Conte: Il populismo? È una degenerazione della politica - Le Cronache Ultimora
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Conte: Il populismo? È una degenerazione della politica

Conte: Il populismo? È una degenerazione della politica

di Erika Noschese

 

 

L’Onorevole Carmelo Conte, figura di spicco nel panorama politico italiano con una lunga carriera a livello nazionale, torna a far parlare di sé non per le aule parlamentari, ma attraverso le pagine del suo ultimo lavoro letterario, un romanzo storico intitolato “Il brigante e il maestro”. L’ultimo libro dell’ex ministro Carmelo Conte sarà presentato domani pomeriggio, alle ore 18, presso il Salone dei Marmi del Palazzo di Città di Salerno. Con l’autore ne discuteranno il sindaco Enzo Napoli, l’avvocato Guglielmo Scarlato, Anna Petrone, la consigliera comunale Elisabetta Barone, il deputato Piero De Luca

Questo, come detto, è il nono libro dell’autore, che ha deciso di dedicarsi alla scrittura dopo la sua intensa attività politica. In un’intervista esclusiva, Conte svela le motivazioni dietro questa nuova opera, un viaggio affascinante che affonda le radici nella memoria personale e si estende a temi cruciali della storia italiana, come il brigantaggio, l’emigrazione e il ruolo della scuola. L’autore ci guida attraverso un percorso che, partendo da ricordi d’infanzia, si propone di stimolare una riflessione profonda sul rapporto tra passato, presente e politica.

Perché, dopo la sua lunga attività politica a livello nazionale, si è dedicato a scrivere libri? Ne ha scritti ben nove.

«Considero il populismo una degenerazione della politica. Come scrive il poeta greco Ritsos, “le parole sono come le vecchie prostitute che tutti usano”».

È una critica ai politici di oggi?

«Anche».

Perché ha scritto questo libro?

«Per un evento imprevisto. Una nipote della mia maestra alle elementari, Irene Cinque, mi ha fatto avere gli originali di tre miei compiti in classe, di 76 anni fa, che lei aveva ricevuto dalla nonna. Uno riguarda i “Moti del Cilento”, di cui fu protagonista, tra il 1861 e il 1863, il brigante Tardio; l’altro è una mia lettera al giornalino di classe sulle bellezze naturali e i problemi sociali del Cilento; il terzo, intitolato “Una bravata”, racconta di un pugno dato da me in classe a un compagno e delle mie scuse pubbliche».

È un’autobiografia?

«Non esattamente. Quei tre compiti hanno funzionato per me come le Madeleine, un dolce tipico francese, per Marcel Proust; che le ha dedicato alcune delle pagine più belle del suo libro “Alla ricerca del tempo perduto”, in cui spiega il processo della memoria involontaria».

Quindi il protagonista del suo libro è il ricordo?

«Un ricordo “non ricercato”, occasionale. I veri protagonisti sono la conoscenza, alla quale è dedicato il primo capitolo, la scuola, il brigantaggio, l’emigrazione, il Cilento, la terra dei tristi, un luogo emblematico che esprime i tanti Mezzogiorno».

Cosa ha rappresentato il brigantaggio per il Mezzogiorno?

«Pasquale Villari dedica le sue famose quattro lettere Meridionali rispettivamente a Mafia, Camorra, Brigantaggio e Rimedi. Condivido la sua analisi e la sua proposta, ma ritengo che il brigantaggio non possa essere assimilato a mafia e camorra».

Perché?

«Il brigantaggio è stato un fenomeno presente non solo nel Mezzogiorno, anche se qui ha assunto caratteri particolari che lo collocano tra la leggenda, la storia, la ribellione e l’eversione. Per segnalare queste diversità ho raccontato solo di due briganti, Angiolillo, un brigante sociale, un Robin Hood che toglieva ai ricchi e dava ai poveri; e Giuseppe Tardio, un brigante politico che, per combattere le sue battaglie contro i soprusi, deluso dal nuovo Stato, si schiera con i Borboni e promuove la rivolta del Cilento».

Lei condivide i rimedi che furono adottati per contrastare il brigantaggio?

«Lo Stato unitario non lo considerò un fenomeno sociale da contrastare con riforme strutturali, ma un problema criminale e di ordine pubblico, e lo perseguì con la legge Pica del 1863 che prevedeva la fucilazione e con l’intervento dell’esercito. Tra il 1861 e il 1872 furono uccisi circa 270.000 meridionali, di cui meno di un terzo briganti, furono distrutti 51 paesi. In due comuni del Beneventano, Casalduni e Pontelandolfo, furono uccisi tutti gli uomini ivi residenti, furono risparmiati solo donne e bambini. Il Nuovo Stato si comportò come Israele nella striscia di Gaza».

L’emigrazione ha un rilievo principale nella sua ricostruzione storica?

«L’emigrazione esprime l’umanità in movimento e come tale va compresa e governata. Prima dell’unità d’Italia l’emigrazione era avversata dai Borboni perché non volevano che venissero meno le braccia per lavorare le terre dei loro latifondisti, mentre dopo i primi anni dell’Unità più che i singoli emigrava la vita delle famiglie: prima il padre che poi richiamava la moglie e i figli. Gli emigrati subivano discriminazioni di ogni genere: Richard Nixon, in un’intercettazione, dice “gli italiani non sono come noi… non hanno lo stesso odore, non si riesce a trovarne uno che sia onesto”. Un antesignano di Trump».

Quale rapporto ha intrattenuto Angelo Patri con l’Italia e con Piaggine, il suo paese di origine?

«Il suo nome di origine era Angelo Petraglia, emigrò a cinque anni e fu registrato all’anagrafe del comune di New York come Angelo Patri; il suo cognome fu americanizzato da subito ed egli si è poi sentito americano più che italiano. La madre, Carmela Conte, era cugina di mio padre. Patri non ha mai dimenticato le sue origini, è stato più volte in Italia, ma mai a Piaggine, ha incontrato mio padre e un mio zio solo una volta a Paestum, nel 1927. Ha dedicato alle sue origini uno dei suoi libri più noti, “Biondino l’emigrante”. Ebbe rapporti con i pedagogisti italiani più famosi, in particolare con Lombardi Radice, Maria Montessori e con Don Milani».

E lei dedica una lunga riflessione a quest’ultimo.

«Don Milani ha rappresentato uno spartiacque epocale dalle due sue opere fondamentali: Esperienze Pastorali dei suoi inizi e Lettera a una professoressa dei suoi ultimi anni a Barbiana, divenuta famosa in tutto il mondo».

Perché ha integrato il suo libro con una nota aggiuntiva, apparentemente estranea alla trama?

«Evoca il rapporto tra storia, attualità e politica. Nota aggiuntiva è il titolo di un documento, scritto da Ugo La Malfa, con la collaborazione di Antonio Giolitti, Francesco Forte e Riccardo Lombardi al bilancio dello Stato del 1962. Avviò la programmazione economica, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la riforma della scuola, l’integrazione territoriale e sociale. La richiamo in quanto antitetica della Nota aggiuntiva del 2023 del governo Meloni: il Premierato e l’autonomia differenziata che capovolgono quella impostazione, introducono due legature che personalizzano le istituzioni e dividono l’Italia. Propongono una questione settentrionale in alternativa a quella meridionale, negano la storia».