Venerdì 4 agosto secondo appuntamento per la sezione sinfonica della XXXIX edizione del Festival Internazionale di Mezza Estate, firmata da Jacopo Sipari di Pescasseroli, con il doppio omaggio al genio russo in occasione del 150° anniversario della nascita e al compositore Aurelio Iacolenna, con l’Orchestra Sinfonica Abruzzese diretta da Dian Tchobanov
Di Olga Chieffi
Quarto appuntamento in cartellone per la XXXIX edizione del Festival Internazionale di Mezza Estate, nel chiostro del Convento di San Francesco in Tagliacozzo, venerdì 4 agosto, alle ore 21,15. Il direttore artistico del festival Jacopo Sipari di Pescasseroli, che ha firmato il cartellone, realizzato col patrocinio del M.I.C, della Regione Abruzzo, della Città di Tagliacozzo, grazie alla aperta visione del Sindaco Vincenzo Giovagnorio e del suoAssessore alla cultura Chiara Nanni, della Banca del Fucino e della Fondazione Carispaq, ha inteso affidare la serata celebrativa del centocinquantenario dalla nascita di Sergej Rachmaninov al pianista Giuseppe Albanese e all’Orchestra Sinfonica Abruzzese, diretta da Dian Tchobanov, che commemorerà ad un anno dalla scomparsa il compositore Aurelio Iacolenna. “Sono emozionato di assistere all’esecuzione di una composizione – ha dichiarato il M° Jacopo Sipari – del mio compianto Maestro Aurelio Iacolenna, uomo dalla straordinaria umanità, oltre che immensa professionalità. L’omaggio doveroso dell’ISA, orchestra con la quale ha più volte lavorato, si unisce ai numerosi e profondi ricordi di lui che ha lasciato in tutti noi. Il secondo concerto di Rachmaninov è il mio preferito per pianoforte e ho fortemente voluto invitare Giuseppe Albanese al quale mi unisce una profonda amicizia e stima professionale perchè il nostro affezionato pubblico possa vivere con noi la magia di questo capolavoro assoluto. Ho lavorato con lui tante volte e ogni volta ho riscontrato la comune visione di questo concerto e della violenta umanità che vi si cela. L’accoppiamento con Brahms poi completerà il programma di un concerto che resterà nel cuore di tutti”. La serata verrà inaugurata dalla prima esecuzione assoluta di “Prelude au miroir de l’ame” di Aurelio Iacolenna, un omaggio del suo allievo Jacopo Sipari. Basta solo aprire la partitura per intuire la trasparenza del sentire musicale del suo autore,erede della scuola romana di composizione dei Maestri Bianchi e Bortolotti, racchiusa in un motto che fece suo Ennio Morricone, “Se nella partitura vedi una vigna non è bene”, sottolineante che la musica deve essere semplice e deve respirare, lasciando trasparire ogni nota, ma al contempo, guardare avanti, impadronendosi di ogni vezzo avanguardistico. Il prelude è un delicato fluire musicale, certamente non inconsapevole della lezione novecentesca francese sospeso in un’aerea grazia, che resta l’ inconfondibile cifra del segno dell’organista Aurelio Iacolenna, che si staglia, attraverso questa pagina nel tormentato, quanto eterogeneo, panorama compositivo attuale, con imperturbabile candore, difendendo solidità strutturale, semplicità, chiarezza linguistica e gradevolezza del disegno melodico, affidatoin apertura all’ancia nostalgica dell’oboe e degli strumentini, per poi passare agli archi, nel rispetto tonale, sia pur screziato da singolari soluzioni armoniche che restituiscono originali suggestioni timbriche. Per raccontare la genesi del Secondo Concerto per pianoforte e orchestra in Do minore di Sergej Rachmaninov non possiamo evitare un riferimento al terribile fiasco della sua Prima Sinfonia, dovuto anche ad un’esecuzione di pessimo livello curata da un Aleksandr Glazunov in evidente stato di ubriachezza. Un tale insuccesso fu un vero e proprio colpo di grazia per il ventiquattrenne compositore che cadde in uno stato di profonda depressione e di totale sfiducia nelle proprie capacità creative che per circa tre anni gli impedì quasi del tutto di scrivere musica. Rachmaninov si lasciò convincere ad incontrare il dottor Nikolaij Dahl, uno psichiatra specializzatosi nelle tecniche dell’ipnosi. Il dottor Dahl tra l’altro era un grande appassionato di musica, suonava il violino e organizzava serate di musica da camera con colleghi medici e giovani studenti del Conservatorio; fu ben felice, quindi, di potersi occupare di Rachmaninov che salutò il ritorno alla creatività proprio con questo concerto a lui dedicato. Il concerto si apre con una serie di accordi possenti che determinano una sensazione di mistero; sono contrastati da un secondo tema più disteso. I due temi s’intrecciano con agilità alternando tonalità minore e maggiore, passando dal maestoso al cantabile. L’Adagio sostenuto è tra le pagine più conosciute di Rachmaninov, una struggente melodia eseguita via via dalle diverse sezioni dell’orchestra che racchiude gli interventi del solista e la sua cadenza. Sul delicato arpeggio del pianoforte sostenuto dagli archi, il flauto espone il dolcissimo tema, ripreso dal clarinetto e poi dal pianoforte in uno scambio di ruoli, quindi gli archi e l’intera che sfocia in una morbida dissolvenza conducente alle ultime note del pianoforte che chiudono il movimento. Finale con l’Allegro Scherzando agile e scanzonato che alterna brio e malinconia in un fitto dialogo tra solista e massa orchestrale. La seconda parte della serata sarà dedicata alla seconda sinfonia di Johannes Brahms in Re maggiore op. 73. In questa Sinfonia, insieme all’influenza del valzer viennese, si afferma una cantabilità di ascendenza liederistica particolarmente evidente nel primo movimento, Allegro non troppo, dove la dialettica drammatica, tipica del bitematismo della forma-sonata, è sostituita da un’atmosfera di grande lirismo. L’opera, infatti è quasi un’anti-sinfonia, un po’ nel senso in cui si dice un’anti-opera il Pelléas et Mélisande di Debussy. Lontana dai tradizionali principi sinfonici, ad esempio, è l’affinità reciproca dei quattro movimenti, il trascolorare di uno nell’altro senza che si condensino quelle zone di contrasto che informano drammaticamente la morfologia sinfonica; è raro trovare un’altra Sinfonia in cui il primo e il secondo movimento sembrino seguitare altrettanto uno nell’altro; in cui i temi dei singoli movimenti appaiano come le diverse facce di uno stesso paesaggio piuttosto che episodi contrastanti per diversi caratteri; in cui gli sviluppi siano disseminati ovunque; in cui la soluzione di ogni intrico sia affidata alle code e non alla ripresa, a quelle appendici accorate e suadenti che rivelano il significato del difficile percorso seguito fino a quel punto. La mescolanza di umori pensosi e idillici, che è poi la cifra più segreta dell’animo di Brahms, non si limita ai passi dell’Allegro non troppo ma pervade sopra tutto il secondo movimento; che sembra procedere battuta per battuta, anziché frase per frase, esempio supremo di quello stile “associativo” di Brahms che fa scaturire ogni idea dalla precedente per intima analogia; sembra filtrare e trattenere la musica soppesandone ogni composto sonoro con un istinto analitico tipicamente moderno. L’Allegretto grazioso che segue è quasi l’archetipo dell’allegretto brahmsiano, riemerge il tono della prima Serenata e più in là un omaggio al vecchio Minuetto, a un Settecento idealizzato nel sole novembrino. Nel finale la vocazione costruttiva della sinfonia con un lontano riferimento al finale di Haydn: gli ottoni lucidi dell’ultima fanfara sono l’ovazione comunitaria di una tradizione, di un coro e dell’umanesimo brahmsiano. Stasera, ore 21.15 nel Chiostro del Convento di San Francesco con l’Orchestra Saverio Mercadante diretta da Maurizio Dones, la voce narrante di Augusto Zucchi, e la vocalist Sarita Schiena per un Omaggio a Luigi Tenco “Ora dicono che era un poeta”. Vi sono circostanze, fatti ed episodi destinati a passare inosservati, e altri a cambiare per sempre il destino di migliaia, di milioni di persone. Questo vale per la grande storia, come per il mondo delle canzonette. Nella notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967 il cantautore Luigi Tenco, qualche ora dopo la sua eliminazione dal Festival di Sanremo, si uccide con un colpo di pistola. Nulla, per i colleghi, il pubblico, gli imprenditori e glioperatori dei settori discografico e musicale, sarà più come prima. Ancora oggi, a ben oltre cinquant’anni di distanza, circolano congetture e ipotesi alternative al suicidio, ma nessuno è mai riuscito a darvi concretezza. Gli infiniti sospetti sulla fine di Tenco dicono, a loro modo, di quanto quell’evento abbia toccato alcune corde sensibili e susciti domande e inquietudini ancora a tanto tempo di distanza; di quanto abbia segnato un punto di non ritorno. Uno dei principali esponenti della canzone impegnata partecipa per la prima volta al Festival di Sanremo, ed esce stritolato da una competizione in cui, non a caso, vengono generalmente celebrati, riconosciuti e premiati i cantanti più commerciali. La fine di Tenco viene inevitabilmente letta, dal pubblico e anche dal mondo del disco, come conseguenza dello scontro frontale tra il Mercato e l’Impegno. Il suicidio del cantautore è così destinato a diventare una potente metafora, e al contempo un catalizzatore. Esso capta intuizioni, immagini e suggestioni che appartengono al passato, e ne sprigiona altre, destinate a loro volta a essere assorbite, riflesse e restituite al pubblico.