Francesco Genovese, da S. Cipriano Picentino a Londra - Le Cronache Attualità
San Cipriano Picentino Attualità

Francesco Genovese, da S. Cipriano Picentino a Londra

Francesco Genovese,  da S. Cipriano Picentino a Londra

Dalla quiete collinare di San Cipriano Picentino al frenetico battito creativo di Londra è questo il viaggio umano e professionale di Francesco Genovese, classe 1996, oggi Head Pastry Chef di Harrods e astro nascente della pasticceria mondiale. A soli 29 anni, Genovese è stato selezionato per guidare il team nazionale britannico agli Europei di pasticceria in programma a Parigi nel 2026, trampolino verso l’ambitissima Coupe du Monde de la Pâtisserie di Lione nel 2027, la più importante competizione internazionale del settore. A consacrarlo è stata la scultura in cioccolato “Alba”, una rosa accarezzata da una farfalla, avvolta nei colori del mattino. “Ho messo in maiuscolo le parole ‘ROSA’ e ‘ALBA’ perché è un omaggio a mia sorella Rosalba. Una dedica personale nascosta in un’opera dolciaria”, racconta Francesco. Il tema del concorso era Modern Fashion, e Genovese ha tratto ispirazione dall’artista americana Holly Nichol, nota per le sue illustrazioni nel mondo della moda. “Per me la moda contemporanea non è fatta solo di abiti, ma è una forma d’arte. Anche la mia scultura è stata pensata così non solo tecnica, ma messaggio, linguaggio estetico e universale”. Da oggi è ufficialmente parte della squadra nazionale del Regno Unito, che si prepara a rappresentare la nazione per i prossimi due anni. “È un percorso lungo, impegnativo. Ci sono varie categorie : scultura in cioccolato, di zucchero e di ghiaccio. “ Dopo sette anni nel Regno Unito, cinque dei quali trascorsi al leggendario The Fat Duck – tre stelle Michelin e miglior ristorante al mondo nel 2005 – oggi Francesco è alla guida della pasticceria di Harrods. Coordina ricerca e sviluppo, segue le tendenze, organizza e guida un team internazionale. Eppure, nonostante una carriera così brillante, conserva uno sguardo autentico e profondo sul mestiere: “Mi definisco un pasticciere mediterraneo. I miei dolci raccontano freschezza, acidità, profumi agrumati. Non sempre sono italiani nel senso stretto, ma sono sempre legati alla mia terra: l’olio extravergine, gli agrumi della Costiera, la nocciola di Giffoni”. Ogni sua creazione porta con sé un legame intimo con le origini. “All’estero ci invidiano il palato. Anche chi non cucina sa riconoscere il buono. È una dote rara, e noi italiani ce l’abbiamo nel sangue”. Per Genovese, la tavola è molto più del semplice cibo. “È convivialità, condivisione, famiglia. È questo uno dei pilastri della dieta mediterranea, non solo ingredienti eccellenti, ma anche momenti vissuti insieme. La nostra cultura ci porta a creare esperienze autentiche attorno al cibo, ed è qualcosa che il mondo ci riconosce”.E pensare che la sua storia è cominciata quasi per caso. “In terza media ero indeciso se diventare professore di matematica o cuoco. Vengo da una famiglia di insegnanti, e avevo assorbito l’idea che insegnare sia una delle forme più alte di ispirazione. Poi partecipai agli Open Day. Avrei dovuto visitare anche il liceo scientifico, ma quando entrai all’Istituto Virtuoso di Salerno sentii subito una sensazione forte: questo è il mio posto”. “Ricordo bene quel momento: entrai nella cucina e sentii chiaramente che il mio futuro era lì. Forse fu un atto di incoscienza, o forse solo un gesto da sognatore, ma ero certo che quello sarebbe stato il mio cammino”. Da lì in poi è stato tutto un susseguirsi di opportunità. A 15 anni, al secondo anno di scuola, vince una borsa di studio per un mese a Dublino. “È stata la mia prima vera immersione nella cultura anglosassone. Lì ho capito che un giorno mi sarebbe piaciuto vivere all’estero”. L’anno seguente un’altra borsa di studio lo porta a lavorare in Calabria, poi un’esperienza a Madrid, tra cultura e gastronomia spagnola. Alla fine dell’alberghiero, grazie a un progetto Erasmus Plus, torna in Irlanda, questa volta a Cork. “Studiavo inglese e lavoravo in cucina. È lì che ho iniziato a specializzarmi nel linguaggio tecnico del settore. Questo mi ha aperto le porte del lavoro internazionale”. Due i momenti decisivi per la sua crescita. Il primo è a 22 anni, quando si ritrova sul palco di un evento gastronomico con chef due e tre stelle Michelin. “Presentavo un piatto per un ristorante di Vienna e mi chiedevo: ma io cosa ci faccio qui? A un certo punto, uno di questi grandi chef stellati mi mise una mano sulla spalla e mi disse: ‘La differenza tra me e te è solo il tempo. Questo è il momento in cui hai incontrato la prima persona che ha creduto in te. Io l’ho vissuto trent’anni fa. Ora tocca a te”. Il secondo è durante una competizione a Bari. “I concorrenti erano stati selezionati tramite i social e io mi trovai tra i tre finalisti. A giudicare la gara c’era Francesco Urbano, che poi sarebbe diventato il mio mentore. Assaggiò la mia torta, si alzò e disse: ‘Questo ragazzo deve vincere’”. La torta si chiamava “Sogni di Sicilia”. Un racconto delle sue vacanze sull’isola: pan di Spagna alla mandorla e arancia, bavarese al pistacchio, cremoso di ricotta e una glassa al pistacchio, il tutto decorato con mandarini. “Con quella torta vinsi il concorso. Il premio era un bonus in un grande ingrosso alimentare, ma mi offrirono anche uno stage al ristorante Berton di Milano, una stella Michelin. Quell’esperienza mi cambiò la vita, lì ho capito cos’è davvero la cucina d’autore.”. Dopo Milano, il percorso continua a Venezia, al ristorante stellato “Dopolavoro dell’Animo”, con Federico Belluco e Giancarlo Perbellini. Poi un anno al Bulgari Hotel di Milano, quindi il salto a Vienna, al Ritz Carlton. “Parlavo poco inglese, zero tedesco, mi ritrovai in un team di cinque persone. Dopo solo tre mesi, lo chef mi disse: ‘Tra un mese il tuo superiore andrà via. Voglio che sia tu a gestire la pasticceria “. Aveva appena compiuto 22 anni. Una responsabilità enorme. “Ma decisi di affrontarla. Così mi trasferii in Inghilterra, spinto dall’amore per la scoperta. Decisi di tentare di entrare al The Fat Duck, il ristorante dello chef Heston Blumenthal”. “Un tre stelle Michelin, eletto miglior ristorante al mondo nel 2005. Blumenthal ha rivoluzionato la cucina: usa chimica e scienza per sviluppare nuove tecniche. È stato lui a introdurre la cottura sottovuoto e la centrifuga da laboratorio in cucina”. Doveva essere un’esperienza di sei mesi, è durata cinque anni. “Dopo 13 mesi ero alla guida della brigata di pasticceria, un team di 10-14 persone all’interno di una cucina da 42. È stata la mia università, una palestra di vita”. «Al quinto anno mi contatta Harrods: “Abbiamo un progetto, ti vorremmo con noi”. È difficile lasciare un posto in cui sei cresciuto, ma quando arriva Harrods… bussano forte alla porta. Sono passato da un ristorante immerso nella campagna inglese al cuore pulsante di Londra. Sono andato a vedere come funzionava Harrods, ho incontrato il team… il mio piccolo team di 14 pasticceri a confronto con 72 pasticceri di Harrods. ““Sono entrato come terzo in cucina. Il primo anno è servito per osservare, comprendere e stabilire i miei obiettivi. Tra questi obiettivi c’era quello di entrare nel team della Coupe du Monde de la Pâtisserie e questo traguardo è successo proprio quest’anno, infatti la settimana scorsa si sono tenute le selezioni. Ho presentato la mia scultura in cioccolato “Alba”. A gennaio andremo a Parigi per ricevere il brief della competizione e nel gennaio successivo voleremo a Lione per la finale della Coppa del Mondo, dove 24 nazioni si sfideranno per il titolo di miglior team al mondo”Tornerai mai in Italia? “E non so quando – o se – tornerò. Sono aperto a tutto. Forse rientrerò solo quando sarà il momento di aprire il mio brand “ Francesco Genovese Pasticciere”. Ho iniziato a pensarci seriamente a Vienna, quando ho aperto la mia pagina Instagram semplicemente con il mio nome e la mia professione in Italiano. Non mi sono chiamato “pastry chef”, troppo generico. Perché io vedo la pasticceria come un’arte totale. E il mio nome è già un progetto e oltretutto vedevo sempre i pasticceri francesi in prima fila. Era come se, anche noi italiani, dovessimo uniformarci a quel modello, magari anche solo scegliendo un nome francese per sembrare più internazionali. Ma io sono italiano, e voglio che si sappia.Il mio obiettivo è coniugare la tradizione con le tecniche moderne e le esigenze attuali. La mia éclair al cioccolato, recentemente inserita nel menù di Harrods, è quasi “rinfrescante”, ho sostituito panna, uova e latte con amido di mais, acqua e zucchero. Il risultato è una crema al cioccolato a base acqua, in cui il protagonista assoluto è proprio il cioccolato. È un dolce più leggero, attento ai grassi e agli zuccheri, ma non per questo meno goloso. Non lo chiamerei ‘light’, ma sicuramente rappresenta un adattamento intelligente ai tempi che viviamo: inflazione, aumento dei costi, attenzione alla salute” Raffaella D’Andrea