Di Marco Visconti
Il dottor Nello Gaito, presidente della Fondazione Carminello ad Arco, spiega le ultime vicende che lo vedono coinvolto come presidente della Fondazione e inoltre aggiunge alcune notizie molto delicate in merito alla vendita di beni, prima che lui fosse presidente, appartenuti un tempo al conte Carlo Pignataro.
Partiamo da dove ci siamo fermati, perché ha pubblicato degli atti di compravendita su un social network?
«Ho pubblicato la copertina di due atti di compravendita, ma nel tempo sono stati numerosi gli atti di compravendita. Possiamo dire che il patrimonio della Fondazione nel tempo è andato ad assottigliarsi nella quantità di beni e anche nel valore. Premesso che l’alienazione dei beni non poteva essere fatta, eccetto se c’era un motivo di forza maggiore, quindi si doveva alienare il bene e doveva essere sostenuto con un bene di pari valore. La Fondazione è un ente il cui patrimonio è vincolato al raggiungimento sociale. La Fondazione non è una società immobiliare in cui si comprano e vendono gli appartamenti. Bisogna aggiungere che il conte Pignataro ha fatto la sua opera pia con un testamento, quindi ha dato un vincolo ai beni che ha lasciato. Per testamento ha detto che questi beni, la sua casa, la chiesa attigua alla sua casa che ha fatto costruire, dovevano essere finalizzati alle povere orfanelle del Comune di Pagani. Quei beni sono vincolati per la natura dell’ente, sono vincolati perché c’è stato un testamento. Quando l’amministratore decide di vendere il bene, a mio avviso, non sta agendo con la diligenza del mandato che gli è stato affidato».
Perché non ci sono stati internamente dei controlli?
«Lo dobbiamo chiedere a chi aveva l’autorità nonché il compito di controllare. Oggi tutti prestano attenzione a questa Fondazione, noi di questo siamo contenti, perché il nostro scopo, in questi 5 anni, è stato di far conoscere la Fondazione. Prima la Fondazione la conoscevano solo gli addetti ai lavori, oggi, invece, è conosciuta dall’intera comunità. Questa sa che è un bene lasciato per testamento e lasciato per uno scopo sociale».
Si conosce chi ha venduto questi beni appartenuti alla Fondazione?
«È chiaro che si conosce chi ha venduto i beni. Se un bene lo vado a donare, per esempio, devo fare un atto di donazione. Alla Fondazione ci sono gli atti pubblici. Dalla lettura di questi atti mi sorge spontanea una domanda che vorrei rivolgere a chi prima di me è stato presidente di questa Fondazione per circa 20 anni, vorrei dire al vecchio presidente, don Flaviano Calenda, perché avete deciso di vendere dei terreni? Nelle delibere del consiglio di amministrazione ho letto che la vendita di alcuni di questi beni venivano venduti perché bisognava riparare l’immobile in via Matteotti, è sotto gli occhi di tutti che questo immobile non ha mai visto un intervento di manutenzione, così come posso affermare, e l’ho anche pubblicato sulla pagina Facebook della Fondazione, che l’unico progetto di recupero conservativo approvato dalla soprintendenza è quello che è stato presentato da questo consiglio di amministrazione e, allo stesso modo, se arriveranno dei fondi per la ristrutturazione di questo immobile è grazie all’impegno di questa amministrazione. Noi, senza vendere nulla, stiamo portando avanti un discorso di recupero conservativo dell’immobile, ci siamo anche preoccupati non solo di non vendere ma di salvare tutto quello che veniva anche nascosto. Non ci dimentichiamo che abbiamo trovato un tesoro nascosto, le opere d’arte marcivano in un sottoscala della Fondazione, sono state portate all’attenzione della comunità grazie al nostro intervento. Alcune opere d’arte sono state restaurate grazie al nostro intervento, così come, per quello che c’è stato dato e c’è stato reso possibile, siamo riusciti a capire, confrontando alcuni documenti, che ci sono 53 opere d’arte che non sono più presenti nella Fondazione. Mi chiedo dove siano queste opere d’arte mancanti».
Che tipo di valore hanno queste opere d’arte?
«Io non ho la competenza tecnica per stimare le opere d’arte, confrontandomi con persone che hanno le competenze e facendo vedere le foto delle opere sottratte, possiamo dire che ogni singolo bene ha un valore di 50mila euro, stiamo parlando di opere del 1600, 1700, di sculture fatte di legno, altre opere d’arte presentano ricami d’oro, ci sono oggetti d’argento, stiamo parlando di un patrimonio enorme e che la comunità deve sapere e deve essere amministrato con diligenza. Oggi tutto questo, grazie alla modifica dello statuto che abbiamo portato avanti con caparbietà e non senza gravi difficoltà, il patrimonio della Fondazione è vincolato. I futuri amministratori se dovessero decidere di fare qualcosa, farebbero un reato».
Prima non era vincolato il patrimonio?
«Lo statuto di questa Fondazione è stato rimaneggiato tantissime volte e potrei aggiungere “ad uso e consumo” di chi amministrava. Altrimenti non riesco a spiegare a me stesso perché il profilo del revisore è stato eliminato, il vincolo del patrimonio è stato eliminato, sono state eliminate tante altre cose…».
Perché non ci sono stati i controlli da parte delle forze dell’ordine?
«I controlli esistono, posso trovare una spiegazione che può essere questa: le cose da controllare sono tantissime, non c’è una persona che denuncia, dunque si riesce difficilmente a capire o indagare su quello che può essere un reato. Le cose da attenzionare sono tantissime e le persone a disposizione che dovrebbero eseguire questi controlli non ricoprono un numero efficiente. Deve essere la comunità che deve vigilare affinché il patrimonio non deve essere ulteriormente depredato».