La romantica fede di Franco Calvanese - Le Cronache Ultimora
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La romantica fede di Franco Calvanese

La romantica fede di Franco Calvanese

Luigi Gravagnuolo

Ebbi modo di incontrare per la prima volta Franco Calvanese nella seconda metà degli anni ’80. Agli inizi di quel decennio avevo frequentato per un paio d’anni Salerno, dall’interno o perlomeno come fiancheggiatore della Federazione Salernitana del Pci, di cui era segretario Vincenzo De Luca. Avevo collaborato con la redazione del quindicinale d’inchiesta Dossier Sud, diretto da Joe Marrazzo e sostenuto dalla Federazione Salernitana del Pci. Una volta conclusa quell’esperienza, ero stato politicamente e professionalmente assente dalla città di Salerno per qualche anno, anche perché abitavo a Napoli. Nel 1987, mentre stavo facendo lezione all’istituto superiore di San Giovanni a Teduccio dove insegnavo, mi venne a chiamare il bidello e mi disse che c’era una telefonata per me in segreteria. Qualcuno chiedeva di parlare con me. Allora, vale la pena di ricordarlo, non c’erano i cellulari. Vado e mi risponde una persona che mi dice: ‘Sono Franco Calvanese, il PCI nazionale sta per fondare una radio di notizie e di informazione, che si chiamerà Italia Radio, e la Federazione di Salerno ha deciso di aprire contestualmente una redazione salernitana che a sua volta possa produrre radiogiornali e rubriche di informazione locale su Salerno; te ne vorrei parlare’. Ci vedemmo qualche giorno dopo a Salerno nella sede della Federazione. Mi disse che i compagni si ricordavano della mia collaborazione a Dossier Sud e che, soprattutto, lui aveva visto alcuni programmi che conducevo allora su Canale 21. Erano programmi di divulgazione medica sponsorizzati da associazioni di medici. Gli piacevano. In breve, in Federazione avevano pensato di affidare a me la direzione giornalistica di questa radio salernitana. La chiamammo Radio Salerno Sera – Network Italia Radio, perché appunto era legata alla radio nazionale del Pci. Franco Calvanese di quell’esperienza fu il manager. Lo fece con il piglio da pioniere, tanto da guadagnarsi da parte di noi della redazione, il nomignolo affettuoso di Calvusconi. Ebbe una straordinaria capacità di motivare il gruppo di ragazzi che insieme a me fece quell’esperienza. A volte, quando rivedo qualche amico che in quell’occasione conobbi e con cui lavorammo insieme, ci diciamo che ‘fummo equipaggio’ . Quella radio non fu solo un’esperienza para professionale, ma un vero e proprio luogo di incontro, di condivisione, di fraternità fra tutti noi che stavamo lì proprio come avviene su una nave, laddove tutti i membri dell’equipaggio, dal cuoco all’elettricista, dai marinari e al comandante in prima collaborano in modo coordinato, ciascuno per la sua parte, per mantenere la rotta. Non credo di esagerare se dico che quell’esperienza fu importante anche per la storia del giornalismo salernitano. Ricordo i più giovani e i meno giovani che allora cominciarono a lavorare in un quotidiano. Sì, un quotidiano, non una ‘radio libera’ di propaganda. Producevamo otto edizioni del radiogiornale ogni giorno, tutte aggiornate. Coloro che ci lavoravano facevano giornalismo sul serio, erano presenti sui fatti, li constatavano in prima persona, li raccontavano e li commentavano in una forma professionale, pur essendo una redazione di volontari. Ricordo i più giovani di allora, Alfonso Schiavino, Franco Matteo, Nico Piro, Massimiliano Amato, Bruno Izzo, Marcello Festa, Stefania Battista; e quelli già più esperti, Gianni Giannattasio, Ernesto Scelza, Lucia Di Giovanni, Ernesto Pappalardo, Michele Capone e Tommaso Siani, che venivano dall’esperienza del periodico della curia Agire. E la rete dei corrispondenti locali. Insomma, sotto il profilo strettamente giornalistico, veramente fu un’esperienza interessante, con dati di ascolto definiti da Peppino Caldarola, direttore di Italia Radio, addirittura ‘strabilianti’. Credo che questo sia riconosciuto a Salerno, soprattutto tra i giornalisti di quella generazione. Né dimentico coloro che collaboravano nella segreteria amministrativa, Giovanna Ferraioli e Rosa Argentino. E gli amici che curavano la parte tecnica, Enzo Angrisani, che saliva sulle montagne di notte per aggiustare per tempo tempestivamente i ripetitori dei segnali, Raimondo Campostrini, Mario Argentino. Gli speaker, Miki D’Urso, Tiziana Avarista e coloro che gestivano rubriche, se volete, un po’ più leggere ma con grande brio; da quelle musicali condotte da Elio Venditti e da Franco Matteo, che era anche il critico musicale della radio, a quelle più spiritose, condotte da Fabrizio Murino e Giampiero Fortunato. Non mancava alla radio un gruppo di collaboratori ‘commerciali’ impegnati nella ricerca degli sponsor. Ecco, di questo ‘equipaggio’ Franco Calvanese fu l’animatore e colui che garantì per alcuni anni la tenuta strutturale della redazione. Era lui che manteneva i contatti con il committente politico, a cominciare dal segretario della Federazione Vincenzo De Luca, che molto credette ed investì su quell’esperienza, e con i quadri della Federazione, Sabatino Mottola, Andrea De Simone, Mario De Biase, Raffaele Annunziata, Franco Siani. Come pure con quanti erano impegnati nella vita amministrativa, Fulvio Bonavitacola, allora vicesindaco di Vincenzo Giordano, Peppe Beluto, Pasquale Stanzione. E con i parlamentari, Roberto Visconti, Salvatore Forte, Flora Calvanese, Cecchino Auleta, Tommaso Biamonte, Riccardo Romano, Gaetano Di Marino. Così come manteneva i contatti con i quadri del Pci che avevano relazioni con l’imprenditoria salernitana, a cominciare da Franco Massimo Lanocita e da Orazio Boccia. Senza dimenticare il mondo sindacale, Ciccio D’Acunto, Ferdinando Argentino, Diego Mele. Di questa esperienza Franco fu l’animatore ed il coach, senza di lui saremmo durati pochi mesi. Radio Salerno Sera finì contestualmente alla fine della storia del Pci, quando alla Bolognina il segretario Achille Occhetto, anticipando di poche settimane la caduta del muro di Berlino e l’implosione dell’Unione Sovietica, annunciò che era sua intenzione proporre per il partito l’abbandono del nome di Partito Comunista Italiano a favore di Partito Democratico della Sinistra, e che, per la verifica del consenso su questa scelta, avrebbe convocato un Congresso straordinario. Fu il congresso dei sì e dei no. I sì al cambiamento del nome e i no di quelli che volevano conservarlo, sentirsi ancora comunisti, nonostante che il termine fosse stato palesemente infangato nell’Unione Sovietica, come molti di loro non avevano difficoltà ad ammettere. Bene, in quella temperie particolarmente tesa e sofferta, che scatenò divisioni profonde tra i militanti, Franco Calvanese si schierò senza nessuna incertezza per i no, mentre io e la maggioranza della redazione ci schierammo per il sì . Fu per Franco una ferita profonda, la visse come un tradimento. Mantenemmo ancora per un po’ in piedi quell’esperienza e soprattutto i rapporti personali. Ma quel Congresso, per come si era svolto e per le divisioni che aveva determinato, segnò la fine anche di Salerno sera radio tv. Radio-tv perché intanto aveva aperto un ramo televisivo, che produceva due telegiornali al giorno e alcune rubriche, in particolare una sportiva che seguiva il calcio. Franco non capì, a mio avviso, che la storia del comunismo, per come era stata vissuta nel ‘900 italiano, cioè con il riferimento del modello sovietico, il bene contrapposto al male del capitalismo e dell’imperialismo USA, si era consumata, oltre a essere stata una ideologia assolutamente falsificatrice della realtà. Ma Franco era un uomo di fede. Nessuno può vivere senza una fede, perché solo essa dà senso alla propria vita. Nel tempo della secolarizzazione della società, nel secolo del dio è morto, per un certo periodo sono state le grandi ideologie, le grandi visioni del mondo, i sistemi valoriali politici e culturali – i nazionalismi e i fascismi, il liberalismo, il popolarismo, il socialismo e il comunismo – ad aver preso il posto delle fedi religiose. Nel ‘900 si aderiva ad una ideologia e al suo insieme di valori in maniera di fatto escludente. Diciamolo semplicemente, in maniera fideistica. Ecco, Franco trovò nel comunismo la risposta alla sua domanda di fede. Magari, proprio in considerazione del fatto che il comunismo reale di Stalin e di Breznev era insostenibile e indifendibile, esaltava Fidel Castro. Oppure l’Ortega della rivoluzione nicaraguense, o altre esperienze rivoluzionarie, in particolare nel terzo mondo e che si ispiravano al comunismo. Ma rinunciare tout court al comunismo, a quella fede, sarebbe stato come restare in mare aperto senza bussola. Io credo che siano queste le motivazioni di fondo che lo spinsero a contrastare la svolta della Bolognina e poi a partecipare con passione al tentativo di ‘rifondare’ il comunismo nel Partito della Rifondazione Comunista, che pure gli diede la soddisfazione di sedere sugli scranni della Camera dei Deputati, cosa che sicuramente aveva meritato per la sua irreprensibile dedizione alla causa. Franco non avrebbe potuto convivere in un partito che non solo prendeva atto della fine del comunismo, ma che perdeva anche i tratti distintivi della propria identità; fino a confondersi con altri partiti di governo, più o meno meritevoli di rispetto e attenti al bene pubblico, ma sicuramente non rappresentanti una radicale alternativa alla visione del mondo egemone. Alternativa alla quale Franco è stato legato fino agli ultimi sofferti giorni della sua romantica vita.