Villa Guariglia, da Puccini alla canzone napoletana - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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Villa Guariglia, da Puccini alla canzone napoletana

Villa Guariglia, da Puccini alla canzone napoletana
Di Olga Chieffi
Comincerà sul far della sera, alle ore 20, all’interno del Museo della Ceramica, il terzultimo appuntamento della XXVII edizione de la performance di danza “Tracce di memoria” con l’Associazione Campania Danza ad animare le “stanze” e le vetrine che ospitano nei suoi tre settori opere risalenti al XVII/XVIII secolo d.C., comprendenti oggetti di carattere religioso e devozionale, vasellame di uso quotidiano risalenti all’800 e le “riggiole”, destinate al rivestimento pavimentale e parietale. A seguire, intorno alle ore 21, brilleranno le stelle della Divina Costiera, ovvero un quintetto, composto da Vincenzo Scannapieco al flauto, Federica Severini al violino, Giovanni Liguori al clarinetto, Marco Cuciniello al contrabbasso e Piero Gatto al pianoforte, che presenteranno quale special guest, il soprano Silvia Sammarco. Il concerto verrà inaugurato da una trascrizione della Overture de’ “Il Barbiere di Siviglia” di Gioachino Rossini, con la quale si presenteranno i legni, composta secondo il classico schema rossiniano, con un’introduzione lenta, poi l’Allegro con il primo tema affidato agli archi e il secondo tema all’oboe e al clarinetto e quella famosa ‘nota ribattuta’, che diverrà la cifra inconfondibile del genio di Pesaro. Aria di sortita di Silvia Sammarco sarà “Si, mi chiamano Mimì”, l’esaltazione della poesia della vita e dell’amore è racchiusa nel primo quadro di Bohème, nella soffitta, in quel il ritratto che Puccini schizza con finezza e aperta emotività, della ricamatrice innamorata di Rodolfo, il poeta collaboratore del Castoro.
Apparirà, quindi, Floria Tosca, con la Sammarco che eleverà il “Vissi d’arte”, che va a schizzare la Tosca religiosa che arriva a sconfinare nel bigottismo: è il momento del riscatto, donna del popolo e credente, un momento prima dell’inganno e dell’omicidio di Scarpia.
Stacco strumentale con il secondo dei tre minuetti composti per quartetto d’archi, nel 1890 da Giacomo Puccini e dedicati rispettivamente a Vittoria Augusta di Borbone, principessa di Capua, al violinista Augusto Michelangeli, e al Maestro Carlo Cerignani che riecheggeranno nella Manon Lescaut. ll soprano rientrerà in scena, per chiudere la prima parte della serata, sulle note di “Ah! Je veux vivre” la virtuosistica e celeberrima ariette di Juliette dall’ opera di Charles Gounod. La prima che si incontra in senso diacronico è la valse-ariette, dal carattere così leggero e ricco di effetti vocali modellato sulla voce dell’interprete della première, Madame Miolan-Carvalho, volte a mettere maggiormente in luce le doti vocali migliori dell’interprete designata, con trilli e l’ampio ricorso alla tecnica della roulade, in cui la Carvalho eccelleva, e che contribuiscono a determinare un tocco di couleur locale che ben si sposa con l’ambiente rinascimentale italiano. Seconda parte dedicata interamente alla tradizione musicale partenopea che verrà aperta dal flauto di Vincenzo Scannapieco, assoluto protagonista delle variazioni attribuite a Fryderyk Chopin sull’aria “Non più mesta accanto al fuoco” dalla Cenerentola di Gioachino Rossini, dedicate al Conte Jozef Cichocki, opera della quale ci piace ricordare che dalla focagna la protagonista verrà tolta da Ramiro, principe di Salerno. Quindi il florilegio di canzoni verrà inaugurato  da la Canzona Marenara, di tradizione procidana, ma attribuita a Gaetano Donizetti, che tanto piacque a Stendhal, tanto da citarla nel suo diario partenopeo: “Qualcosa di straordinario passava in quella canzone: forse l’eco irresistibile della voce della sirena, certo l’anima di una città favolosa”. S’intitola “Marechiare”, dal nome di un paesello, in riva al mare, ed i versi, molto graziosi, sono di Salvatore di Giacomo, buon poeta popolare”. Con queste parole, pubblicate sulla Gazzetta Musicale di Milano nel 1886, il giornalista Filippo Filippi sembra aver racchiuso completamente la poesia che si cela all’interno di una delle canzoni napoletane più celebri: A Marechiaro. Reale era la finestra con il garofano sul davanzale e reale era anche una giovane che si chiamava Carolina, moglie di uno dei proprietari di quell’osteria dove l’artista si era seduto la prima volta. Dell’ispirazione di Francesco Paolo Tosti, si sa invece, che trasse quella melodia così semplice eppure così ammaliante, ispirandosi alle note intonate da un posteggiatore. L’uomo ogni sera prima di iniziare, con il suo flauto, ad accompagnare le canzoni del suo compagno suonava, per esercitarsi, quello stesso motivetto che apre A Marechiaro. Quindi si schizzerà un acquerello di Napoli dal quartiere Santa Lucia, con Tarantella Luciana di Bovio- Cannio, prima di evocare ‘O marenariello, la prima canzone composta da Gambardella, uno dei più geniali autori della melodia napoletana, allora garzone di bottega che, non conoscendo nemmeno i rudimenti della notazione musicale, inventava i suoi motivi fischiettandosi e aiutandosi per l’armonia col mandolino,  e chiudere con ‘O surdato ‘nnammurato, quella marcetta di Aniello Califano e ancora Enrico Cannio, un messaggio d’amore universale, per tutte le volte che il pensiero va alle cose importanti ma lontane e per tutte le volte che il dolore della vita si rifugia in ciò che si ama. Ancora oggi si disputa sul come cantarla: a squarciagola, con ritmo incalzante o a bassa voce e con melodia più lenta. Ma è innegabile che una delle interpretazioni più forti è quella di Anna Magnani nel film “La sciantosa” di Alfredo Giannetti del 1971. Un soffio di voce e parole dure come macigni, “poesia cantata” del repertorio d’autore, con il vigore ritmico e l’aggressività espressiva che sa trasformarsi in danza e nella eterna sfida di noi tutti alla vita.