Di Antonio Manzo
Salerno è come Milano. E’ bastato l’effimero indizio dell’incarico all’archistar Stefano Boeri per la redazione del Masterplan sulla costa sud salernitana a rimettere in moto l’esercito dei guerriglieri del sospetto, pronti a una nuova incursione che dovrebbe partire dall’analogia con i riti milanesi tra imprenditori, costruttori. E, inevitabilmente, i politici. Forse, proprio a Salerno con le stesse modalità di Milano. Quello che sta avvenendo in questi giorni a Milano, ossia l’inchiesta della Procura della Repubblica che ha messo sotto accusa, politici, funzionari comunali, architetti e costruttori, suggerisce alcune riflessioni. Soprattutto dopo quelle autorevoli firmate su questo giornale da un ex pm di Hamas, Michelangelo Russo, e da un rinomato urbanista come Alberto Cuomo, pronto a sorvolare la città con il drone munito di un lapis.
Sia chiaro, le due autorevoli opinioni si inseriscono nella polemica sulla verticalizzazione con cemento della città di Salerno, già contestata dall’urbanista Alberto Cuomo e che ora troverebbe nuovi spazi alla foce dell’Irno oltre che averli già trovati al mostro Crescent e nel litorale antistante lo stadio Arechi e a Mercatello. Ma Russo, l’ex pm di Hamas, va addirittura oltre ed ipotizza un preciso, presunto disegno criminoso come una scelta di poter che da anni (decenni) immobilizza nel mattone le prospettive del territorio. Esempio: da dove verranno i massi del Masterplan Costa Sud? L’articolo di Russo sembra riproporre, come se fosse le parole di una requisitoria milanese, sulla trasformazione del profitto in reato fino a prova contraria.
Lo sviluppo “privatizzato”?
S’intravvede, nella determinazione e nello sviluppo diffuso delle indagini sulla Salerno del cemento, con plurime richieste di custodia cautelare, perquisizioni e sequestri di interi cantieri, un’idea di fondo che ha animato i Pm salernitani incaricati e i loro vertici: la politica che governa la città, alcuni dirigenti dei posti chiave del settore edilizia del Comune, un gruppo di architetti e di costruttori che negli ultimi dieci anni hanno cambiato il volto urbanistico di Salerno, che hanno di fatto “privatizzato” il controllo dell’edilizia urbanistica, interpretando a proprio piacimento (e interesse) la legislazione e i provvedimenti che servivano a presidiare il corretto sviluppo immobiliare del territorio.
La prima riflessione che s’impone per Russo e Cuomo è se oggi sia adeguata la complessa normativa amministrativa e urbanistica, che per ogni opera edilizia più o meno importante prevede un’infinita serie di passaggi burocratici fatti di permessi, autorizzazioni, “lacci e lacciuoli”, spesso di difficile interpretazione, che mette a dura prova chiunque si cimenti in progetti urbanistici: sia sotto il profilo dell’effettiva possibilità di realizzazione, sia e soprattutto sotto quello della tempistica e delle conseguenze economiche in punto di investimenti, spesso molto rilevanti.
Inoltre, il confine tra la corruzione e l’eventuale conflitto di interessi (che non è penalmente rilevante) in casi come questo è molto labile e si comprende come questo possa fare una differenza enorme nello sviluppo del successivo potenziale processo.
Secondo alcuni la giustizia a Salerno, negli ultimi quarant’anni, ha confezionato sceneggiate, e Russo e Cuomo lo sanno bene, sul presunto vorticoso giro di corruzione. Basta partire dal processo denominato Sea Park che vide alla sbarra il governatore Vincenzo De Luca, l’ex sindaco Mario De Biase fino alla concorso di ben 41persone in tutto; a vario titolo accusati di associazione a delinquere, concussione, corruzione, truffa aggravata, falso e truffa.
“Arrestate De Luca”.
Le indagini partirono alla fine degli anni Novanta a cura dell’allora pm Filippo Spiezia (ora alla Procura della Suprema Corte di Giustizia europea) e continuate dalla pm Gabriella Nuzzi (ora al tribunale di Napoli dopo Latina dove fu inviata dopo le indagini a carico dei magistrati di Catanzaro). La Nuzzi nel dicembre 2005 chiese per ben tre volte l’arresto in carcere di De Luca e di altri, e la richiesta di provvedimenti restrittivi fu bocciata per tre volte dall’allora gip Gaetano Sgroia che ordinò ed ottenne, stante la richiesta della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei Deputati, anche la distruzione di alcune bobine, contenenti registrazioni telefoniche ed ambientali (che furono comunque trascritte dalla polizia giudiziaria su carta della Procura e notificate agli imputati) perché effettuate senza autorizzazione, allora De Luca era deputato ds, e quindi inutilizzabili. Il voto in Giunta fu favorevole a De Luca. Si oppose un magistrato allora deputato ds e fu salvato dal voto favorevole del deputato Riccardo Villari, ex Democrazia Cristiana poi Margherita. L’impianto accusatorio fondava le sue radici su un assunto mai provato e che voleva far passare un disegno criminoso tra alcuni politici, alcuni tecnici, alcuni amministratori, alcuni sindacalisti ed alcuni responsabili dell’azienda Ideal Standard; il disegno era volto a far lievitare fraudolentemente i prezzi dei suoli (sia della Ideal Standard che di molti privati) sui quali doveva sorgere il Sea Park (il parco acquatico di Salerno) che all’epoca era un’altra idea fissa di De Luca al fine di garantire occupazione all’esercito di disoccupati creato dalla chiusura di aziende dell’area industriale costruite negli anni Sessanta.
I due pm vittime ingiuste
La pm Nuzzi nel corso delle indagini preliminari accusò anche i due procuratori aggiunti dell’epoca, ricorderà Michelangelo Russo, di essersi abusivamente intrufolati nel suo computer per spiare l’attività investigativa e resocontare i fatti ad alcuni degli imputati. I due alti magistrati, molto noti in città per il loro rigore e professionalità, furono sottoposti a processo, assolti ma puniti (come avviene spesso nel nostro Paese); il primo inviato alla presidenza del Tribunale di Sala Consilina e il secondo presso la Corte di Appello di Roma. Questi in sintesi i clamorosi fatti che avrebbero potuto, se passavano le richieste di arresto del dicembre 2005, sconvolgere tutto l’assetto politico e di potere della città e della provincia.
“Gabriella, resisti”
Ma per Gabriella Nuzzi non ci fu solo lo “svarione” De Luca ci fu anche l’accusa sulla gestione del fascicolo Why Not-De Magistris ereditato per competenza da Catanzaro. Tempi duri per la giovane pm Gabriella Nuzzi che, messa sotto accusa dagli stessi colleghi, non partecipava neppure alle assemblee promosse nel vecchio palazzo di giustizia. La Nuzzi ottenne solo la solidarietà del suo collega Spiezia con l’affettuoso richiamo in una lettera a lei inviata con un sonante “Gabriella resisti”. Il pm Filippo Spiezia, prima, e la pm Gabriella Nuzzi dopo si erano intestarditi nella ricerca affannosa delle responsabilità da imputare soprattutto a De Luca che poi nel 2011 fu assolto sia nel processo Sea Park che in quello Mcm. Assoluzioni che poi sarebbero arrivate anche per altri processi. Si può chiudere con una interrogativo: De Luca è davvero al vertice di un presunto sistema politico criminale? O i magistrati che hanno più volte inquisito De Luca non hanno saputo condurre l’indagine con un barlume di prognosi positiva dell’accusa, fino a reggere il giudizio dibattimentale? De Luca potrebbe scrivere un racconto sui limiti violenti del sistema giudiziario, perché più volte messo al centro di battaglie giudiziarie, guidate da una visione etico dirigista, ha fatto arricchire le inchieste stesse su di lui di giudizi morali e politici utili non solo per il mondo della politica ma anche per il mondo imprenditoriale che spesso per la magistratura ha voluto trasformare il profitto in reato. Spesso violando le leggi, ma non per questo con l’immunità per i corrotti e i corruttori che spesso si invoca per eccesso di burocrazia.





