Il profumo di Natale nei riti dell’attesa. Le novene devozionali al suono delle zampogne. Il rosario dei marinai sulla riva. La nostra tradizione cattolica ci porta ad associare gli zampognari, letteralmente “chi suona la zampogna” ai riti natalizi. Essi sono identificati per la zampogna, lo strumento che suonano e da cui deriva anche il loro nome e possiedono una storia tanto antica da anticipare la stessa nascita del Cristo. Le origini dello strumento affondano le radici nella cultura ellenica, tanto che nella mitologia greca a essere rappresentato con l’omonimo flauto era il dio Pan. La zampogna era ricavata da canne ottenute da legno di olivo innestato in una sacca di pelle rigonfia d’aria, in altre parole una camera d’aria ottenuta per insufflazione. In quei tempi lontano si originò la zampogna che in seguito è ritrovata anche durante l’impero romano, nota sotto il nome di “utricularis”. Nell’antica Roma La zampogna tanto si affermò da convincere persino l’imperatore Nerone a imparare a suonarla e, secondo una leggenda, fu proprio l’imperatore a diventare tra i migliori suonatori di zampogna dell’impero. Solo molti secoli dopo si ebbe Io sposalizio tra zampognari e i riti natalizi. Questo avvenne a fine del XXVII secolo, proprio nel nostro territorio regionale, quando fu composta la canzone “Quanno Nascette Ninno”. Una composizione natalizia, scritta nel dicembre del 1754, da Alfonso Maria de’ Liguori, canzone che oggi conosciamo nella versione italiana come “Tu scendi dalle stelle”. Da subito la versione originale in lingua napoletana ebbe un successo tanto da essere cantata comunemente nelle strade. Anzi fu proprio l’ideatore del canto cristiano popolano, Santo Alfonso de’ Liguori che per avvicinare i rudi uomini del tempo al cristianesimo raggruppò diversi lazzari napoletani, insegnando loro il testo per poi portarli in giro a cantare nelle comunità cristiane. La zampogna arrivò poco dopo, per “coordinare” i tempi dei suoni con il canto del gruppo. Da allora il pastore con la zampogna divenne un personaggio simbolico dei riti di Natale tanto da entrare anche nei presepi settecenteschi napoletani da personaggio protagonista. Nacque cosi il connubio delle due figure di zampognari uno a suonare lo strumento, e l’altro a cantare. Oggi il canto degli zampognari è scomparso quasi dappertutto. Nel loro assurgere a protagonisti delle nenie natalizie come zampognari furono i pastori transumanti che scendevano dai monti bardati con pantaloni, lunghi fino a raggiungere le ciocie con le stringhe di pelle, che fungevano da calzari, mantello scuro e cappello pastorale. Essi nel periodo natalizio raggiungevano i centri più popolati per allietare le preghiere delle novene. Probabile che essi arrivassero proprio dell’Abruzzo, la regione da cui l’immagine iconica degli zampognari prese avvio. In tale regione la transumanza e i pascoli sono ancora oggi simboli locali. Nelle festività natalizie della nostra infanzia eravamo abituati a vederli andare in giro per le vie del centro e deliziare con i suoni armonici le giornate di dicembre. Ci rallegravamo ad ascoltare le loro nenie quale annunzio della venuta del Signore, il loro canto e il suono scandivano il tempo dell’attesa. Gli zampognari in tutta la Campania arrivavano verso fine novembre, scandendo ogni giorno il calendario dell’avvento fino al 24 di dicembre. La tradizione prescriveva che i musicisti proseguissero da porta a porta per annunciare l’imminenza della venuta di Gesù bambino. Una tradizione che ahinoi sta scomparendo quasi dappertutto. Se in tutta la penisola, gli zampognari riuscirono a ritagliarsi il ruolo di annunziatori delle imminenti festività legate all’Annunziata e al Natale nelle nostre zone costiere ai piedi dei monti Lattari un altro rito, esclusivo marinaresco scandiva i giorni mancanti all’Immacolata Concezione. Tale manifestazione di fede popolare era la Novena dei naviganti. Il profondo legame che univa la gente del mare verso la salvifica figura mariana si percepiva entrando in ogni porto o anfratto costiero tanto che ancora oggi tanti sono i santuari, le icone e i monumenti marmorei mariani che punteggiano le nostre coste. Dobbiamo sempre immaginare che piccoli o grandi che siano tali manufatti, furono elevati per volontà dei marittimi. A tali opere visive, devozionali o per grazia ricevuta, verso la Madre Celeste i nostri marinai recitavano collettivamente il Rosario proprio per la novena dell’Immacolata. Lungo la costa, il Rosario era recitato nei canonici nove giorni di avvicinamento alla Festa dell’Annunciazione. In alcune comunità marinaresche i giorni di preghiera erano dodici ovvero quanto le stelle che cingono la corona Mariana. I giorni di avvicinamento alla festa erano solennizzati con la recita collettiva del Rosario proprio sugli arenili o sui pontili. Una pratica svolta ben prima dell’alba come tangibile ringraziamento della protezione ottenuto dalla Madonna durante le avversità della navigazione in mare. I marinai e tutta la gente di mare usavano ritrovarsi sull’arenile per la recita del rosario riuniti intorno ad un falò per potersi riscaldare. Anche questa particolare forma di devozione marinara svolta dalla gente di mare oggi è stata completamente abbandonata. In diverse località rivierasche però è restata la traccia esteriore del falò notturno della vigilia dell’Immacolata. In costa d’Amalfi, a Marina di Vietri la tradizione del falò è ancora attiva tanto che la notte della vigilia dell’Immacolata al passare della processione pubblica si accendano i fuochi sui cumuli predisposti nelle strade e sulle spiagge e si veglia in preghiera fino all’alba.
Riti dell’attesa che oggi neppure più si ricordano travolti come siamo dalla era consumistica.
Vincenzo Sica,
Coordinatore gruppo scuola lavoro Maestri ed amici dei maestri
consolato Salerno