Die Freude urklang per la Pace - Le Cronache
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Die Freude urklang per la Pace

Die Freude urklang per la Pace

Di Olga Chieffi

La IX Sinfonia di Ludwig Van Beethoven è il solo lavoro orchestrale del cosiddetto terzo stile, è la partitura in cui il ritorno al contrappunto è scarso, in cui manca la miracolosa liberazione nella semplicità monodica d’un filo di puro canto strumentale, è quella della novità sensazionale della introduzione delle voci, ma è certamente meno diversa, meno lontana dall’Eroica o dalla pastorale di quanto siano le ultime cinque sonate siano lontane dalla Patetica o dall’Appassionata. Allora perché stasera, alle ore 21, sul palcoscenico del Teatro Verdi di Salerno, nell’ambito di Musica d’Artista, cartellone firmato da Daniel Oren e Antonio Marzullo, l’orchestra e il coro del Massimo cittadino, diretti da Francesco Ivan Ciampa, con solisti, Juliana Grigoryan, Dmitry Korchak, Elmina Hasan e Mikhail Petrenko, con un KonzertMeister, severo e pathico quale è Mirela Lico, verrà eseguita la Sinfonia in re minore op.125, la “Corale”? Perché se pur a volte bistrattata da certa critica che vuole immediate e travolgenti la Quinta, la Sesta e la Settima, nessuno potrà mai togliere a questa partitura la proprietà di rendere consapevole l’inconscio, di estrinsecare ciò che era celato nelle profondità dell’animo, di pronunciare la parola risolutiva, Gioia, ovvero l’elevazione dell’uomo al di sopra delle miserie terrene in una sfera di comprensione superiore che consente la conciliazione degli opposti e la penetrazione nel mistero dell’esistenza. La IX rappresenta la cancellazione del Male e dell’Errore, che all’illuminato si rivelano semplicemente per realtà, altrettanto positive quanto il Bene e il Vero, semplicemente fraintese e collocate in un contesto improprio. La nona è il bilancio di una vita, l’espressione di quella concezione monumentale del genere sinfonico che poi si affermerà lungo l’intero arco dell’Ottocento culminando nella definizione di Gustav Mahler: “Una Sinfonia dev’essere un mondo”. L’attacco della Nona ha qualcosa di iniziatico, è uno dei passi più famosi per l’originalità intrinseca e l’influenza esercitata sulla musica futura. Il primo movimento (Allegro ma non troppo, un poco maestoso) allarga a dismisura la struttura della forma sonata: ampie zone tematiche sostituiscono i singoli temi canonici, mentre squarci contrappuntistici, idee umbratili e intime, episodi eroici (la tragica marcia conclusiva) ampliano come non mai il quadro espressivo. Lo Scherzo (Molto vivace), generato da una figura ritmica di tre note, ha una forza trascinante interrotta solo dal Trio (in re maggiore) e con le sue entrate polifoniche e lo straordinario intervento solistico del timpano conduce a perfezione il tipo dello Scherzo inaugurato nella Sinfonia eroica. Il terzo movimento ha una struttura a incastro, fra un primo tema in si bemolle maggiore (Adagio molto e cantabile) di natura quasi liturgica e “organistica” e un secondo in re maggiore (Andante moderato) che si inserisce fra le variazioni a cui il primo tema è sottoposto; un’ampia coda, interrotta da richiami di fanfara, chiude la pagina con l’autonomia di un episodio a sé. L’apparizione del tema della Gioia nel Finale è preceduta da un episodio di transizione di grande importanza: dopo un’armonia crudamente dissonante (Presto), violoncelli e contrabbassi introducono un recitativo che si alterna a brevi ritorni tematici, come citazioni, dei movimenti precedenti della sinfonia: è una pantomima “musicale” di temi proposti e rifiutati, seguita dall’esposizione del tema della Gioia da parte dell’orchestra (Allegro assai); dopo un ritorno alla dissonanza d’apertura, il baritono, riprendendo il recitativo, invita a voltare pagina verso nuovi orizzonti (“Amici, non questi suoni! Ma lasciateci intonare canti più graditi e gioiosi”): è l’invito al finale vero e proprio (Allegro assai), in cui i quattro solisti e il coro intonano nuove strofe scelte dall’Ode di Schiller e impaginate in quattro episodi musicali principali: il primo riprende ed elabora con le voci il tema della Gioia, il secondo lo trasforma in passo di Marcia (con la “musica turca” in orchestra, cioè gran cassa, piatti e triangolo), il terzo (Andante maestoso) introduce un nuovo tema di stampo händeliano per l’immagine della fratellanza universale (“Siate avvinti, o milioni”), il quarto combina in contrappunto rivoltabile il tema principale della Gioia con quello del terzo episodio: una grande architettura sonora che si incammina, attraverso una quantità di episodi secondari, alcuni anche di estatica commozione, verso la trionfale conclusione, quel tripudio musicale nel quale Maynard Salomon vede fuse insieme quattro componenti caratteristiche dell’ultimo stile beethoveniano: il canto, la danza, la variazione e la fuga, diventa così festosa enunciazione di un messaggio di libertà di fratellanza universale, che riprende da Schiller l’ideale di una nuova società. Per il poeta tedesco, convinto seguace di Kant, lo scopo dell’arte era quello di indirizzare l’umanità verso un nuovo ordine sociale, verso una nuova forma di armonia e di pace, che avrebbe permesso il libero sviluppo di tutte le potenzialità umane. Un filo, che vogliamo immaginare rosso, legherà, così, i valori di libertà, di passione, di democrazia e di pace. Non può non partire da un luogo d’arte, per di più a getto su quel Mare Nostrum che da tempo ha difficoltà a “parlare” e creare come una volta, come ai tempi della Schola Medica fatta da quattro esponenti delle massime religioni monoteiste il dialogo, per riottenere la pace, non può non partire dalla musica, che possiede, forse, il segno più democratico di tutti i linguaggi, poiché come il vento sul mare – ora lieve e impetuoso, ora acquietato – il mutare dell’espressione musicale è variato nel tempo attraverso un susseguirsi incessante di crisi, ripudi, violazioni e rinunzie. La musica e l’arte tutta, hanno la capacità di abbattere ogni muro poiché, pur rispettando l’individualità, di timbro, di interpretazione, fa ritrovare tutti nell’universalità del suo segno iridescente. Dalla Salerno musicale, dalla Hippocratica Civitas, quindi, la lezione di pace, per ottenere una terra senza alcuna ghirlanda spazzata via, senza specchi in frantumi, per seguitare ad irrompere gioiosi nella vita e in essa nuovamente esordire con più grande forza d’Amore.

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