di Erika Noschese
Dal 2007 al 2017 le cooperative sociali che facevano capo a Vittorio Zoccola e al Comune di Salerno hanno ottenuto circa 9 milioni di euro. Lo ha detto il Maggiore Fausto Iannaccone in servizio presso la Direzione investigativa antimafia, ascoltato ieri mattina in qualità di teste all’udienza del processo ribattezzato Sistema Salerno. Nello specifico, il Maggiore ha ripercorso tutte le tappe principali dell’indagine che ha visto coinvolto l’ex ras delle cooperative sociali. Grande attenzione è stata riservata ai presunti rapporti che le cooperative, attraverso Zoccola, tenevano con i capi della criminalità organizzata, come emerso proprio dalle informazioni fornite dal collaboratore di giustizia Adamo Pisapia. Zoccola, in particolare, aveva rapporti con un uomo già noto alle forze dell’ordine, in carcere per tentato omicidio: poco dopo il suo ritorno in libertà era stato assunto da una delle coop che faceva riferimento all’ex ras Fiorenzo Vittorio Zoccola. Rapporti anche con la famiglia D’Agostino: uno dei fratelli in carcere avrebbe chiesto all’altro di parlare con Zoccola per assumere alcuni dipendenti a Il Brillante, tra le prime cooperative dell’imputato. Il teste ha poi ricostruito la struttura delle cooperative sociali: Il Brillante con attività cessata; I Picarielli, società inattiva; la 3SSS con moglie e figli nel CdA. E anche sul numero di dipendenti sono stati accesi i riflettori: dieci nel 2007; 23 nel 2013; 46 nel 2014. «Dal 2007 al 2015 ci sono stati diversi affidamenti diretti a cui faceva seguito sempre una proroga, per evitare una nuova procedura. Altro espediente usato dall’ente era la divisione in lotti per cui per esempio la pulizia di un parco non viene appaltata interamente per l’intero parco ma questo viene diviso in tante unità con affidamenti massimo da 150 mila euro, cioè sotto la soglia dei 200 mila che imponeva la legge all’epoca. Non c’era evidenza pubblica ed il privato non poteva partecipare e tutto restava agli affidi diretti e alle proroghe», ha raccontato il maggiore Iannaccone. Tra i protagonisti della criminalità organizzata che avrebbero avuto rapporti con Zoccola persone vicine al clan Pannella e Viviano, membri del clan e familiari di persone coinvolte nell’omicidio Procida-Rinaldi. Tra le coop anche Albanova che aveva tra i suoi dipendenti diversi pregiudicati o persone collegate alla malavita locale come, ad esempio, la compagna di Donato Stellato, ucciso nel febbraio del 2007 dinanzi al Tribunale. Secondo quanto avrebbe riferito il collaboratore di giustizia c’erano, da parte dei malavitosi, interessi ben precisi ad entrare nelle cooperative sociali e nelle partecipate del Comune. «Anche nelle Partecipate del Comune ci sarebbero infiltrazioni ed assunzioni ad hoc mentre secondo “collaboratori” Zoccola era stato anello di congiunzione tra clan D’Agostino e criminalità potentina», ha poi aggiunto il maggiore Iannacone in riferimento all’informativa del 2016. Il Pm Elena Cosentino ha chiesto di acquisire agli atti il procedimento che ha portato nel 2007 a sentenza di assoluzione e prescrizione per Savastano per i suoi rapporti con il clan D’Agostino. «Parliamo di cooperative sociali, è chiaro che l’obiettivo è dare lavoro alle persone svantaggiate, ex detenuti, ex tossicodipendenti, non ci sono rapporti diretti tra Savastano e la criminalità organizzata», ha replicato l’avvocato Della Monica, difensore di Vittorio Zoccola. Intanto, la prossima udienza è in programma il 19 ottobre quando sarà ascoltato ancora il sostituto commissario Rosario D’Ecclesia che ha seguito le indagini per la Squadra Mobile mentre il 6 novembre saranno ascoltati come testimoni il sindaco Vincenzo Napoli e il suo ex braccio destro Felice Marotta. Sui presunti rapporti con D’Agostino la difesa ha obiettato che il boss era in carcere dal 2000.