di Alberto Cuomo
I comunisti di un tempo anteponevano il partito alla persona. Vincenzo De Luca sovente sostiene di appartenere all’aristocrazia della politica, quella che discende dal Pci di Enrico Berlinguer e, tuttavia, sin dalla sua prima candidatura a sindaco di Salerno, non si è mai riconosciuto nel proprio partito, pure erede di quel Pci, privilegiando i propri interessi politici. Infatti nel 1993 De Luca non si candidò con il neonato Partito Democratico della Sinistra di Achille Occhetto, ma con una propria lista civica Progressisti per Salerno e, da allora, ha sempre ironizzato, persino con derisione, sui dirigenti del partito, cui è rimasto iscritto seguendone i diversi nomi, da PDS a DS ed ora PD. Probabilmente avverte il partito come cosa propria tanto da ergersi a difensore della sezione regionale, opponendosi al suo commissariamento e dichiarandola ostaggio dei vertici romani mentre, al contrario, i commissari aspirano a liberare il partito ritenendolo, in Campania, ostaggio di De Luca. Qualcuno potrebbe dire che, autentico riformista, non riconosca nella dirigenza del PD il dna della sinistra. Eppure nel 2017 non esitò a schierarsi, nel congresso del secondo Lingotto, con Matteo Renzi già rivolto a un credo liberal-centrista. Per non dire delle sue sintonie con la Lega i cui uomini hanno spesso manifestato simpatia verso le sue uscite populiste. Oggi il governatore della Campania, deciso a candidarsi per un terzo mandato alla presidenza regionale, minaccia, da ex comunista nostalgico, di abbandonare il proprio partito e di potersi candidare con Azione, il partito guidato da Carlo Calenda, espressamente neoliberale. In affetti la cronaca politica ha dato la notizia di un incontro riservato a palazzo Santa Lucia tra De Luca e, accompagnato dal consigliere regionale Giuseppe Sommese, proprio Calenda, probabilmente per ricercare accordi, si dice la promessa di una terza candidatura in cambio di un sostegno ad Azione alle prossime europee, sebbene proprio qualche giorno prima lo stesso Calenda si era espresso contro il terzo mandato per il governatore campano. Certo, dopo aver tradito Bersani, Renzi, Letta, a De Luca, a meno di fare un salto a destra, non resta che il partito di Calenda, sebbene un tale accordo determinerebbe definitivamente la rottura con il PD dove ancora milita il figlio Piero il quale, se candidato con Azione, avrebbe difficoltà ad essere eletto. È probabile pertanto che De Luca, secondo una strategia già sperimentata, minacci l’allontanamento dal PD per sollecitarne la corte, tanto più che insieme ad Emiliano e ai sindaci piddini meridionali tenta di capeggiare un movimento interno al partito contro la legge sull’autonomia differenziata in concorrenza ma non in contrasto con un analogo movimento promosso dalla segretaria Elly Schlein. Purtroppo per lui, mentre gioca a fare il condottiero senza macchia e senza paura, nuovo Masaniello paladino del Mezzogiorno, gli è giunto, da parte della Corte dei Conti, ovvero dai sostituti procuratori generali Davide Vitale e Mauro Senatore, un invito a dedurre, corrispondente ad un avviso di garanzia, riguardante un presunto danno erariale di 3,7 milioni di euro, per aver disposto, con alcuni funzionari dell’Unità di crisi del Covid, la spesa per l’adozione in Campania di un attestato digitale di vaccinazione in una materia di competenza del governo centrale che infatti adottò il green-pass nazionale utile alla circolazione dei vaccinati.
Se mai De Luca fosse condannato gli sarà attribuito il pagamento del 25% del danno complessivo per circa 930mila euro di risarcimento che, probabilmente, al governatore non fanno ombra, anche se una tale ammenda denoterebbe una colpevole disinvoltura nell’amministrazione del denaro pubblico, tale da non poter far considerare, da parte di qualsivoglia partito, un suo possibile terzo mandato. Oltretutto l’eventuale condanna per la spesa del pass regionale porterebbe a riconsiderare gli atteggiamenti discutibili avuti al tempo del Covid in cui il governatore si elesse salvatore dei cittadini campani imponendo restrizioni al limite della democrazia. E chi sa che una tale spesa non sia stata la sola avventata se si pensa al finanziamento dei reparti-covid per strutture sanitarie private o agli appalti di fornitura di mascherine a rivenditori improvvisati.
Del resto già l’anno scorso, dopo l’attenzione della Corte dei Conti nei confronti degli appalti per gli ospedali modulari per l’emergenza Covid, è intervenuta la procura della Repubblica di Napoli con una sua ulteriore indagine nel merito emettendo 23 inviti a comparire nell’ambito di tre diversi filoni investigativi riguardanti la realizzazione di tali ospedali a Napoli, Salerno e Caserta, la fornitura di mascherine per i bambini e un’ipotesi di peculato compiuta da personale sanitario. C’è da dire che l’indagine non ha riguardato in alcun modo il presidente della Regione, quanto il direttore generale della Asl Napoli 1 Centro, Ciro Verdoliva, la dirigente dell’Ufficio regionale di Protezione civile Roberta Santaniello, e il coordinatore dell’unità di crisi della Regione Campania per l’emergenza Covid, Italo Giulivo – un geologo non un medico – tutti selezionati nelle loro responsabilità con la presidenza di De Luca rivelando almeno una insufficienza nella scelta dei collaboratori pure indicativa di una inidoneità al ruolo.