Di Olga Chieffi
Sussidiario, zibaldone, diario, sono i termini che vengono alla mente aprendo l’ultima opera di Enzo Todaro “Pensieri sparsi”. Lucidità, l’immediatezza e la vivacità dello stile impiegato dal Maestro dei Giornalisti Salernitani – che domani incontreremo al Salone dei Marmi di Palazzo di Città, per ricevere ancora qualche illuminante parola d’ augurio e dritta per questo nuovo anno – per compilare le proprie note, qualità che ne fanno uno strumento flessibile, capace di adattarsi alla complessa brillantezza e raffinatezza del suo pensiero. In genere siamo abituati ad aprire un volume spulciando l’indice e qui passiamo da Raffaele Cutolo “’O professore”, personaggio con il quale si apre il libro, e che Enzo Todaro ha intervistato, nel corso del suo arresto ad Albanella, ad un giovane Daniel Oren, a Positano al fianco di Franco Zeffirelli, oggi direttore artistico del nostro massimo, da Vittoria Ottolenghi, la signora della danza, venuta a Salerno per intervistare il corvo bianco, Rudolf Nureyev a Matteo della Corte, il chirurgo fotografo a Lucky Luciano, ben oltre sessant’anni di scritti e, quindi, di storia del nostro paese e anche oltre, incontriamo in queste pagine Enzo Todaro a Budapest, oltre cortina, con tanta diffidenza nei confronti di quegli Italiani, e ancora, in Kosovo, a New York, come anche al 72° concorso di Miss Italia, che nel 1976 si svolse in Calabria, tra Scalea, Praia e Diamante, e lo scambio epistolare con Eduardo De Filippo o Prezzolini. I temi toccati infiniti, intercalati da immagini storiche, ritagli di giornali storici e contemporanei, una vita al servizio della parola, quella di Enzo Todaro, ma mai una parola asservita. La veste grafica e il suo contenuto, invitano all’incontro e al rapporto diretto con questa pubblicazione caratterizzante e incisiva, che nasce e agisce anche come guida, attraverso pagine di vita e di cultura. La parola, dunque, è allora al volume stesso, con l’invito a profittarne come pronta, sollecita occasione e strumento particolarmente adatto per lavorare e discutere in termini critici e autonomi, “dal di dentro”, dei movimenti politici e sociali, degli interessi artistici, che attraversano la civiltà del nostro tempo. Cosa intima Enzo Todaro con questi suoi pensieri sparsi, cronista e intellettuale responsabilmente e consapevolmente a contatto con la realtà, a sempre severa critica di vertici imbozzolati nelle loro pretese certezze? Todaro chiede a tutti noi, addetti ai lavori e lettori, una analisi rigorosa, critica, di ogni problema o fatto di cui si vada a discutere, a scrivere, ad analizzare, fondata sui fatti concreti, l’altro, certamente, un contributo concettuale che eviti e combatta duramente il trasformismo delle idee, essendo la chiarezza intellettuale, premessa indispensabile per qualsiasi altro di-segno che possa uscire da una pagina, da un incontro, da un teatro. Il finale non poteva che assurgere alla parola poetica, parola altra, parola alta, che arriva dove il linguaggio d’uso non può giungere. In questo orizzonte è possibile comprendere il senso profondo dell’idea di questa poesia chiusa nel circolo del pensiero, nell’essenza del gioco, che la fa vivere e che salva se stessa e noi dal naufragio che travolge la vita delle passioni e dei sentimenti. Dietro questi versi si nasconde una sorta di scetticismo combattuto da una morale in atto da sempre, quella del fabbricatore paziente in lotta col caso, che s’impone dure leggi e regole snervanti, che consuma nel lavoro l’attesa e che ritarda l’estasi nella bellezza del calcolo. In poesia i pensieri di Enzo Todaro possono prodursi e diffondersi, finalmente, nella pienezza della riflessione pura, le similitudini rispondersi, i contrasti risolversi, le idee luccicare, ognuna alla luce dell’altra, in una ostinata armonia.