Di Alberto Cuomo
Da tempo destra e sinistra, come le altre due definizioni, democratici e repubblicani o laburisti e conservatori, hanno perduto ogni significato ideologico e persistono nel vocabolario politico per indicare, alla maniera delle bande, due fazioni opposte utili a riconoscere i compagni di merenda con cui, secondo quanto mise in luce Jerry Lewis negli anni sessanta, in un film in cui interpretava un deputato per caso, indirizzare il voto parlamentare verso scelte utili ad affari privati. Se vi fosse bisogno di comprendere come destra e sinistra siano oggi indicatori vuoti basterebbe guardare alla loro alleanza in Francia rivolta a far cadere il governo e lo stesso presidente Macron. E il Trump che vuole porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina senza dare armi a Zelensky e facendo uscire gli Usa dalla Nato sarebbe forse un adepto del leader pentastellato Giuseppe Conte o di Nicola Fratoianni? Indubbiamente chi ha compreso come sia del tutto sterile schierarsi secondo prese di posizione ideologiche è Vincenzo De Luca il quale, non a caso, si è fatto sempre eleggere con liste civiche fai-da-te onde tenere una distanza dal partito, il Pd, cui è iscritto e che, in Campania, pure controlla. Resterebbero gli atteggiamenti. Si vuole che un atteggiamento coltivato dagli uomini della fu-destra sia caratterizzato dall’arroganza, dalla prepotenza e dalla violenza mentre chi è cresciuto nella fu-sinistra sarebbe aperto, tollerante, progressista. Basterebbe invece assistere a un dibattito televisivo per comprendere che non è così. E vuoi mettere la spocchia sulla propria superiorità culturale dei fu-sinistri? E qui De Luca, malgrado le rivendicazioni sul proprio passato nel nobile Partito comunista italiano, tipiche dei fu-sinistri, potrebbe essere collocato, per la ricorrente aggressività dei suoi discorsi, per i reiterati me-ne-frego, verso governo e partito, per il sarcasmo arrogante con cui definisce gli avversari e chi non la pensa come lui, come uomo della fu-destra. Le prime prove di potere pre-potere De Luca le fece da sindaco di Salerno, scendendo in strada a punire, in vece dei vigili, quanti, da “cafoni”, contravvenivano alle regole sul conferimento dei rifiuti o nella guida di auto e motorini. Si guadagnò per questo il titolo di “sceriffo” che gli diede popolarità anche in campo nazionale. Comprese pertanto che l’atteggiamento di “giustiziere” di giorno aveva un suo riflesso comunicazionale, magari proprio presso l’aborrito popolo di “cafoni” dall’anima semplice. Venne successivamente, seguendo tale linea comunicativa, la minaccia di inviare i carabinieri con lanciafiamme (altro che purghe con l’olio di ricino) in tempo di Covid, agli studenti che avrebbero festeggiato la laurea. E in questo senso va intesa anche la messa in ridicolo dei “cinghialoni” che si ostinavano a fare footing in presenza di ordinanze che vietavano di uscire. Gli epiteti più aggressivi li ha riservati però ai politici come Virginia Raggi, detta “bambolina imbambolata” o Valeria Ciarambino, soprannominata “a chiattona”. Per non dire dei velenosi rimbrotti per quanti si erano messi di traverso sulla sua strada, come Rosy Bindi, per la cui ‘infamità’ nel tentativo di invocare la sua incandidabilità in quanto indagato, avrebbe meritato di essere uccisa. In tale furia di violenza verbale non controllata sono venute poi le gaffe, quale fu l’invito ai convegnisti ed al pubblico di non comprare i giornali ma una zeppola, un babà, una pastiera, nel suo discorso al forum sul diabete del 2017. O quella, di qualche mese prima, a marzo, in occasione dell’inaugurazione di un laboratorio per l’introduzione dell’intelligenza artificiale in campo sanitario, allorchè attribuì al questore di Napoli, Antonio de Iesu, parlando a microfoni aperti con il deputato dem Leonardo Impegno, un giudizio negativo su De Magistris, sì da essere costretto a smentirsi dopo che il sindaco partenopeo ebbe chiesto pubblicamente ragioni allo stesso questore, il quale negò ogni cosa. Il suo forte però è nel prendersela con chi lo contrasta, anche nel suo partito. Quando fu eletto al Parlamento e non si dimise da sindaco di Salerno, si difese affermando che “i senatori del Pd che vogliono le mie dimissioni sono fallofori” e qualche anno dopo, diede sarcasticamente per morto il ministro dell’Economia nel governo Conte, Roberto Gualtieri, in quanto silente alle sue rivendicazioni. Su Salvini ha detto di tutto: “Sciacallo, cafone, tre volte somaro. Ha la faccia come il suo fondoschiena usurato”, “somaro politico, ha ripreso a ragliare”, “esponente milanese del sovranismo che va in giro per l’Italia per farsi guardare gli occhiali nuovi, color pannolino di bimbo”. Con i giornalisti che non capiscono la propria grandezza ce l’ha a morte. Per lui sono infatti “farabutti” rei di “camorrismo giornalistico”, quelli di Report, mentre Marco Travaglio è stato definito “quel grandissimo sfessato che aspetto di incontrare qualche volta a Roma per strada al buio”. Ma non solo i singoli giornalisti sono da condannare, quanto anche l’Ordine e la stampa tutta che condizionerebbe la politica. Ambiguo negli atteggiamenti tra fu-destra e fu-sinistra il vero punto di forza di De Luca è nello scoprire persone da elevare a posti di comando poi puntualmente sottoposti a indagine per l’esercizio cui sono stati addetti. Ciò sin dal suo mandato di sindaco allorchè alcuni consiglieri eletti nelle sue liste furono indagati per reati di associazione. Avendo replicato ai giornalisti che gli hanno chiesto dell’assessore Cascone, dimessosi perché indagato per associazione di stampo mafioso, con la sbrigativa frase “non parlo di scemenze”, è probabile la sua lista regionale per il terzo mandato possa essere: Alfieri, Bove, Cascone, Coscioni, per finire a Zannini, tutti indagati. La lista sarà naturalmente denominata “Campania Libera”, e mai invocazione fu più azzeccata.