di Giuseppe Fauceglia
E’ noto che nel sistema politico e sociale feudale, il vassallo del valvassore, era il valvassino, ultima classe del titolare del feudo. E’ altrettanto noto che in origine, il possesso feudale del valvassino si caratterizzava per la sua precarietà, a differenza di quello del feudatario soggetto al diritto ereditario, in quanto poteva essere revocato a piacimento dal signore, ciò comportando anche il mancato riconoscimento del grado di nobiltà, e tanto almeno sino all’editto di Corrado il Salico del 28 maggio 1037. Nella nostra Salerno, che, contrariamente da chi ne assume una certa storicità risalente solo all’ultimo trentennio, i valvassini sono stati oggetto di pesanti rampogne dal feudatario, assumendo una certa incapacità a governare i territori agli stessi affidati. In particolare, il signore ha rimproverato ai suoi sottoposti di non saper neppure predisporre un corretto bilancio delle tenute, facendo confusione e sovrapponendo cifre e numeri in un disarticolato e assai incerto quadro espositivo. Sono seguite, poi, notazioni ironiche e simpatiche su un bando di un incauto valvassino per impedire la rumorosità di alcuni atti di piacere, che sembrano risalire alla negazione dell’esistenza del “Libro della poetica” di Aristotele e della commedia, considerato che, come recita Jorge, il bibliotecario de “Il Nome della Rosa”, “il riso uccide la paura e senza la paura non ci può essere la fede”, e, di converso, il potere. Il signore è consapevole della ridicola negazione del “rumore” diffuso e imperante nelle indisciplinate notti della movida, a fronte del quale il valvassino è sembrato disinteressarsi, preferendo misurarsi su altri “rumori”, meno diffusi ma forse più invidiati. In sostanza il feudatario prende le distanze dai valvassini che egli stesso ha nominato, finanche educandoli nell’esercizio di un potere diffuso e incontrollato al quale è stata sottoposta la indisciplinata popolazione del feudo, ormai stretta dal cappio di gabelle e tasse, la cui origine parrebbe discendere da qualche inconsulto sperpero di risorse, che avrebbe poi imposto l’altrettanto discutibile vendita di beni con contestuale edificazione di nuovi palazzi. Con tutta evidenza, il signore ha inteso far comprendere ai valvassini la precarietà del potere loro affidato “per grazia”, fidando che l’addormentata popolazione del feudo abbia dimenticato chi questi stessi soggetti, a volte senza merito alcuno, ha posto a guida delle tenute. Qualcuno ha notato la non troppo nascosta intenzione del signore di voler nuovamente, magari in presenza di qualche intervento imperiale che riduca significativamente il suo territorio limitandolo solo ai confini della città, riprendere il governo del suo vecchio feudo. Anche se la storia, se ripetuta, è destinata a trasformarsi in farsa, come scriveva, con indubbio acume, Karl Marx, un filosofo le cui opere il feudatario dovrebbe conoscere bene. Ho voluto tracciare la trama di un racconto di fantasia che pare non avere nulla a che vedere con la realtà, ma che mi piace proporre ai tanti lettori attenti ai fatti e non troppo addormentati nella coscienza.
1 Commento
Complimenti al dott. Fauceglia, condivido in pieno il suo pensiero e aggiungo, a proposito delle rampogne per il bilancio, che sovente in politica è tutto un teatrino con un copione già scritto. Poveri servi della gleba!
Comments are closed.