Messe a confronto del cardinale Bartolucci e Giacomo Puccini - Le Cronache Spettacolo e Cultura

La IX edizione del Sacrum Festival  chiude nell’incanto della Basilica di Santa Maria in Ara Coeli, dopo gli appuntamenti di Avezzano e L’Aquila. Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese e International Opera Choir  diretti dal Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, con solisti per le due partiture, Maria Tomassi, Vincenzo Costanzo e Armando Likaj

Di Olga Chieffi

Domenica 27 ottobre, sempre alle 18.30, nella superba cornice della Basilica di Santa Maria in Ara Coeli in Roma, alla presenza di Franco Biciocchi, Presidente della Fondazione Card. Domenico Bartolucci, Bruno Carioti, Presidente dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese, Luca Ciccimarra, Direttore Generale del Sacrum Festival, Federico Mollicone, Presidente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione, e ancora Michele Fina, Senatore della Repubblica, Segretario Pd Abruzzo, Nazario Pagano, Onorevole, Presidente 1° Comm. Affari Costituzionali, Roberto Santangelo, Assessore ai Beni e Attività Culturali Regione Abruzzo, Daniela Traldi, Presidente Confederazione Lirica Italiana e di Sua Em.za Rev.ma il Signor Cardinale Dominique Mamberti, Presidente Onorario Fondazione Card. Domenico Bartolucci, concerti, questi, organizzati in collaborazione con Sacrum Festival e il sostegno della Fondazione Cardinale Domenico Bartolucci. Parterre particolare per questo appuntamento che vede in programma due Messe quella del Cardinale Domenico Bartolucci, in onore di Santa Cecilia, che vede impegnata nella parte solistica il soprano Maria Tomassi e la Messa di Gloria per soli, coro e orchestra, composta dal giovane Giacomo Puccini nel 1880 al termine del suo periodo di studi a Lucca, e riscoperta soltanto negli anni Cinquanta dello scorso secolo, con solisti  il tenore Vincenzo Costanzo e al baritono Armando Likaj. Sul podio il direttore musicale dell’ISA, il M° Jacopo Sipari di Pescasseroli che dirigerà l’Orchestra dell’ISA, con alcuni giovani allievi del Conservatorio Statale di Musica “A. Casella” dell’Aquila, e i coristi dell’International Opera Choir preparati da Giovanni Mirabile. “Questa nuova edizione di Sacrum – ha affermato il direttore generale del festival Luca Ciccimarra – potremmo definirla un “meta tributo”, ponendo essa l’occhio su di una splendida opera del Cardinale Domenico Bartolucci, in onore della patrona della Musica Santa Cecilia, svelando, quindi, un aspetto poco conosciuto di Giacomo Puccini, nell’anno celebrativo il centenario della sua scomparsa e omaggiando la musica sacra tutta. Ma, in questi tempi di oscuri, di guerra, Sacrum, attraverso il segno musicale, vuol essere un invito a ritrovare il senso del Sacro. Un momento, un ascolto particolare per penetrare questa realtà che sembra da tempo scomparsa, nascosta, a volte amica e a volte nemica, a volte mysterium tremendum e a volte mysterium fascinans, che gli umani possono sperimentare anche nel rito “sacro” del concerto, della rappresentazione, del luogo, che appartiene ad ogni arte. Così, quest’anno il concerto ha avuto il suo debutto in Avezzano, quindi, a L’Aquila quale appuntamento inaugurale della cinquantesima stagione della prestigiosa Istituzione Sinfonica Abruzzese e qui, oggi, nell’abituale cornice della basilica di Santa Maria in Ara Coeli, ove “l’arte nel suo mistero le diverse bellezze insiem confonde”, per farci ritrovare quel Sacrum smarrito, preludio ad un decennale del festival, che sarà pura essenza delle celebrazioni del Giubileo”.

Un confronto particolare quello tra il sentire musicale del Cardinale Bartolucci e del giovane Giacomo Puccini che guardava già al conservatorio di Milano e ai grandi palcoscenici, il fervente cattolico e l’agnostico, ma un solo segno, ineludibile e inafferrabile, quale goccia di mercurio, che è quello della Musica, trattato con raffinatissima tecnica e creatività da entrambi gli eccezionali compositori.

La Messa in onore di  Santa Cecilia, per soprano, coro, e orchestra,  pubblicata solo nel 1989 dal compianto Maestro Direttore della Cappella Musicale Pontificia, la “Cappella Sistina”, iniziato alla musica da Francesco Bagnoli, Maestro di cappella del duomo di Firenze, quindi a Roma per maturare una più profonda conoscenza della musica sacra, grazie al contatto con la pratica delle allora fiorenti cappelle musicali, ospite presso l’Almo Collegio di Capranica, per studiare con Raffaele Casimiri, studioso palestriniano, e perfezionarsi con Ildebrando Pizzetti e Licinio Refice, indi affiancato a Lavinio Virgili quale vice direttore della Cappella di San Giovanni in Laterano, maestro della Cappella liberiana di Santa Maria Maggiore, docente di composizione e direzione polifonica proprio al Pontificio Istituto di Musica Sacra, quindi successore di Lorenzo Perosi quale direttore perpetuo della Cappella Sistina, fu scritta in vista di una esecuzione alla Cappella Musicale della SS. Annunziata di Firenze da cui avrebbe dovuto essere trasmessa la celebrazione in onore della patrona della musica. Un progetto, riferisce in un suo scritto, lo stesso Cardinale, che non andò mai in porto forse per il maestoso organico, ma realizzato magnificamente in Germania. Ad una prima visione della pagina, nella sua austera semplicità del linguaggio, ad impressionare è la disposizione delle voci a canone e l’uso che il compositore fa dei frammenti sia melodici che ritmici, che vengono impiegati anche quali spunti orchestrali, nelle varie entrate tra le voci, imitate in un contrappunto di raffinatissima fattura. La materia musicale emoziona per il suo denso lirismo, quasi costantemente puro e spirituale, il cui ideale potrebbe guardare al capostipite di una scuola romana, italiana, che consegna le chiavi del nostro segno all’Europa e alla modernità,  che è il Carissimi. L’inizio del Kyrie colpisce già dalle prime due battute, infatti pur essendo in tonalità di la bemolle maggiore, offre una sensazione di indeterminatezza, in quanto il colore dell’accordo “svuotato” della tonica, offre un senso di sospensione eterea. Un aspetto questo, che tra le righe, nasconde, più avanti, per quanti andranno a leggere ed ascoltare, l’impressione di trovarsi dinanzi ad una cadenza plagale, che è la cadenza cosiddetta dell’Amen, e, procedendo nei vari numeri, ci si troverà dinanzi ad episodi fugati e corali variati, in uno strano e suggestivo eclettismo che porta il cardinale a modulare a toni lontani anche attraverso una sola nota, tecnica usata nella composizione della musica applicata, che porta velocemente alla trasformazione del climax. Un’opera organica ciclica, questa, che sfrutta sino all’ultimo numero l’Agnus Dei, tutti gli elementi caratterizzanti, presentati all’inizio della partitura, come l’uso di questo mi bemolle, latore di pace, nota con la quale si congeda anche il soprano, che attraversa l’intera opera, specchio dei grandissimi compositori, capaci da una sola cellula di portare a compimento l’intero lavoro, senza alimentare di continuo il calderone di idee e spunti sempre diversi. Un segno musicale, quello del Cardinale, che riesce ad armonizzare compiutamente quella sintesi poetico-mistica di schietta ispirazione cattolica, riuscendo a conseguire un fascino genuino, fatto di ingenuo misticismo, espresso con affettuose pennellate sonore. Merito del Cardinale Bartolucci è, certo, quello di aver scelto il linguaggio del suo tempo, diffidando da utopistici concetti neopalestriniani, depurando ogni suo passaggio da falsi residui romantici, presenti, ad esempio, nella produzione sacra tedesca o da ambiziose filiazioni neobarocche, irrimediabilmente vuote di contenuto, per questa messa che vive di autentica ispirazione, perfettamente equilibrata rispetto all’esigenza liturgica e condotta in modo sapiente, nel sobrio dialogo tra le voci e l’orchestra. La Messa a quattro voci con orchestra fu composta a Lucca da Puccini nel 1880, a ventidue anni, quale lavoro finale di diploma presso l’ Istituto Musicale “G. Pacini”. Spesso è indicata con il titolo Messa di Gloria: si tratta tuttavia, di un errore, perché generalmente, e salvo poche eccezioni, quel titolo indica una composizione che comprende solo le due prime sezioni, Kyrie e Gloria, mentre qui sono presenti tutte e cinque le parti consuete di una messa. Quella pucciniana, però, della quale il suo autore non volle mai pubblicare il manoscritto completo e che, una volta raggiunta la notorietà, definì “peccato giovanile”, cadde presto nell’oblio. La sua riscoperta fu al centro di una vicenda confusa e rocambolesca: alla fine della Seconda guerra mondiale, Dante Del Fiorentino, il parroco della St. Lucy’s Church in Brooklyn incaricato di scrivere una biografia del compositore dall’eloquente titolo Immortal Bohemian: An intimate memoir of G. P., 1952, fece pubblicare quella che riteneva essere la partitura autografa, acquistata dalla famiglia Vandini di Lucca. Trattandosi invece di una copia, la Messa entrò in una battaglia legale che terminò con la divisione dei diritti d’autore tra la Ricordi e l’editore americano. Il Kyrie inizia con una luminosa introduzione che conduce a un lirico Kyrie eleison. La musica si fa più energica a metà del Christe Eleison, prima di tornare al clima pacifico dell’inizio. Il Gloria, che occupa quasi la metà dell’intera messa, potrebbe essere facilmente eseguito come un’opera completa a sé stante: abbonda di energia ritmica, melodie svettanti e gesti drammatici sorprendenti. Qui l’istinto operistico di Puccini è pienamente espresso. Diverse le sezioni, a partire da un gioioso tema iniziale che definisce il movimento. Un drammatico assolo del tenore al Gratias agimus è seguito da una ripresa del tema del Gloria in excelsis, quindi, nel Qui tollis una melodia che guarda a Verdi, è introdotta dai bassi del coro. Il Cum sancto spiritu, come da tradizione, è impostato su un’esuberante fuga, la cui sezione finale combina il soggetto con il tema iniziale del Gloria, raggiungendo un climax avvincente. Anche il Credo ha diverse sezioni. Inizia con forti declamati corali all’unisono a cui rispondono interpolazioni strumentali crescenti. Una bella sezione per tenore solo e coro non accompagnato segue l’ Et incarnatus est. Dopo un lungo assolo di basso nel Crucifixus, la musica esplode di vita per l’energico Et resurrexit. I toni solenni di Et expecto resurrectionem mortuorum introducono la sezione conclusiva del Credo: un et vitam venturi sorprendentemente leggero e danzante. Il Sanctus è breve e semplice, mentre la maestosa apertura è seguita da un vivace Pleni sunt coeli e da un Hosanna. Il Benedictus è affidato al baritono solista, mentre il coro ritorna con un breve Hosanna. Anche l’Agnus Dei è lineare: qui tenore e baritono potrebbero tranquillamente essere Rodolfo e Marcello, usciti dalla soffitta de La Bohème per due minuti di penitenza, dolcemente ripresi dal coro. La scrittura vocale si ispira allo stile imitativo della polifonia classica di Palestrina, che a quel tempo era un modello di studio nei Conservatori italiani. L’Et in terra pax e il Laudamus te mostrano chiare impronte della musica religiosa del suo tempo, a partire dai grandi oratori di Mendelssohn. Più autenticamente pucciniano è il Gratias agimus tibi, per voce di tenore solista, dove emerge il calore espressivo e l’accento profondamente umano del futuro compositore delle arie di De Grieux, Rodolfo e Cavaradossi. La Messa si conclude così con un ritmo di valzer, accompagnato dai fiati e dal pizzicato degli archi, quasi a evocare un’uscita spensierata da una chiesa lucchese, verso giovanili svaghi serali “milanesi”.

 

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