di Salvatore Memoli
Le cose differenziate ci ricordano i rifiuti urbani. Basta il sostantivo autonomia semmai con l’aggettivo locale, al plurale, per capire che la cosa potrebbe essere più seria di un’affrettata riforma costituzionale, ammannita come novità legislativa di questa legislatura. Parliamoci chiaro, l’idea in sè potrebbe essere buona e rappresenta una sua naturale evoluzione delle Autonomie locali a cui siamo abituati, a guardare con enfasi o con poco riguardo. Il dubbio lo solleva una serena valutazione tecnica sul procedimento seguito dal legislatore che pare abbia dimenticato di rileggere l’articolo della Costituzione che concerne le riforme, per le quali la strada è più complessa e qualificata. Il sen. Francesco Castiello nel suo intervento in aula ha da par suo tratteggiato tutti i motivi ostativi ad un’approvazione de plano delle novità politiche che stridono nel merito con la prassi indicata, risultando assai probabile che la Corte Costituzionale possa alzare la paletta rossa e rinviare al mittente l’ambito risultato. Sull’argomento abbiamo ascoltato argomentazioni diverse da tutti i settori politici, impegnativi ragionamenti che si sono addensati sulla difesa o la contestazione di una novità legislativa che è stata vista dai suoi detrattori come spuria ed irricevibile nel panorama legislativo che regolamenta le autonomie locali ed in particolare la vita delle Regioni nel nostro Paese. Ricordiamo che tra un vasto numero d’italiani più che riforme rigenerative del sistema locale, si pensa alla definitiva soppressione delle Regioni, maggiori responsabili di un declino politico ed economico del nostro Paese, per i disavanzi finanziari legati a sperperi e spese clientelari, disamministrazioni d’importanti servizi primari, come la sanità che ha generato buchi spaventosi ed incolmabili. Le Regioni non sono avvertite come Enti vicini ai cittadini, la loro prossimità è negativa ed obsoleta perché tutti i suoi processi di gestione di aree politiche delegate appaiono ( forse lo sono) troppo macchinosi, poco moderni e perfino dispendiosi. Se le Regioni debbono restare, come il dettato Costituzionale sostiene, a garanzia di una democrazia diffusa sul territorio, molto vicina ai cittadini, non c’è dubbio che i suoi meccanismi ordinamentali, le sue competenze e le sue sfere d’influenza istituzionale, debbono cambiare. Mi augurerei che i più virtuosi cittadini abbiano il tempo di approfondire il pensiero dei Costituenti e dei Padri nobili del nostro Paese sull’argomento delle Autonomie Locali, delle Regioni, mai ritenute strumenti territoriali surrogati. Le Regioni debbono avere una loro autonomia in ampi settori ed assumere l’onere e l’onore di garantire la buona gestione dei territori, non in alternativa bensì a completamento e sintonia del resto del Paese, inclusi Parlamento e Governo.
> Tra i Padri fondatori e promotori delle Regioni certamente vi è d. Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare italiano. La sua attenzione era riservata, oltre all’autonomismo e regionalismo, alla dignità delle persone, ai diritti, ai fattori economici, politici e sociali che concorrono all’importanza delle Regioni. Il suo impegno è stato sempre fondamentale per gli orientamenti pubblici e costituzionali del pensiero politico, richiamarlo impone di non sottovalutare il benessere di tutte le Regioni, in un contesto di sano equilibrio dei poteri dello Stato. La riforma delle autonomie non potrà mai essere un fatto muscolare o di numeri. Attorno a queste riflessioni debbono essere riunite tutte le espressioni politiche del Paese. Si ha bisogno dell’intelligenza di tutti. Non a caso, lo start up delle Regioni segue di molti anni l’approvazione della Costituzione Repubblicana. Direi che l’aggettivo differenziata è il vero limite di tutta questa riforma. Sappiamo che tra le Regioni esistono divari diversi ed evidenti. Sulla vicenda si è speso bene Vincenzo De Luca, numeri alla mano, per sottolineare che questa riforma rischia di creare ulteriori differenze. Non si tratta di opzioni politiche, la riforma non può essere a parole, deve prevedere istituti compensativi e risolutivi delle differenze e degli svantaggi. Cioè senza un piano economico-finanziario di sostegno si rischia di non coprire mai il gap castrante delle Regioni, soprattutto del Sud. Ovviamente ciò posto, resta chiaro che una riforma che mette in campo le virtuosità dei politici è fondamentale, come necessaria è la strategia di concretizzare azioni di governo che considerino l’Ente come una grande azienda positiva. La regola delle Aziende è il profitto. C’è un profitto onesto e sano che fa bene alle Pubbliche Amministrazioni, evitando sprechi, uso clientelare del danaro pubblico, incapacità di esercitare controlli sani e corretti nei processi gestionali. Una sana riforma esige una nuova classe politica che deve cambiare tutti i suoi parametri, imparando a gestire per risultati e profitti e non per programmi che sono anticamera del consenso elettorale.