Il Ravello festival rovinato dalle cerimonie - Le Cronache
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Il Ravello festival rovinato dalle cerimonie

Il Ravello festival rovinato dalle cerimonie

L’anima classica e jazz del Festival di Ravello riunite nel segno di Frank Sinatra in un progetto che ha visto rinascere quel jazz sinfonico che saluterà altri eventi speciali. Nota stonata lanciata da due roccaforti di cerimonie La Rondinaia e Villa Eva che con musica live ad altissimo volume hanno inficiato il concerto

Di Olga Chieffi

Non ci saremmo mai aspettati di dover principiare la recensione del concerto conclusivo del prestigioso cartellone del LXXI Festival Internazionale di Ravello con un “nonostante”. Sul palcoscenico flauti, corni, archi, arpa e timpani della Orchestra Filarmonica Salernitana “Giuseppe Verdi”, affiancata ad una big band classica, la Salerno Jazz Orchestra, con palco disegnato mesi prima, service perfetto, pericolo pioggia scampato, superluna in cielo a rendere ancor più l’incanto del belvedere di Villa Rufolo. In programma la reunion delle due anime del Ravello Festival, il classico e il jazz, con le due formazioni e con due nomi del panorama internazionale della musica, il tenore Vittorio Grigolo e il direttore e trombettista Demo Morselli, per il concerto celebrativo del venticinquennale della scomparsa di Frank Sinatra, una felice idea del direttore artistico Alessio Vlad e del direttore di produzione Elio Macinante, il quale è noto per circondarsi di figure tecniche tutte all’altezza dei propri compiti e giungere, dopo il giusto tempo di ricerca a tutto tondo, con assoluta sicurezza di successo, alla performance che, “in sua assenza non potrebbe avvenire” – ha fatto esclamare a Tony Renis, nel suo intervento in palcoscenico, produttore artistico di questo progetto insieme al suo assistente Gianluca Ricotti. Nonostante tutta questa preparazione è stata proprio Ravello “Città della Musica” e, dovremmo aggiungere “Roccaforte delle cerimonie”, un bunker serratissimo di sale, fiorai, fotografi, musici, ristoratori, menù, a lanciare la “nota” stonata, agghiacciante, dolorosa, con continui interventi canori a volume altissimo e rimbombante nella valle, dalla celebrata Rondinaia e da Villa Eva. Interventi dei Carabinieri per ben tre volte, telefonate e figura d’accatto di Ravello, il cui Festival è conosciuto in tutto il mondo, con gli artisti e con le istituzioni che sovvenzionano il cartellone, in primis la Regione Campania e su tutti con il pubblico, tra cui abbiamo riconosciuto il sottosegretario alla cultura Gianmarco Mazzi, il neo-sovrintendente del Teatro San Carlo, Carlo Fuortes e Alessandro Ariosi, manager di Vittorio Grigolo, oltre naturalmente direzione del massimo salernitano, della fondazione stessa e il Sindaco Paolo Vuilleumier, che ha ancora una volta fatto segnare il sold out, per cui se in fondazione si è inteso optare per il grosso salto di qualità, che si riprenda l’abitudine di vietare qualsiasi altra diffusione sonora nelle due ore di concerto nelle giornate dell’evento per il quale il paese è riuscito a fregiarsi del titolo di “Città della Musica”.  Nonostante tutto, la serata ha ottenuto l’atteso successo i cui elementi sono stati in primis nella scelta di prime parti che hanno posto in sicurezza quel gusto per certa musica facile da suonare, poiché si deve “leggere” tra le righe in un certo modo, oltre poi improvvisare e creare altro. Demo Morselli è riuscito a far suonare la big band in stile, facendo mordere il freno alle sezioni e liberando i soli. La Salerno Jazz Orchestra ha suonato in modo così equilibrato, coi suoni “giusti”, a mia memoria, solo sotto la direzione del sassofonista Maurizio Giammarco con in organico Peter Erskine alla batteria. Scorrendo i nomi in libretto, non siamo lontani da quella serata, poiché sullo sgabello della batteria, mercoledì sera, c’era Pino Iodice, con al basso Dario Deidda e la frontline dei sassofoni  guidata da Alfonso Deidda primo alto e Vincenzo Saetta primo tenore, trombe e tromboni di confermata esperienza con Sergio Vitale Gianfranco Campagnoli, Mauro Seraponte e Nicola Coppola ed Enzo De Rosa, Raffaele Carotenuto, Luca Giustozzi e Christian Carola. L’ orchestra ha aperto con Splanky un classico di Count Basie con the Hawk, Coleman Hawkins che strizzava già l’occhio al Be-bop, quindi tutti al “servizio” di Vittorio Grigolo, grande animale da palcoscenico e conquistatore del gentil sesso in smoking e mocassino estivo e irresistibile sorriso. Il tenore si è abbandonato in modo eccessivo nelle due song di George Gershwin, Embraceable you e Someone to watch Over me, come in The Shadow of your Smile, dedicata a Tony Bennett, a tempi lenti che ha potuto realizzare solo perché una   ritmica d’eccezione si è completamente posta generosamente al suo servizio. Sulla luna blu, in “Fly me to the Moon” ci è volato il flauto di Antonio Senatore, con al suo fianco parte della sua scuola, Francesco Cirillo, sentire avvezzo il suo a questo genere, poiché figlio d’arte del padre Vincenzo, indimenticato sassofono, il quale ha introdotto la pagina, in cui Grigolo ha fatto bene unitamente a tutte le melodie in tempo medio-veloce, con qualche acuto sapientemente tenuto lungo. “God save the swing” è questa l’essenza dell’intervento di Tony Renis che ha ricordato l’amico Frank a cui piaceva tanto la sua canzone “Quando, quando, quando”, col quale erano sfide in cucina per la preparazione di uno dei piatti più difficili, spaghetti all’aglio, olio e peperoncino” e nei ristoranti dava prima di iniziare una lauta mancia. Ha raccontato aneddoti Tony Renis durante le prove, perché è noto se non usiamo il termine play, il gioco” non si potrà mai scatenare la “gioia” della performance e in palcoscenico non avviene nulla. Vittorio Grigolo non ha proposto niente di nuovo: non appare fragile o vulnerabile, sorretto, com’è, dal piacere incrollabile e contagioso del fare musica, né rivela ansie, contrasti, conflitti interiori, passioni brucianti o crudi sarcasmi, non lascia spazio al silenzio, al dubbio, all’incoerenza, all’incertezza semantica, così come il suo mobile strumento vocale non è marcato da quelle impurità, da quelle lacerazioni o crudezze, talvolta necessarie per descrivere le sfumature di un’emozione. Ma ha virtù di intonazione, limpidezza timbrica, sensibilità, eleganza che gli permettono di offrire alla melodia prima un respiro libero, anche se ha volte affettato, quanto il suo Rodolfo. Giardinetto pirotecnico finale, con The Lady is a Tramp, My Way e quel That’s Life che deve avere dentro l’intenzione di Basin Street Blues. Applausi scroscianti e tre bis, Something Stupid e ancora My Way e New York New York. Ritorniamo, scherzando, nel classico e chiusa la LXXI stagione Elio Macinante e Alessio Vlad sono già all’opera per uno strabiliante cartellone natalizio… “Un vulcano la mia mente già comincia a diventar” (Gioachino Rossini “Il barbiere di Siviglia” Figaro e Conte).