di Aldo Primicerio
Ma alla politica – tutta la politica – che non si vada a votare non interessa nulla. Ce ne siamo fatta una ragione leggendo tutto d’un fiato il pensiero di Cremaschi, un sindacalista di sinistra, ma con la testa del più puro liberaldemocratico moderato, quella parte politica che ci piace di più, perché più vicina ai cittadini, protettiva dei diritti e libertà individuali, sostenitrice della divisione dei poteri, rispettosa del giusto processo secondo la Costituzione, più vicina insomma ad una società civile, in una sola parola, alla verità. Che a votare alle ultime regionali in Liguria sia andato solo il 46 per cento – 8 punti in meno del 2020 – non ha neanche sfiorato i commenti della politica. E men che meno che Bucci abbia vinto per poco più di 1 punto percentuale. E neanche che il centrodx abbia vinto con 100milavoti in meno, o che il Pd sia il primo partito (28,5%) con quasi il doppio dei voti di FdI (15,1), e quasi il quadruplo della Lega e di Forza Italia (8,5 e 8). Alla politica, ma anche al giornalismo sdraiato sul sofà di palazzo, piace occuparsi del “campo stretto” degli elettori che vanno alle urne. D’altronde c’è chi teorizza la riduzione della partecipazione al voto come “il necessario effetto di un democrazia soddisfatta e matura”. Non sappiamo chi sia il teoretico, ma più che matura la democrazia italiana pare sia andata a male, truccata fino a diventare indefinibile.
E’ dal 1996, e quindi quasi un trentennio, che in Italia cresce il livello di astensionismo elettorale. Perché?
L’astensionismo alle urne è un fenomeno complesso. Anche perché non sempre una maggiore partecipazione è sinonimo di maggiore democrazia. Una delle ragioni dell’astensionismo pare sia legata al rapporto clientelismo/consenso, degradatosi nel tempo, specie al Sud dove per decenni tutto è stato filtrato attraverso la politica. Innanzitutto i motivi di vota e chi no, riconducibili a ragioni istituzionali e di opportunità. Il cittadino non vede più le prime, perché il sistema di oggi gli nega la facoltà di scegliere. Subisce le seconde, perché l’iscrizione alle liste elettorali è d’ufficio e non a domanda, come in Francia o negli Usa. In generale, negli ultimi anni la politica è diventata un mercato libero, in cui non ci sentiamo più vincolati alle appartenenze subculturali e personali: Ma votiamo in un sistema paradossale dopo la riforma elettorale in senso maggioritario. La parte più consistente di elettori apparterrebbe al centro, inteso come luogo politico di separazione fra destra e sinistra. Ed invece, si trova a scegliere fra i due poli. Ed allora cosa accade? Che soprattutto al Sud l’elettorato moderato sceglie, oltre la sinistra e la destra, anche una terza via che conduce all’astensionismo o a un voto parziale, cioè un voto valido su una sola delle schede ricevute. E poi c’è da fare i conti con la fine del clientelismo. Il restringersi delle opportunità di relazioni clientelari accelera la sfiducia sistemica, alimentando astensionismo o scheda bianca e quindi nulla. E’ la nostra personale lettura di quel che accade. Non isolata, perché l’abbiamo letta anche su anlisi di giornali inglesi, tedeschi e francesi, che seguono molto le vicende politico-elettorali dell’Italia, molto più di quanto non facciano i media italiani, ormai sempre più politicizzati e palazzati.
L’assenza dal voto non è soddisfazione placata ma il suo opposto, la insoddisfazione rabbiosa di non poter cambiare nulla
E quindi ecco il popolo che non va più a votare, perché non può scegliere nulla, sempre più suddito di decisioni immodificabili prese dall’alto, sempre più cittadino che non ha diritti da rivendicare. Per definire la politica di oggi qualcuno le ha datto il nome femminile di TINA, un acronimo coniato da Margaret Thatcher, che sta per there is not alternative, non c’è alternativa. Non c’è alla guerra russo-ucraina o a quella israelo-palestinese, non c’è all’austerità economica, non c’è alla catastrofe ambientale. Avete mai sentito qualcuno di questa maggioranza alludere a qualche alternativa, se non a quella di stanziare 10 miliardi per dare armi a Zelensky, o a quella di sottrarre soldi alla sanità per tappare le falle del debito pubblico, o a quella di votare no al Green Deal o al Nature Restoration Law per indebolire l’Unione Europea e schierarsi dalla parte di Orban. Ma quand’è che si votava di più e, qualcuno potrebbe chiederci, perché? Accadeva quando meno potevi aspettartelo, cioè quando l’Italia era il Paese con il più forte partito comunista dell’Occidente, o quello con il più importante partito cristiano-cattolico del pianeta. E sapete quando e per cosa accade? Per le elezioni regionali e per i comuni delle grandi città, cioè le istituzioni più vicine ai cittadini, gli enti locali. Che oggi sono vissuti come i più lontani ed i più corrotti. Negli enti locali domina brutalmente il partito unico degli affari, del cemento, delle privatizzazioni e dei tagli ai servizi sociali. Ci troviamo oggi davanti ad una politica sempre più escludente e che poi i cittadini escludono dal loro interesse. E va bene così a tutti, ai partiti ed a molti giornali e tv, che farfugliano su numeri e dichiarazioni demenziali di vincitori e vinti, invece che girare nei quartieri popolari a chiedere: chi e perché non vota?
La risposta potrebbe essere nel Rosatellum bis, il sistema elettorale in vigore in Italia per il voto alle politiche, lega in maniera perversa il maggioritario con il proporzionale, produce sugli eletti un “effetto flipper” in parti diverse del Paese. Insomma chi va alle urne vota solo per chi può vincere e non per chi possa rappresentarti meglio, come era prima con il proporzionale. E’ la democrazia truccata. Buona per chi fa politica con i trucchi. Ma intanto si sta disfacendo il Paese, sgretolando la Costituzione, tentando di asservire la magistratura alla politica, di indebolire il processo di transizione energetica per tutale gli interessi delle lobbies e dei ricchi, di strumentalizzare i dossieraggi facendoli passare come attacchi della sinistra e non per quello che sono, un volgare mercato di informazioni per fare soldi su infedeltà coniugali o maxievasioni fiscali. Che confusione in questo Paese… Cui ci mette del suo anche il nostro amatissimo Pontefice che, volendo dire altro, sbaglia le parole dicendo: “L’Italia non fa più figli, servono i migranti”. Ma per fare cosa, grande Francesco? Vuoi spiegarlo con il tuo fascinoso ispano-italiano? E vuoi spiegare anche perché e fino a quale limite le donne potrebbero fare le diacone?