Maria Rosaria Selo ospite alla Casetta del Libro di Eredita - Le Cronache Attualità
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Maria Rosaria Selo ospite alla Casetta del Libro di Eredita

Maria Rosaria Selo ospite alla Casetta del Libro di Eredita

All’ombra del Vesuvio la storia di Vincenzina ci viene raccontata dalla penna di Maria Rosaria Selo, autrice di romanzi e sceneggiatrice napoletana. Ci racconta di una donna coraggiosa e forte che ha spirito di sacrificio, di donne che aiutano le donne e sono capaci di affetto sincero. Questi alcuni temi toccati dall’autrice, ma entriamo nel vivo del libro: Italsider, Bagnoli 1975

Vincenzina non tiene bellezza, ma forza e cervello. Entra in fabbrica dalla porta di servizio e sta lì perché è orfana di un caduto di lavoro, come molti altri lì nel cantiere. Il padre è morto per portare a casa un pezzo di pane, guadagnato togliendo respiro dai polmoni, riposando sui sacchi di eternit dopo 12 ore di fatica e aver ingoiato il fuoco.

Vincenzina davanti alla fabbrica/ Vincenzina il foulard non si mette più./ Una faccia davanti al cancello che si apre già./ Vincenzina hai guardato la fabbrica/ come se non c’è altro che la fabbrica./ E hai sentito anche odor di pulito/ e la fatica è dentro là”.

In quegli anni Jannacci scriveva questo brano che faceva parte della colonna sonora del film Romanzo popolare di Mario Monicelli. E’ a questa Vincenzina che ti sei ispirata, (Maria Rosaria) per dar nome e coraggio al tuo personaggio?

“Il nome “Vincenzina” rimane indissolubile dal testo di Jannacci e dalla fabbrica. Per questo motivo ho voluto battezzare la mia protagonista con quel simbolico e indimenticato nome. Il romanzo è ambientato all’Italsider, già Ilva, fabbrica di acciaio sorta per sfruttare i benefici della legge speciale per Napoli del 1904. Inizia così la storia di un complesso industriale che rappresentava il grande orgoglio del Sud e la speranza di trasformare il Mezzogiorno in un’area industriale. Negli anni ’70, l’Italsider aveva raggiunto la sua massima espansione e dava lavoro a circa 8mila operai. Poi il declino, l’ultima colata il 20 ottobre 1990, dopo la quale venne spenta l’area a caldo. La fine non solo di una fabbrica, ma di una storia di speranza, di presenza sindacale, di un laboratorio sociale che aveva creato una comunità unita e solidale”.

In questa ottica ci regali un romanzo che torna a parlare della classe operaia in maniera autentica, pulita e diretta. Cosa ricordi d’o cantiere, tu abitante della zona?

“Devo specificare che non ero e non sono un’abitante di Bagnoli, ma ho vissuto la fabbrica che apparteneva alla città intera. All’epoca dei fatti raccontati, ovvero il decennio 1970 – ’80 ero bambina e poi adolescente, eppure ricordo perfettamente il fascino e l’importanza che aveva per noi napoletani la presenza de “’O Cantiere”. Tutto quello che è accaduto in 100 anni di fabbrica andava raccontato e ricordato, l’ho sentito come un dovere umano e morale. La fabbrica rappresentava la coscienza di classe, era famiglia, un mondo nel mondo, e nonostante le morti (che non erano solo legate al mesotelioma, ma anche a incidenti che avvenivano all’interno di un cantiere pericoloso come una polveriera) gli operai la difendevano e l’amavano più della loro stessa vita. Si diceva, al tempo, che una volta spenta la fornace della fabbrica, si sarebbe spenta anche la fornacella di casa, ma per fortuna non è stato così, poiché anche dopo la dismissione, la fabbrica non ha lasciato allo sbando i lavoratori. Nello stabilimento si divideva non solo il lavoro ma anche il tempo libero. C’era il Cral, la squadra di calcio, si stava insieme, si viveva la vita l’uno dell’altro. I Caschi Gialli di Bagnoli erano famosi in tutta Italia. Gli operai impegnati politicamente aprivano e chiudevano i cortei negli scioperi, come a tutela del gruppo, garantendo così una sorta di sicurezza. Chiusa la fabbrica, anche quella forza comune è svanita”.

Nella tua storia, tocchi temi importanti, che all’epoca erano pane quotidiano per chi era in prima linea, quali incidenti sul lavoro, malattia di servizio, accordi sottobanco, aborti illegali e sottomissione … pensandoci bene, sono passati 50 anni e forse non molto è cambiato. È per questo motivo che hai sentito il bisogno di raccontarci Vincenzina?

“Come accennavo prima, gli scioperi organizzati dalle maestranze erano sempre legati agli incidenti sul lavoro e al salario. Dure sono state le lotte per trovare accordi e tutele, ma la cosa assurda è che la fabbrica è stata chiusa proprio quando risultava più sostenibile dal punto di vista ambientale. Quello degli accordi sottobanco, invece, è un malcostume che ha attraversato tutte le epoche e tutte i settori lavorativi. C’è sempre un sommerso che va contrastato, un sistema duro a morire, nonostante la buona volontà di chi vive una vita operosa con dignità”.

Quella degli anni 70 fu un’epoca difficile, un’epoca di lotte femministe al grido di “ il corpo è mio e lo gestisco io” e ancora “ sono io che decido”. Epoca di leggi importanti come la 194 e la 898 sul divorzio. Oggi, sentiamo di femminicidi ogni giorno e ancora ci sono uomini che pensano a noi donne come ad una loro proprietà, uomini che non accettano il NO! Nel tuo romanzo hai disegnato la sorella di Vincenzina, parli di sottomissione, di violenza…raccontaci.

“Qui il discorso diviene complesso. Le prime donne che ebbero il coraggio di rivoluzionare il pensiero femminile, si sono attivate nell’immediato dopoguerra creando l’UDI (Unione Donne Italiane) . L’impegno era nella rivendicazione e nell’affermazione dell’Autonomia e l’Autodeterminazione della donna a partire dal diritto del voto. La donna si emancipa, inizia a battagliare, dal ’68 al ’78 è in prima linea per le Leggi sulla tutela della lavoratrice madre, contribuisce poi all’approvazione della Legge 194 e poi su quella a favore del divorzio. Il Movimento avanza ed evolve, quindi, proprio a partire dal 1978, si avviano riflessioni sulla sessualità, gli stupri, sulla violenza sessuale e sui femminicidi. Le nostre antesignane hanno spianato il terreno a noi donne di oggi e soprattutto alle ragazze giovani (che spesso ignorano il sacrificio del Movimento Femminile), pero, ahimè, il maschio violento non accetta l’emancipazione e quindi usa la violenza, la forza fisica che è, oggi come oggi, l’unica cosa che supera la forza intellettuale di noi donne”.

Questo è il tuo secondo romanzo per Rizzoli, e come in L’albero dei mandarini anche qui la protagonista è una donna. Non una qualsiasi, le tue protagoniste sono donne forti, dure, ma che allo stesso tempo restano materne, accoglienti come il corpo di Partenope che disegna il profilo di Napoli. Hai messo un poco della sirena nelle protagoniste dei tuoi romanzi?

“Napoli non fa solo da sfondo, ma diviene un personaggio vero e proprio nelle mie storie. E’ inevitabile. Napoli è una città mondo, è teatro, è territorio ingombrante nel bene e nel male, è femmina capricciosa e madre accogliente, insomma è mille cose e pretende di entrare nelle storie. Ovviamente non solo le mie…”,

L’italsider, quel che era più di una fabbrica, uno spazio di socializzazione e una comunità, oggi è uno scheletro di dinosauro posto di fronte ad una panorama mozzafiato, le isole, Nisida, le colline che circondano Bagnoli. Tante sono le promesse seguite alla dismissione del cantiere. La riqualificazione, la bonifica. Cosa prevedi per il futuro del tuo paese? Cosa diventerà Bagnoli? Ci sarà una valorizzazione naturale della costa e del paesaggio? Cosa ti auguri?

“Devo dire che anche io accomuno i resti della fabbrica a ossa lasciate scoperte, alla vista di tutti. Si può essere criticati per questa affermazione, ma è purtroppo la realtà dei fatti. I resti non vengono rimossi poiché sprigionerebbero amianto, quindi si sono trasformati in archeologia industriale. Il futuro dell’area è incerto, è un luogo che non trova pace. Mille progetti vivono intorno a quella che è stata una delle coste più belle del territorio, ma nulla va in porto, vuoi per interessi economici, vuoi per i permessi e le bonifiche, insomma è difficile prevedere un futuro che io, naturalmente, non posso che augurami produttivo, utile e che soprattutto porti lavoro in una città sempre economicamente in bilico”.

La chiusura della fabbrica viene associata all’ultimo caffè che Vincenzina versa per i suoi colleghi. L’ultimo caffè, un’immagine opposta al caffè sospeso, tipica fotografia di una Napoli che spera sempre. Parafrasando proprio Monicelli, con cui abbiamo cominciato questa intervista, il quale riteneva che “La speranza è una trappola”…. Tu, invece, cosa pensi della speranza, Maria Rosaria?

“La speranza ti viene incontro nei momenti di smarrimento, è una leggera salvezza, e perciò ti rispondo con le parole di Federico Garcia Lorca: “La più terribile delle sensazioni è la sensazione di aver perso la speranza.”

Grazie a Maria Rosaria Selo per aver raccolto il nostro invito e aver risposto alle nostre domande. La ritroveremo domenica 22 settembre alle ore 19:00 nel delizioso borgo di Eredita Cilento, ospite dell’associazione Ogliastro Futura. Maria Rosaria presenterà il suo romanzo nell’ambito degli incontri alla casetta del libro “Eredita Legge”. Non perdete l’occasione di poter sentire le parole di questa talentuosa autrice”.

Mariarosaria Barone

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