di Aldo Primicerio
Il dibattito su ideologia e pragmatismo – apparentemente sublime, per noi invece più da suola di scarpe – ormai impazza da tempo in politica. A cavalcarlo oggi sono, sull’ambiente e su COP 29, il presidente ed il vice presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e Matteo Salvini. La prima raccomanda che l’approccio con l’ambiente deve essere pragmatico e non ideologico. Il secondo, sempre sull’ambiente, ammonisce tutti con un no a ideologia e fanatismo, e con un sì al pragmatismo. Ma a discettare su questi alti pensieri è stato 30 anni fa Silvio Berlusconi, lui che amava affrontare il mondo reale, non quello ideale. Attenzione, ideale e non ideologico, diceva Silvio, persona intelligente e colta di studi.
I nostri governanti di oggi invece non si pongono il problema della lingua italiana.
Ideale, dal greco ἰδέα e dal latino video, è un aggettivo che indica ciò che si vede, cioè un concetto di rappresentazione del reale. Ideologico indica invece una combinazione di idee e di visioni del mondo, che poi diventa dottrina ed orienta un gruppo sociale. Vaglielo a spiegare a gente che non ha mai studiato nella vita. Quindi, in sostanza, le idee sono percezioni degli individui. Le ideologie sono invece sistemi di idee, con il compito di formare l’opinione pubblica. Ma tutto questo che gliene frega ai nostri due eccelsi governanti in carica? Loro non si pongono il problema semantico e non vanno per il sottile. Per loro non c’è differenza tra ideale e ideologia. Secondo una nota community, l’ideale poggia su un’esperienza presente che rende felici subito, ma che si compirà in futuro. L’ideologia si regge invece su un progetto futuro che si insegue sempre, e che forse non accade mai. L’ideale produce scoperte nuove e personali, perché si realizza a ogni passo. L’ideologia uniforma tutto in ripetizione e discorso. L’ideale genera amicizia, l’ideologia invece burocrazia. L’ideale esalta la comunione, l’ideologia il capo. L’ideale non delude e sprona, l’ideologia invece delude sempre. L’ideale accoglie chiunque, l’ideologia ha bisogno di nemici. Ma la politica, certa politica, deve sforzarsi di capirlo, a cominciare dal nostro Presidente. A proposito, Giorgia non è il nostro premier, come ripete spesso certo giornalismo frettoloso ed un pò incolto. In Italia il premier, o primo ministro, non è eletto a suffragio universale dai cittadini elettori. E’ nominato dal Presidente della Repubblica, dopo essere stato indicato dal partito o dalla coalizione che vince le elezioni.
Il neo euroscetticismo pragmatico meloniano invece del suo vecchio (ideologico) antieuropeismo
Ma tornando al distinguo tra ideologia e pragmatismo, l’euroscetticismo di questa maggioranza si spiega con il suo neo- eurorealismo pragmatico, rispetto al antieuropeismo della destra. Per il governo Meloni il suo neoeuropeismo intende conseguire l’obiettivo di un sostegno all’Europa in una chiave utilitaristica di interesse nazionale, in una visione di “Europa delle patrie”, alla Orban insomma. Il pragmatismo meloniano emerge, ad esempio, dalla linea della destra sul contrasto al cambiamento climatico e sulla transizione energetica. Una linea che mette sull’avviso sui costi sociali ed economici della pur necessaria transizione. Alla COP 29 di Baku (una ridicola conferenza sulle energie alternative svoltasi in Azeirbagian, la patria del petrolio) il nostro presidente ha ripetuto quello già detto alla COP28 di Dubai: garantire una transizione energetica “non ideologica”, che tenga conto delle esigenze di sostenibilità sociale ed economica dei processi di decarbonizzazione.
La crisi delle ideologie di ieri e la ricerca spasmodica del pragmatismo di oggi
Quindi, ci si svuole sbarazzare ovunque delle vecchie ideologie. Sono ritenute responsabili della profonda crisi che stiamo vivendo. E quindi ecco spiegato il pragmatismo. Secondo Meloni-Salvini è la panacea di tutti i mali, la via per liquidare la mano morta del passato, per giudicare finalmente le cose per quelle che sono, legate alla realtà del nostro presente, alla velocità del praticismo che vaporizza le lentezza del teorismo. Forse un giudizio sensato in generale, ma – cara Giorgia, caro Matteo – un grave errore in politica. L’agire, specie in politica, non può essere guidato dall’empirismo, quell’approccio pratico e sperimentale alla conoscenza teorizzato nel ‘600 dal filosofo inglese John Locke. L’empirismo-pragmatismo è un metodo basato sull’a-posteriori, cioè sull’esperienza del dopo, in quanto la conoscenza non sarebbe universale ma dipendente dall’esperienza del soggetto. E di qui – è la nostra opinione – la scelta, da parte dell’italiano medio, della comoda via del pragmatismo, senza preoccupazione per la moralità. Il bello e comico è che, per molti di noi, la concezione etica e rigorosa va bene per gli altri, ma quando di tratta di noi stessi, facciamo tutto quello che è pratico conveniente ed utile, senza freni etici.
Secondo noi, il pragmatismo in politica è un grave errore. Se la Meloni ci leggesse, le consiglieremmo di rifletterci su, da persona intelligente quale è. L’azione politica non può essere guidata solo dalla quotidianità. E’ indispensabile che dietro ci sia sempre una visione, un’idea (e non una ideologia) della società che si vuole costruire. Le aspirazioni a lungo termine vanno fondate, devono fondarsi sulle teorie e sui valori. La politica non è solo fare, ma è soprattutto desiderar di fare e di cambiare. Ed il cambiamento, nel promettere progresso, fa immaginare, stimolare visioni, sogni. Per raggiungere uno scopo ci vuole un pensiero, da cui nasce un’azione, che porta a un risultato concreto e soprattutto – ciò che più conta – indica, fissa e conferma un’identità. Il pragmatismo è importante, ma per l’immediato. Se si vuole trasformare e migliorare la società occorrono sogni, visioni e idee. Che poi Meloni, Salvini e compagnia bella, confondono con le ideologie. E di qui il retrocedere del nostro Paese verso tre culture degradanti: quella del sospetto, quella della dietrologia, e quella post-ideologica e pragmatica. Tre culture tipicamente italiane che hanno avvelenato i pozzi di quella democrazia pazientemente costruita dopo la guerra.
E qui, a “certa politica” da somari – senza offesa per questi animali dotati invece di un acuto spirito di osservazione – è utile ricordare una massima di Winston Churchill: “Mi piacciono gli italiani perchè vanno alla guerra come fosse una partita di calcio, e vanno a una partita di calcio come fosse la guerra”. Negli 80 anni che sono passati, da noi non è cambiato nulla. E per cambiare ci vogliono le idee.