella zona cieca di tutto quel che non possiamo sapere perché avvenuto dietro le quinte di emozioni umane e professionali nel grande processo a Enzo Tortora. Giovanni Falci si accorge, proprio in quei giorni, di esser diventato, all’improvviso, un giovane avvocato inseguito nei corridoi dei Castel Capuano, alla fine delle udienze quotidiane, da nugoli di giornalisti inviati dei grandi giornali tra cui i suoi carissimi amici salernitani Raffaele Schiavone dell’Ansa e Eugenio Ciancimino dell’Agenzia Italia volti familiari che mitigano l’imbarazzo di trovarsi al cospetto delle “grandi firme” del tempo che dovevano raccontare quel che accadeva all’imputato Enzo Tortora. Semplicemente le udienze di quel processo vivono, accolgono tutta la responsabilità dell’accusa, infondata, su un personaggio notissimo e di quelle da verificare, fino in fondo, costruite con le parole dei cosiddetti “pentiti”, criminali incalliti propensi a godere i benefici personali di pena pur di buttare a mare la dignità di un uomo. Complici involontari i magistrati di accusa del processo poi finiti nelle carriere più brillanti della giustizia italiana. Dal presidente Sansone che pronuncia la prima condanna per Tortora diventato presidente della sezione penale ella Cassazione, ai pubblici ministeri Di Pietro divenuto procuratore generale della corte di appello di Salerno, Di Persia procuratore della Repubblica di Nocera Inferiore, Marmo, capo dei pm a Torre Annunziata, Morello procuratore della Repubblica circondariale di Salerno. Implacabili pm di accusa per Tortora poi premiati nelle loro carriere. Il racconto di Giovanni Falci avrebbe incuriosito, per la trama, il noto scrittore italiano del Novecento Sebastiano Vassalli che pubblica , in quegli anni, una fortunata ricostruzione del caso Tortora, un instant book dell’epoca appena ripubblicato. Il libro di Giovanni Falci conta parole impagabili pronunciate con lo stesso sentimento contenuto nelle lezioni di Torraca che gli fece il nonno. Nonno Giovanni scopre un nipote, che fin da piccolo, ama il gioco delle carte, gli dice: “Gioca se ti piace, ma ricordati che il gioco è un lusso” . Tutto il contrario di una vita vissuta con le arringhe, un azzardo del lusso che si rivela necessario, e che ti porta utile. Come quando sul banco dei difensori ti consenti di avere al tuo fianco il noto “avvocato” Lisia che non avrebbe mai immaginato di poter essere utile a difendere Enzo Tortora demolendo con i suoi “Discorsi” il problema della credibilità dei delatori. Fu anche così nel racconto degli avvocati difensori Falci e Lisia per il processo a Enzo Tortora. Il vecchio ateniese aveva sconfitto già da secoli i “pentiti” che, però, riappariranno nella devastante contemporaneità della battaglia in toga vinta da Giovanni Falci.





