di Gerardo Coppola
Mi hanno fatto un po’ sorridere le reazioni della stampa italiana alla notizia che è stato avviato l’iter per la nomina di Fabio Panetta a Governatore di Banca d’Italia. Elogi sperticati, panegirici sulle doti salvifiche che di sicuro non gli giovano. L’informazione dei giornali risente di una sottomissione al potere che a volte rende un effetto santificazione in vita che è fuori luogo e che danneggia il personaggio pubblico. Nel caso dei vertici della Banca d’Italia poi è stato sempre così. È evidente che la scelta del Governatore è anche scelta politica, frutto di pesi e contrappesi per garantire una condivisione di fondo delle politiche economiche del Paese. Basta dare uno sguardo alla procedura di nomina, rigorosamente finalizzata al coinvolgimento di tutti gli organi costituzionali. In base allo Statuto della Banca d’Italia, la nomina del governatore avviene “con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore” della stessa Bankitalia.
Quindi anche il dottor Panetta è “umano” e in quanto tale è portatore di una visione politica del mondo, che potrà essere a vantaggio del paese o meno. Aspettiamo i fatti per giudicarlo. Di certo non gli mancano doti umane e eccellenti capacità tecniche.
Nel frattempo, egli si pone in continuità con i suoi predecessori, avendo collaborato per anni e in modo proficuo con Ciampi, Fazio, Draghi e infine Visco. Ha avuto deleghe importanti soprattutto per i rapporti con la BCE e per quanto la stampa lo abbia ora giubilato ha condiviso gli esiti della drammatica stagione delle crisi bancarie. Essa ha lasciato una scia di effetti collaterali che potremmo riassumere nel risparmio tradito e nel credito malato in tante aree d’Italia. È scomparso in pratica il sistema delle banche del territorio ovunque nel nostro paese.
Ma il passato è passato e vediamo invece, a mio giudizio, le sfide che lo attendono in Bankitalia. Ne indico tre tralasciando quella che gli è stata attribuita, sull’essere colomba in BCE, cioè di opporsi fermamente all’aumento dei tassi di interesse. Purtroppo, è una posizione marginale, un po’ per il peso politico del nostro paese in Europa e un po’ perché proprio ieri in una interessante riunione pubblica a Sintra in Portogallo, Lagarde ha ribadito che ci saranno altri aumenti dei tassi di interesse. E sorprendentemente anche il presidente della banca centrale americana ha avallato questo orientamento.
Dicevo di tre sfide.
La prima è l’introduzione dell’euro digitale, di cui ha avuto finora la responsabilità negli anni in cui è stato in BCE. Vi sono molte perplessità su questo progetto che forse ha caratteristiche epocali e che riguarderà la vita di ciascuno di noi. Ma è di ieri la notizia che la Commissione Europea ha proposto una dettagliata regolamentazione sull’euro digitale e la BCE si è dichiarata pronta a realizzarlo. Decideranno in ottobre. Per l’Italia è una sfida da non perdere, per eliminare il mare di contante in cui galleggiamo da sempre.
L’altra questione, assolutamente indifferibile, è lo stato del nostro sistema bancario che preoccupa al di là dei risultati economici strombazzati in ogni dove. La concorrenza latita, essendo, per le cose dette prima, il sistema concentrato in due, tre gruppi bancari che dominano la vita economica, e non solo. Qui le forze in campo dovranno capire come muoversi e in realtà finora è stato fatto ben poco.
Il terzo punto è più aziendale e dovrà essere orientato ad una seria riforma di Bankitalia che con l’euro ha perso gran parte dei suoi poteri. Visco ha moltiplicato competenze, dirigenze, pubblicazioni ma si avverte una stanchezza di fondo dell’istituzione arroccata su via Nazionale, Roma. Esistono le competenze soprattutto nei giovani e vanno adeguatamente valorizzate (cioè usate) a condizione di dare una svolta radicale alla struttura territoriale e centrale. Un punto su cui si giocherà gran parte della partita è la tutela della clientela bancaria e finanziaria. Basta aprire un giornale per capire in che condizioni siamo. La rubrica delle lettere al Direttore è piena di risentimenti e rancore per come trattano i clienti, a torto o a ragione.
Di facile c’è poco ma il dottor Panetta ha davanti a sé un mandato di sei anni, rinnovabile una sola volta. Il tempo, dunque, c’è e non mi resta che auguragli buon vento, Governatore. Per la stampa e per i cd. “giornaloni”, l’augurio è di rifuggire dagli elogi (a che servono?) e di occuparsi di questioni concrete che, come abbiamo visto, non ci mancano.