di Peppe Rinaldi
“Secondo l’interpretazione della giurisprudenza amministrativa, la situazione di conflitto di interessi si configura quando le decisioni che richiedono imparzialità di giudizio siano adottate da un pubblico funzionario che abbia, anche solo potenzialmente, interessi privati in contrasto con l’interesse pubblico alla cui cura è preposto. La gestione del conflitto di interessi è, dunque, espressione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa.
L’interesse privato che potrebbe porsi in contrasto con l’interesse pubblico può essere di natura finanziaria, economica o derivante da particolari legami di parentela, affinità, convivenza o frequentazione abituale con i soggetti destinatari dell’azione amministrativa”.
Le otto righe appena scorse si leggono nell’incipit del capitolo “Conflitto d’interessi” pubblicato sul sito web dell’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione cui tre quarti d’Italia si rivolgono per fare o non fare determinati passi politici e amministrativi. La domanda di fondo, nella sua apparente banalità, è questa: un pubblico ufficiale che ricopra cariche istituzionali e politiche, uomo forte e membro apicale di una famiglia di banchieri (e imprenditori in generale), può governare senza l’ombra del minimo conflitto di interessi non uno ma più enti locali i cui servizi bancari e finanziari sono in larga parte gestiti dall’istituto di credito di famiglia? A questa domanda, peraltro posta in diverse occasioni lontane nel tempo e distanti da questi giorni di facili maramaldeggi sulle spoglie di Alfieri, non è mai giunta risposta, come per altre. Ma un problema, oggettivamente, c’è. C’era anche prima.
Il presidente Alfieri è ora agli arresti domiciliari nella propria villa di Torchiara, il paesino che gli diede i natali nel 1965 e dal quale ha avviato una formidabile scalata ai vertici della politica e delle istituzioni nel corso di lunghi – e si presume faticosi – anni di attività. Tutto legittimo, a tratti anche interessante come parabola umana, ma questo è un altro discorso. Poi c’è l’impatto con la realtà, oggi spietata per l’esito traumatico sia per la persona che per il territorio di riferimento: non è il primo caso, non sarà l’ultimo.
Ora, è noto «lippis et tonsoribus», cioè a tutti, che la Banca Magna Grecia sia l’istituto di credito della famiglia Alfieri, al netto delle fusioni e trasformazioni varie occorse negli anni (prima era la Bcc dei comuni cilentani); così come tutti sappiamo che il presidente non vi ha alcun ruolo operativo e, forse, neppure giuridico nel senso che non risulta titolare di quote, azioni od altro. E’ Lucio Alfieri, fratello minore del capofamiglia Francesco, il presidente della banca. Quest’ultimo risulta anche socio di imprese edili (la “A&M” e la “M&A”) segnalatesi nella intricatissima faccenda dell’acquisto da parte del Comune di Agropoli del Castello aragonese, del centro ricettivo ad esso prossimo, della società pubblica Stu (trasformazione urbana) e di altro, durante la stessa amministrazione del fratello principale.
Le indagini attuali
L’argomento non è, da che risulti a questo giornale, al centro dell’attività investigativa della procura di Salerno che ha chiesto ed ottenuto il carcere per Alfieri in conseguenza delle contestate turbative d’asta e relative corruzioni. Gli inquirenti hanno lavorato pancia a terra nell’ambito dei casi Dervit-Alfieri; stanno poi perfezionando l’altro ramo scoperto relativo al sottopasso di Paestum, quello che ha visto coinvolto il consigliere regionale del Pd Luca Cascone e la Cogea, altra società da tempo in rapporti con Alfieri; c’è poi il filone del Cfi, collaterale al cuore delle indagini principali, che sembra promettere novità tenuto conto della nota e antica situazione dei conti aziendali, degli apparati di gestione del consorzio in termini di personale, magazzino e inventario farmacie, vendita e forniture di farmaci, rilevamenti opachi da parte di terzi di alcune unità locali, contratti di lavoro, modalità di accesso a ruoli e funzioni aziendali, legami opachi con alcune amministrazioni locali, sindaci e membri delle forze dell’ordine (nel Cfi risultano assunte diverse mogli/fidanzate/amanti/sorelle di carabinieri, poliziotti e finanzieri, oltre a una «parentopoli» di chiara matrice politico-istituzionale).
Questo aspetto del conflitto di interessi non risulterebbe, però, oggetto di interesse investigativo: ma non lo è adesso, perché prima anche questa circostanza era stata al centro di corpose relazioni di polizia giudiziaria confluite in fascicoli «pesanti» di pochi anni fa, istruiti sia a Vallo della Lucania che a Salerno e tutti regolarmente abortiti.
Ruolo e interessi di una banca nell’ente locale
Prima di scendere nel dettaglio cerchiamo di sintetizzare il funzionamento del servizio di tesoreria di una banca presso un ente locale. In primo luogo è d’obbligo che il Comune, la Provincia, la Comunità montana, l’Asl, etc. facciano una indagine di mercato per individuare il soggetto che offra le migliori condizioni contrattuali, questo è pacifico. Una volta scelto l’istituto si stipula il contratto con l’ente, col quale si precisano miliardi di clausole e dettagli, tra cui l’interesse praticato attivamente/passivamente all’interno del quadro normativo e in equilibrio con la libertà d’impresa. Per il servizio tesoreria l’ente pagherà la cifra X, per le anticipazioni di cassa pagherà Y, per eventuali sforamenti (rigidamente disciplinati) si pagherà invece Z. La banca in questo trae il proprio legittimo profitto attraverso i conti correnti del personale dell’ente pubblico e relativi familiari oltre che, naturalmente, dall’agio sui prestiti eventuali nonché dagli ovvi rapporti e relazioni utili insorgenti grazie al servizio. Un servizio che, però, può essere prorogato solo per una volta e per un periodo non superiore ai tre anni, dopodiché va rifatto il percorso daccapo. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E vediamolo questo mare, almeno per come sembra mostrarsi.
La banca Magna Grecia effettua il servizio di tesoreria in questi comuni: Cicerale, Omignano, Laureana Cilento, Lustra, Ogliastro Cilento, Prignano Cilento, Torchiara, Agropoli, Perdifumo, Rutino, Castelnuovo Cilento, Salento, Giungano, Albanella. A Capaccio, ultimo comune amministrato da Alfieri (è già stato sindaco di Torchiara e Agropoli diverse volte), il servizio lo fa la locale Bcc (Banca di credito cooperativo) guidata però da un ex alto dirigente della Magna Grecia. I comuni indicati godono del servizio singolarmente ma l’Unione dei comuni dell’Alto Cilento, della quale abbiamo scritto tempo fa rilevandone l’alchimia politico-istituzionale volta alla sofisticazione sistematica del dettato normativo, pure è servita dalla Magna Grecia, come la stessa Comunità montana del territorio. Insomma, non sono pochi gli enti locali del territorio «sotto il controllo» della banca Alfieri. Di conseguenza non è neppure irrilevante il giro di danaro.
Ipotesi di scuola
Ora, che le banche prosperino sui debiti altrui non è Cronache ad immaginarlo, è una storia antica quanto il mondo. Senza le bacge, va da sé, non ci sarebbe economia e torneremmo a batterci con la clava anche per aprire un negozio di frutta. E, ancora, che gli enti elencati siano tutti indebitati neppure è una novità, basti considerare che la sola Unione Alto Cilento viaggia attorno ai 20milioni di euro di passivo a valle di anni e anni di disattenzione degli organi di controllo, tuttora perduranti a partire dalla sempre comoda Corte dei Conti. Disattenzioni di qua, disattenzioni di là, ecco che alla fine un patatrac sempre accade, come il «fumus» esalante dagli uffici napoletani di procura lascia sospettare. Si vedrà.
Contro osservazione: ma Alfieri non è mica il sindaco di tutti quei comuni? Giusto, non lo è, almeno non di ciascuno e non formalmente. Ma che egli sia (stato) il punto di riferimento politico, non da oggi, per un’intera area della provincia di Salerno, neppure è smentibile, visti, peraltro, i diffusi guai giudiziari piovuti e «piovendi« sul capo del presidente della Provincia e sindaco di Capaccio.
Facciamo qualche ipotesi di scuola: quando Alfieri è diventato sindaco di Agropoli il servizio lo svolgeva l’allora Banca di Roma, poi è subentrata la Bcc-Magna Grecia e si presume ci sia stata la previa indagine di mercato, che ogni tre anni sia stata fatta la rotazione, che il tasso di interessi praticato non abbia debordato, che eventuali anticipazioni oltre la soglia (superata la quale non si paga più l’1,5-2% di interesse ma molto di più) siano state fatte nei soli casi previsti dalla legge, cioè per servizi essenziali e pagamento stipendi, e via dicendo. Questo per Agropoli, ma varrebbe per tutti gli enti interessati. E’ andata così? Oggi chi lo svolge il servizio?
Quando, per continuare con gli esempi di scuola, il sindaco – che è l’interlocutore e contraente diretto della banca – sceglie di indebitare l’ente per le ragioni più svariate, scarica sulla collettività il peso della relativa manovra facendo, giocoforza, arricchire la banca di riferimento che, ad esempio, per un’anticipazione di milioni di euro oltre il limite stabilito (come avvenuto di recente a Capaccio) arriva a chiedere anche l’8-9 per cento. Lo capisce anche un bambino che così il motto si trasforma e diventa: “Più vi indebito, più io guadagno”: laddove per «vi» si intendano gli enti e le comunità amministrate e per «io» la banca, quella della famiglia Alfieri.
Anche se in questa io non ho alcun ruolo (ufficiale)? Per rispondere a questo legittimo interrogativo si torni alle prime righe di questo articolo. E si ricominci daccapo.