Ester Andreola: Educhiamo al bello i nostri studenti - Le Cronache
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Ester Andreola: Educhiamo al bello i nostri studenti

Ester Andreola: Educhiamo al bello i nostri studenti

i Matteo Gallo

Ester Andreola è un vulcano di idee, passione e competenza. Pedagogista esperta di processi educativi e creativi, per quindici anni (dal 2007) ha guidato il liceo artistico Sabatini-Menna di Salerno lasciando una traccia indelebile nella sua storia. Donna di cultura che parla alla testa e al cuore delle giovani generazioni, da sempre presidia la trincea dell’impegno per promuovere azioni dirette a sostenere e valorizzare l’interazione tra scuola e territorio. Ha diretto numerosi corsi di formazione, prestato la propria penna a ‘fatiche’ letterarie (ora in libreria con L’albero dormiente) ed è componente del Comitato tecnico scientifico della rete nazionale dei licei artistici italiani nonché componente nazionale e referente regionale dell’associazione Amici della biennale dei licei artistici (Abiliart).

Dottoressa Andreola, come e quando nasce 

la sua carriera professionale nel mondo della scuola?

«Mi sono laureata in pedagogia entrando giovanissima in ruolo, alle elementari, come insegnante. A trentuno anni ero già direttrice didattica: avevo maturato una personale visione della scuola e sentivo l’esigenza di dare un contributo». 

I suoi maestri nella vita e nella professione?
«I miei genitori prima di tutto. A seguire la grande direttrice didattica Maria Russo Bastolla: una vera guida sul piano culturale che ha contribuito in maniera decisiva alla mia formazione. I professori universitari Boggi Cavallo e Acone che ho incontrato nel mio percorso accademico. Sul piano spirituale, infine Bruner su tutti».

I maestri sono importanti…
«Ne abbiamo bisogno tutti ma, allo stesso tempo, dei maestri che abbiamo il privilegio di incontrare lungo il nostro cammino dobbiamo saper cogliere la bellezza e il messaggio rendendoli nostri. Personalmente ho imparato tanto anche da molti colleghi di scuola con i quali –  fin da  quando ero una giovane dirigente – mi sono sempre confrontata sull’amministrazione scolastica ma anche e soprattutto sull’impianto pedagogico e psico-pedagogico, sul senso della relazione tra scuola e società e su come, in particolare, la scuola potesse incidere sulla sviluppo della società». 

Qual è, secondo lei, lo stato di salute della scuola italiana?
«Una grande scuola con un organico di qualità a tutti i livelli di responsabilità. Dopo l’autonomia però, dal 2000 in poi,  un po’ alla volta e norma dopo norma, chi lavora nel mondo della scuola si è ritrovato costretto a gestire responsabilità amministrative, gestionali, progettuali e direi anche educative che vanno ben oltre il ruolo e la missione della scuola». 

Cosa potrebbe, e dovrebbe, fare di più la politica?
«Sicuramente investire sulla qualità delle strutture, che è necessaria per il benessere dell’intera comunità scolastica. Che senso ha comprare computer e sistemi tecnologici innovativi se poi nelle aule ci piove e i soffitti sono pericolanti?»  

Dal suo osservatorio – senza dubbio privilegiato – le nuove generazioni in cosa oggi sono più fragili rispetto a chi li ha preceduti?

«Il punto debole è la parte emotiva. Le paure e le ansie, proprie dell’adolescenza, risultano sovraccaricate dai media e da sistemi relazionali deficitari. Il ruolo degli adulti, da questo punto di vista, era e resta fondamentale. Bisogna ascoltare e parlare con i ragazzi in modo aperto testimoniando nella pratica, con l’esempio, quanto detto a parole».

La corresponsabilità tra scuola e genitori per l’educazione delle nuove generazioni è tra i principi fondamentali espressi nella Costituzione. Quale la strada maestra?
«Le relazioni scuola-famiglia sono più complesse perché il sistema, nel suo insieme e in tutte le sue articolazioni, è oggi molto più complesso. Talvolta sbagliano i genitori, talvolta sbaglia la scuola. Per ridare senso a questa relazione bisogna per prima cosa costruire dei ponti di dialogo. Il rapporto di fiducia va realizzato sulle basi solide della legittimazione reciproca».

L’autonomia scolastica ha prodotto (anche) una competizione spinta tra istituti. 

Un bene o un male?
«Questa è la parte oscura dell’autonomia, la sua ombra. La competizione intesa come corsa ad accaparrarsi gli alunni non produce nulla di buono. Le scuole devono vivere il rapporto col territorio intessendo relazioni virtuose con i suoi attori principali per poi mettere questa ‘rete’ al servizio degli studenti. Occorre anche allentare il discorso formale dell’immagine, della comunicazione fine a se stessa, per entrare nella sostanza dell’offerta formativa e dei processi che la realizzano».      

Voto in condotta: il disegno di legge del governo prevede, nelle scuole superiori, una maggiore incidenza. Lei cosa ne pensa?
«In verità ha sempre inciso. Il voto può essere un deterrente ma non costituisce lo strumento per modificare la sostanza dei comportamenti degli studenti. Vorrei fare un esempio concreto».

Prego…
«Al liceo artistico Sabatini-Menna. scuola che ho avuto il privilegio oltre che la responsabilità di dirigere per quindici anni,  c’erano quadri e opere d’arte un po’ ovunque. Nessun studente li ha mai danneggiati. Come mai?»

Ce lo dica lei, dottoressa Andreola.
«Tutti insieme – dirigente, professori e studenti – abbiamo scelto i quadri e le opere da esporre. Tutti insieme abbiamo condiviso un’esperienza concreta di bellezza che ha generato empatia nei confronti degli oggetti trasferendo valore e insegnamenti al cuore e non solo alla testa dei nostri ragazzi».

Il rapporto con i nuovi canali di comunicazione investe direttamente anche il mondo della scuola. Mi riferisco in particolare ai social network e alla presenza su queste piattaforme di docenti e dirigenti.  
«Quando assumiamo la responsabilità professionale ed etica di essere docenti o dirigenti scolastici, questa stessa responsabilità persiste quando siamo presenti sui social network. E’ un fatto di regole: esistono e vanno rispettate».  

Intelligenza artificiale e digitalizzazione: anche la scuola è chiamata ad “abitare” un tempo nuovo. Una vera e propria sfida dell’innovazione per dare agli studenti le chiavi di lettura del futuro.  Un processo governato o subito?

«Non sono contraria all’intelligenza artificiale né in generale   al progresso  tecnologico. Le donne e gli uomini devono essere consapevoli di cosa significhi essere donne e uomini, di cosa vuol dire essere umani. Se non abbiamo autentica e profonda coscienza di questo, saremo sempre dipendenti da ciò che proviene dall’esterno. Bisogna tornare alla riflessione, alla filosofia, all’arte, al pensiero. Bisogna tornare a scrivere con le mani impugnando una penna… dopodiché possiamo tranquillamente utilizzare un tablet o servirci dell’intelligenza artificiale. La vita è atto creativo. Il computer, ad esempio, dovremmo innanzitutto aprirlo per vedere come è stato realizzato dall’uomo e solo in un secondo momento utilizzarlo».

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