L'allarme del dottor Falciani: Ci allontaniamo dalla Dieta Mediterranea - Le Cronache Ultimora
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L’allarme del dottor Falciani: Ci allontaniamo dalla Dieta Mediterranea

L’allarme del dottor Falciani: Ci allontaniamo dalla Dieta Mediterranea

Erika Noschese

 

L’allarme sulla dieta dei bambini è sempre più forte: snack e cibi ultra-processati dominano le tavole, mentre frutta e verdura scarseggiano. In un contesto nazionale preoccupante, il Dott. Giuseppe Falciani, biologo nutrizionista salernitano, ci offre uno sguardo sulle abitudini alimentari dei più giovani nella provincia di Salerno e sulle strategie per invertire questa tendenza, partendo proprio dalle scuole e dalle mense.

Quali sono le abitudini alimentari preoccupanti tra i giovani a Salerno, e come si differenziano dal resto d’Italia?

«In provincia di Salerno, come nel resto della Campania, i dati recenti evidenziano abitudini alimentari preoccupanti già dalla scuola primaria. Oltre il 40% dei bambini è in sovrappeso o obeso, un dato significativamente superiore alla media nazionale del 30%. Le criticità principali includono il consumo quotidiano di bevande zuccherate e snack ultra-processati, spesso presenti a colazione e a merenda, e una scarsa assunzione di frutta e verdura (meno di 3 porzioni giornaliere). Molti bambini, inoltre, fanno una colazione inadeguata, uscendo di casa a stomaco vuoto o consumando alimenti ad alto indice glicemico. Rispetto ad altre aree d’Italia, nel Sud, e in particolare a Salerno, si registra anche una maggiore sedentarietà e un forte legame tra le scelte alimentari e il livello socio-culturale familiare. Si sta assistendo a un progressivo allontanamento dai principi della dieta mediterranea a favore di modelli alimentari meno salutari».

Ci sono iniziative a Salerno per promuovere diete sane tra i giovani? Quali risultati stanno ottenendo?

«Sì, nel salernitano esistono iniziative concrete per contrastare il consumo di alimenti ultra-processati. Un esempio strutturato è il progetto “Crescere Felix”, promosso dall’ASL Salerno, che coinvolge scuole, famiglie e operatori attraverso laboratori e percorsi di educazione alimentare. Un’altra iniziativa è “La Buona Merenda”, nata a Cava de’ Tirreni, dove i bambini partecipano alla selezione di merende sane e locali da proporre a scuola e nei negozi. Anche Coldiretti ha lanciato campagne nelle scuole per promuovere prodotti a km zero. Le scuole che hanno aderito a queste iniziative stanno registrando un maggiore coinvolgimento delle famiglie, una crescente attenzione alle etichette e, in alcuni casi, i primi cambiamenti positivi nelle scelte alimentari quotidiane. Sono segnali incoraggianti che richiedono sostegno e monitoraggio».

Quali sono le sfide e le opportunità per le mense scolastiche a Salerno per migliorare i pasti e l’educazione alimentare?

«Le mense scolastiche sono fondamentali per la salute pubblica e l’educazione alimentare. A Salerno, una sfida importante è garantire standard qualitativi omogenei, poiché esistono disuguaglianze tra le scuole in termini di budget e attenzione nutrizionale. Un altro problema è la scarsa partecipazione dei bambini, che spesso rifiutano i pasti per mancanza di gradimento o di percorsi educativi che spieghino l’importanza di certe scelte. Le opportunità sono però molte: si può promuovere il ritorno alla dieta mediterranea, valorizzando i prodotti locali, di stagione e a filiera corta. Le scuole possono diventare veri e propri laboratori di educazione al gusto, integrando la mensa con attività pratiche come orti scolastici o incontri con nutrizionisti. Coinvolgendo attivamente i bambini, diventano più consapevoli. È cruciale anche un forte dialogo scuola-famiglia per garantire coerenza tra alimentazione scolastica e domestica, facendo sì che la mensa non sia solo un servizio ma uno strumento educativo integrato».

Quali fattori socio-economici e culturali a Salerno influenzano le scelte alimentari e contribuiscono all’obesità infantile? Come affrontarli?

«Nella provincia di Salerno, come in altre aree del Sud Italia, il contesto socio-economico influenza fortemente le scelte alimentari. Un basso livello di istruzione in alcune fasce della popolazione comporta una minore consapevolezza nutrizionale e difficoltà nell’interpretare le etichette. A livello economico, le famiglie in difficoltà spesso scelgono cibi confezionati e ipercalorici per convenienza e praticità, alimenti che sono poveri di nutrienti ma ricchi di zuccheri, grassi e sale. Culturalmente, persiste l’idea che un bambino “in carne” sia “più sano”, portando a sottovalutare i primi segnali di sovrappeso. Per affrontare queste problematiche, servono interventi locali su più livelli: percorsi educativi capillari per bambini e genitori, con le scuole come centri di cultura alimentare. È fondamentale anche rendere economicamente accessibili cibi sani, ad esempio tramite mercatini scolastici a filiera corta o incentivi per le famiglie a basso reddito. Infine, servono campagne mirate che sfatino i falsi miti culturali e valorizzino la vera tradizione mediterranea, basata su stagionalità, semplicità e nutrienti».

Quali azioni concrete suggerirebbe a istituzioni, famiglie e nutrizionisti per migliorare la salute alimentare dei bambini a Salerno?

« Per migliorare la salute alimentare dei bambini a Salerno, è fondamentale agire in modo sinergico. Le tre azioni concrete e prioritarie che suggerirei sono: 1. Introdurre percorsi di educazione alimentare obbligatori nelle scuole: Questi dovrebbero coinvolgere attivamente nutrizionisti, genitori e insegnanti, con laboratori e attività pratiche che vadano oltre le nozioni teoriche e siano continuativi nel tempo; 2. Rivedere le mense scolastiche: Promuovere menù ispirati alla dieta mediterranea, utilizzando prodotti locali, stagionali e minimamente trasformati. Le mense devono diventare strumenti educativi integrati al percorso formativo complessivo; 3. Formare e supportare le famiglie: Organizzare incontri gratuiti, offrire sportelli di consulenza nutrizionale nei distretti sanitari e lanciare campagne locali per sfatare miti e incentivare scelte alimentari più consapevoli, anche con un budget limitato. Solo un’azione coordinata tra questi attori può invertire la tendenza preoccupante e rimettere la salute dei più piccoli al centro».

È realistico immaginare che la poca educazione alimentare passi anche per il costante impoverimento culturale, dettato dal voler ascoltare sempre più frequentemente “l’esperto di TikTok” o il “mi hanno detto che” anziché consultare libri, guide e/o esperti del settore della nutrizione?

«Sì, purtroppo è una realtà che noi professionisti della nutrizione affrontiamo quotidianamente. L’educazione alimentare richiede una solida base culturale, che oggi viene spesso soppiantata da contenuti rapidi, semplificati e spesso errati che circolano sui social media. Il problema non è lo strumento in sé, ma l’assenza di filtro critico da parte di chi riceve il messaggio. Quando si dà più peso a un video virale che a linee guida ministeriali o al parere di un professionista, si rischia di normalizzare comportamenti alimentari scorretti, se non pericolosi. Questo fenomeno è aggravato da un impoverimento culturale generale: si legge meno, si approfondisce meno, si preferisce la scorciatoia alla conoscenza. Ciò si riflette anche sull’alimentazione. Serve un’azione culturale profonda: valorizzare il sapere scientifico, sostenere la divulgazione seria anche sui social e aiutare i più giovani a distinguere tra competenza e improvvisazione. La salute alimentare dipende prima di tutto dalla capacità di scegliere con consapevolezza».