di Vito Pinto
Non sono ancora chiari i motivi (e forse neanche sono tanto importanti) per cui intorno alla metà degli anni venti del Novecento a Vietri sul Mare, allora luogo poco noto se non per coloro che ancora conservavano la memoria del Grand Tour, o Italienische Reise che dir si voglia, cominciarono a giungere artisti stranieri di varie discipline per un “viaggio ceramico”. Ad animarli era il desiderio di conoscenza e confronto con una altrui realtà artistica che si sviluppava nella quotidianità delle botteghe; quegli artisti in questa cittadina costiera, inizio della splendida costa amalfitana, forse cercavano l’incontro con la cultura italiana, e in specie del Sud, attraverso la natura incontaminata, la solarità mediterranea: era, forse, un volersi confrontare a verifica di un sapere mitteleuropeo delle loro radici, in un luogo dove, tutto sommato, la classicità di un mondo antico e, per tanti versi, affascinante, era la costante presenza storica. Alcuni si fermarono poco, altri più a lungo, ma in quegli anni venti iniziava per le botteghe artigiane di Vietri sul Mare, forse inconsapevolmente, il tempo della costruzione di una ceramica europea di grande spessore culturale, come Eduardo Alamaro ha più volte sottolineato.
E fu intorno a quella metà degli anni venti del Novecento, che a Vietri sul Mare giunse il ventisettenne Richard Dölker, tedesco di Schönberg, formatosi “ai rigori grafici della scuola di Stoccarda”, come scrive Giorgio Napolitano nel suo pregevole saggio edito da Puracultura per i cento anni dell’arrivo a Vietri dell’artista tedesco. Era, infatti, il maggio del 1923 quando Dölker giunse nella cittadina costiera proveniente da Capri e dopo un tour in Sicilia, terra del Mito e di suggestioni, che gli lascerà nell’animo non pochi segni di una cultura locale, sia storica che a lui contemporanea. I numerosi appunti del diario gli saranno compagni di viaggio in quei dieci anni in cui resta a Vietri e negli sporadici itinerari che compie, spinto da quel desiderio di conoscenza di un’altrui visione del quotidiano artistico e non. Così il suo vissuto siciliano nei conventi con i monaci, dai quali riceveva ospitalità ricambiata con interventi d’arte, sarà spesso presente nei suoi lavori (“scene ceramiche e successivamente batik”) dei quali Giorgio Napolitano analizza il tratto non solo stilistico, ma anche psicologico del quale Dölker parla nel suo diario. E’ un racconto del rapporto che l’artista tedesco ha con il Sud e delle sue emozioni riportate in appunti, diremmo, di viaggio, così come usava nei secoli precedenti da parte di quei viaggiatori della borghesia mitteleuropea che “scendeva” in Italia alla ricerca della classicità. Uno per tutti W. Goethe, per vari versi personaggio di spicco del “Viaggio in Italia”, insieme al Saint-Non, Philip Hackert e tutta la lunga schiera di giovani della borghesia fattisi viaggiatori culturali.
Nel suo testo raccolto in un volumetto di “memorie” dei protagonisti di quegli anni, Marianne Amos scriveva: “Riccardo raccontava la storia delle sue peregrinazioni attraverso l’Italia; a piedi con lo zaino sulle spalle, i piedi calzati da sandali o spesso anche nudi, aveva vagato da nord a sud per tutta la penisola”. Un viaggio in Italia, quello di Dölker e un viaggio nel mondo culturale mitteleuropeo quello di Giorgio Napolitano in questo volume sull’artista tedesco. Scrive, infatti, l’autore: “Il viaggio è una delle metafore costanti e dell’immaginario collettivo dell’uomo; la vita viene definita come cammino, un percorso di esperienze e di crescita e Dölker, pur nella concisione letteraria di un taccuino di appunti, ci comunica le sue emozioni, i suoi giudizi ed il suo modo di sentire.” Ed è un esprimersi per fisionomie di cultura che partono dalla sua terra natìa per allargarsi ad orizzonti meridionali di una Italia che ha sempre esercitato un fascino sugli artisti europei per quel patrimonio di esistenze scavate non riscontrabili in nessun altro luogo.
Annota Napolitano: “Il percorso grafico che illustra i viaggi ed i soggiorni nel meridione di Richard Dölker evidenzia il territorio di un paese, i siti architettonici, le attività degli abitanti indagati non come tragitto geografico o di attrazione ma come centro di riflessione… Le vicende di Ruggero Re normanno e della Regina Costanza incontrano l’arte applicata, come un ciclo di Chanson de geste scritto in ceramica, disegnato o illustrato su Batik”.
Così la ceramica per Dölker diventa un mezzo per mettere in sequenza progetti grafici e artistici. Scrive ancora Napolitano: “D’altro canto è opportuno rimarcare che Dölker nella sua scrittura, per le spiccate abilità tecniche, mette in risalto la matericità del medium ceramico proprio nel suo aspetto d’efficace visualità”
E aggiunge “Riccardo riesce a creare un legame rigenerativo con il luogo Vietri: le sue visioni, la sua sensibilità tracciano la sua idea mediterranea determinando una ceramica dall’alto valore identitario… Le acquisizioni delle conoscenze archeologiche, degli usi e costumi siciliani, della narrazione medioevale costituiscono il fondamento da cui affioreranno le immagini e le raffigurazioni dei suoi primi anni ceramici con oggetto i temi e le storie dell’isola”. Insomma sembra che l’artista tedesco segua una sua riflessione intima, un suo personale itinerario d’arte che “approfitta” del luogo e del supporto ceramico per dare corpo alle sue visioni.
E subito si apre la riflessione su quel rapporto, forse, mancato o poco “intimo” con il territorio, con gli operatori locali che pure conservavano i centenari segreti di una civiltà fatta di argilla e le esperienze di impegno artigianale maturate nello svolgersi delle generazioni . Forse nell’esperienza ceramica di Dölker in quegli anni di presenza a Vietri c’è un anello mancante, che poi hanno saputo bene raccogliere le maestranze successive dando alle statiche iconografie del tedesco il movimento dell’afflato mediterraneo proprio della ceramica vietrese. Aspetti, questi, che colse e seppe interpretare al massimo Irene Kowaliska, giunta a Vietri nel 1931 e rimasta per dieci anni, interpretando il ruolo ceramico di Vietri al meglio delle sue condizioni artistiche e passionali. Testimonianza ne sono i nomi di “amici” locali riportati, dall’artista polacca, in diversi oggetti ceramici.
Un percorso di idee e di interessi culturali che, dopo un periodo di fisiologica “magra”, è stato sempre presente nelle botteghe artigiane e che in questi ultimi anni sta registrando una presenza giovane da guardare con grande attenzione: il loro modo di innovare una tradizione è semplicemente interessante e soprattutto dimostra che nella ceramica vi sono sempre spazi inesplorati, da capire, percorrere, riempire di oggetti che semplificano un pensiero, un segno, una civiltà plurisecolare.
Questo rafforza l’idea, da sempre propugnata, che quegli anni a cavallo tra i venti e i quaranta del Novecento non possono definirsi “periodo tedesco”, perché sarebbe riduttivo per l’ampiezza del fenomeno, per la presenza di artisti di varie provenienze europee e per la vivacità delle maestranze locali; non a caso la Kowaliska, di origini polacche, è prima in una ideale graduatoria. I vari artisti presenti a Vietri con le loro culture, le loro esperienze hanno lasciato un arcobaleno d’arte, non un uniforme segno grafico a richiamo di una scuola di bottega.
Nel 1933 Dölker lascia Vietri per trasferirsi prima sul Lago Maggiore (Miralago) per rientrare poi in Germania nel 1935.
A ben leggere il testo di Napolitano, alla fine sembra persistere una realtà: le botteghe vietresi sono state il ventre caldo di idee e di esperienze che hanno giovato sia ai locali che agli ospiti generando pura cultura, una “transumanza” che permette alla ceramica di Vietri di continuare la sua storia.