di Matteo Gallo
Il diritto è l’alfa e l’omega delle sue giornate quando studia legge all’Università Federico II di Napoli. Carmela Santarcangelo, oggi dirigente dell’Istituto professionale per l’agricoltura e lo sviluppo rurale di Salerno, dopo la laurea decide così di partecipare al concorso a cattedra per l’insegnamento delle materie giuridiche ed economiche, entrando in ruolo nel millenovecentonovantatré. Da allora il suo percorso nel mondo della scuola sarà pieno di responsabilità e soddisfazioni, sacrifici e impegno per la crescita culturale e personale delle giovani generazioni e del buon nome dell’istituzione. «Grazie al rapporto d’aula» spiega tradendo una certa emozione «ho avuto la possibilità di non spegnermi mai lasciando sempre acceso il fuoco della curiosità anche solo per dare risposte a quelle degli studenti. Sono stati anni indimenticabili di grande formazione e arricchimento. La scelta di diventare dirigente, carriera che inizia ufficialmente nel duemilaotto» aggiunge «nasce invece dalla volontà di contagiare con la mia passione verso questo lavoro anche tutti quei docenti che solitamente restano ai margini della vita scolastica».
Preside Santarcangelo, nel suo lungo e qualificato cammino professionale
chi sono stati i suoi maestri?
«I miei primi maestri sono stati proprio i miei insegnanti».
Qualcuno in particolare?
«La maestra elementare Anna Morelli, donna elegante e di luminoso rigore, un esempio per la capacità di relazionarsi con gli alunni con straordinaria empatia. E poi i miei professori del liceo, sia quelli che non hanno lasciato un segno perché modelli da non seguire, sia soprattutto quelli che hanno fatto crescere in me e nei miei compagni, attraverso le loro discipline, la voglia di coltivare le nostre passioni. Di quel periodo ricordo con particolare affetto e riconoscenza il compianto docente di italiano Ubaldo Grimaldi e la professoressa Mirone, titolare della cattedra di inglese che oggi ha ottantasette anni. Una gigante dell’insegnamento».
Qual è, secondo lei, lo stato di salute della scuola italiana?
«Nei confronti della scuola c’è disaffezione. Un tempo era considerata una tappa fondamentale nel percorso di crescita dei ragazzi e per la loro istruzione. Oggi rischia di diventare una mera educatrice in sostituzione di altri. La scuola deve tornare a fare cultura».
La politica fa abbastanza per la scuola?
«La scuola ha bisogno di attenzione stabile, impegno serio e interventi strutturali. La politica, invece, ha la cattiva abitudine di considerarla nulla più di un’esigenza estemporanea».
Nuove generazioni. Dal suo osservatorio – sicuramente privilegiato – gli adolescenti di oggi in cosa sono più forti e in cosa invece più deboli rispetto a chi li ha preceduti?
«Hanno grande senso dell’autonomia e tanta curiosità. Questo secondo aspetto non è solo un punto di forza ma anche un potenziale fattore di rischio-debolezza».
Perché?
«Quando per soddisfare qualsiasi tipo di curiosità i ragazzi decidono di affidarsi completamente al web, i pericoli sono davvero tanti e sempre dietro l’angolo. Internet ha generato una vera e propria rivoluzione nel campo della comunicazione e della ricerca di informazioni e per questa ragione è necessario da parte di tutti, specie dei più giovani, un approccio consapevole che favorisca la comprensione dei complessi meccanismi che caratterizzano il mondo virtuale. La scuola, in questo senso specifico, deve porsi come luogo autorevole in cui i ragazzi possano trovare risposte alle loro domande grazie all’aiuto-guida dei docenti e attraverso la strada maestra del dialogo».
Questo dialogare talvolta sembra essere balbettante…
«Gli adulti non sempre si pongono, nei confronti dei più giovani, con un linguaggio di accoglienza e tolleranza».
La fragilità emotiva è un ‘tratto’ di questa generazione?
«Esiste un problema e bisogna occuparsene facendo rete».
Cosa ne pensa dell’educazione sentimentale a scuola?
«La scuola se ne occupa già impegnandosi sul fronte della inclusività e della parità di genere, della lotta contro qualsiasi forma di violenza e di violazione della libertà altrui. Il lavoro sull’affettività dei ragazzi spetta innanzitutto alla famiglia ma naturalmente anche la scuola è chiamata a fare la sua parte in sinergia d’intenti e nel rispetto reciproco dei ruoli».
Come rilanciare l’alleanza educativa scuola-famiglia?
«Favorendo il dialogo con maggiori e nuovi momenti di incontro. I ragazzi sono il nostro orizzonte comune e dobbiamo camminare insieme sostenendoli e aiutandoli affinché diventino donne e uomini consapevoli, cittadini responsabili e protagonisti positivi del futuro».
L’impoverimento del linguaggio giovanile, anche e soprattutto per effetto dell’uso intensivo della tecnologia come strumento di comunicazione e relazione, ha subito un’accelerata diventando un’emergenza di cui occuparsi.
«E’ un tema fondamentale per la scuola. I ragazzi sono disabituati ai tempi dilatati della lettura di un testo scritto, al rapporto riflessivo e meditato con un libro da sfogliare. Sono ‘nativi digitali’ e vivono la velocità che caratterizza questo nostro tempo scambiando la capacità positiva della sintesi con l’affermazione negativa di un linguaggio scarno ed essenziale che mortifica la bellezza e la ricchezza della nostra lingua».
Al governo si discute di attribuire una maggiore incidenza al voto in condotta nei licei. Misura giusta o velleitaria?
«Il voto di condotta è già valutativo. Mi concentrerei su altro».
Su cosa, preside Santarcangelo?
«Sulla mancanza di attenzione verso i più giovani da parte degli adulti e delle istituzioni che rischia di far nascere negli stessi ragazzi sentimenti di scarso rispetto nei confronti della cosa pubblica e dei contesti sociali in cui abitualmente si muovono. Questa disattenzione incide in modo negativo anche sulla capacità di prendersi cura di se stessi e degli altri».
L’autonomia scolastica ha prodotto una competizione spinta tra istituti.
Un bene o un male?
«La competizione fa bene quando si muove nel perimetro della qualità dell’istruzione. Autonomia non vuol dire mettere in essere qualsiasi cosa a discapito delle altre scuole. L’allargamento dell’offerta formativa e l’attivazione di percorsi didattici devono avere a cuore le reali esigenze dei contesti territoriali di appartenenza anziché essere fondati sul desiderio di rendere più ‘grande’ il proprio istituto sul piano dei numeri, delle iscrizioni. L’autonomia deve migliorare il servizio e la qualità dell’istruzione, non peggiorare entrambi».
Il rapporto con i nuovi strumenti di comunicazione investe direttamente anche il mondo della scuola. La situazione è scappata di mano?
«Durante il periodo di restrizione della socialità a causa dell’emergenza covid c’è stata un’accelerata nell’utilizzo di piattaforme non certificate, come ad esempio whatsapp, per le comunicazioni tra docenti, studenti e famiglie. Anche se assicurano una velocità di trasmissione dei messaggi, si tratta di strumenti inadeguati per l’istituzione scolastica che ha i suoi canali ufficiali per assolvere a questo compito».
Nuove tecnologie al servizio della didattica: anche la scuola è chiamata ad abitare un tempo nuovo per dare ai ragazzi le ‘chiavi’ del futuro. A che punto siamo?
«E’ una sfida che la scuola ha raccolto con responsabilità e impegno per offrire un linguaggio di costruzione e trasmissione del sapere più vicino ai giovani. I fondi del Pnrr ci sostengono concretamente in questa direzione ma, con altrettanta chiarezza, bisogna dire che è davvero paradossale, per usare un eufemismo, ‘abitare’ questo tempo nuovo dentro edifici sempre più vecchi e fatiscenti».