“A caccia di dinosauri”con il prof Fanti: “Si lavora sul campo” - Le Cronache
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“A caccia di dinosauri”
con il prof Fanti: “Si lavora sul campo”

“A caccia di dinosauri”con il prof Fanti: “Si lavora sul campo”

di Jacopo Tafuri
Il Prof Federico Fanti è un docente dell’Università Alma Mater di Bologna presso il Dipartimento BiGeA (Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche ed Ambientali); si occupa di paleontologia e paleontologia dei vertebrati.
Negli ultimi anni ha iniziato delle campagne di scavo e ricerca in varie parti del mondo, al fine di individuare nuovi giacimenti e nuovi fossili e delineare linee di ricerca.
Il Professore è noto in ambito accademico per i suoi studi e le sue ricerche, ed è molto popolare tra gli appassionati che lo conoscono per aver letto il suo libro “A caccia di dinosauri”, e lo hanno potuto apprezzare per le sue doti di divulgatore seguendolo nella serie di documentari del National Geographic “Il cacciatore di dinosauri” .
Prof. Fanti, anche lei affascinato sin da bambino dai dinosauri, o la passione per questi antichi rettili estinti, e quindi per la paleontologia, nasce e si sviluppa in altro modo?
“Tutto nasce come un gioco, come per molti ragazzini, poi la passione si sviluppa mentre la si coltiva.
Mi piace affermare, dice il Professor Fanti, che << il paleontologo non è un mestiere che ti capita di fare ma che scegli di fare >>; si può facilmente capire come possa aumentare l’interesse per questa disciplina quando si passa dal visitare un museo o leggere un libro a praticare il mestiere sul campo: trovarsi sul terreno di scavo e parlare con altri esperti confrontandosi significa realizzare ciò che si è sempre sognato”.
Ha effettuato scavi in Nord America (Alaska, Canada, Messico), Europa, Asia (Turkmenistan, Mongolia), Africa ed Australia, quale degli scavi è stato il più emozionante?
“Dopo molti anni in giro per il mondo, posso affermare che due sono i posti che posso considerare come particolari nella mia esperienza professionale, e con i quali ho un legame molto profondo: il Canada, luogo in cui ho imparato il mestiere, cimentandomi negli scavi per la prima volta e dove, pur scavando ormai da venti anni nella zona, fortunatamente, scaverò anche quest’anno; e la Mongolia, per il fascino dei luoghi e per il lavoro che rimane ancora da fare, può dare ancora tante soddisfazioni professionali”.
Nel 2017 è stato scelto come uno degli Emerging Explorer dalla National Geographic Society, ed i documentari che ha girato sono stati molto interessanti; ci può dire se la rivedremo presto sul piccolo schermo?
“Speriamo di si, anche a breve, poiché i progetti e gli accordi ci sono, sia con enti grandi come National Geographic che con i partners che portano avanti fisicamente i progetti e le riprese.
Tutti abbiamo risentito del blocco dovuto alla pandemia di COVID e di tutto quanto è da questa derivato, ma l’obiettivo è continuare a raccontare storie legate alla paleontologia”.
Con grande dispiacere noto che la paleontologia in Italia è quasi totalmente dimenticata dalle Istituzioni, come si potrebbe porre rimedio a tale situazione?
“Sono d’accordo con lei, si potrebbe fare molto di più sulla tutela, sulla promozione, la parola d’ordine è sempre “pazienza”; quello che non va assolutamente dimenticato è che in Italia sono molte le persone che vogliono fare paleontologia, specialmente i più giovani.
Vuol dire che la disciplina, di per sè, e tutto quello che il nostro territorio ha da offrire è molto stimolante, e questo dovrebbe essere il punto di partenza: continuare a far si che chi vuole portare avanti questo mestiere lo possa fare diventando molto bravo qui in Italia; più persone crescono con questa idea, più sarà facile sensibilizzare le istituzioni, dimostrando che è qualcosa di importante non solo perché lo scavo paleontologico e la scoperta di un dinosauro fa notizia, ma perché ci sono tantissime persone che portano a livello internazionale il loro lavoro e ve ne sono altrettante che vogliono continuare su questa strada”.
Un po’ tutti abbiamo, da bambini, amato i dinosauri; poi siamo rimasti affascinati da Jurassic Park ed i suoi “sequel”, e tutti gli appassionati ancora sognano pensando a quanto affermato dal celebre paleontologo Jack Horner sulla retroingegneria (reverse engineering) e, quindi, all’idea di creare un dinosauro partendo da un pollo. Crede accadrà mai?
“La storia è affascinante, ma molto più complessa di quello che appare: il “pollosauro” in realtà, è stato un modo geniale, secondo me, di attirare l’attenzione sul fatto che le ricerche scientifiche che si fanno oggi sui dinosauri, sono incredibilmente all’avanguardia: si parla di cellule, di genetica, di cose che, quando sono usciti i primi film, erano quasi impossibili.
Possiamo considerare due fronti: uno che cerca di capire, sempre più, l’evoluzione dei dinosauri, ed in particolare quella che ha portato agli uccelli; e l’altro fronte, completamente diverso e molto più “biologico”, che cerca di capire, partendo dagli animali di oggi, le tracce di questa evoluzione, da cui il nome assurdo di “pollosauro”, cioè vedere negli uccelli di oggi le tracce lasciate dai loro antenati . I processi che si vedono nei film, e che per molto tempo hanno fatto dibattere sul clonare o non clonare, secondo un mio parere personale, non si possono applicare sui dinosauri.
Gli studi, per quanto avanzati, non possono permetterci di fare queste cose, perché i dinosauri sono troppo lontani nel tempo per poter essere riportati in vita con questo tipo di tecnologia.
Negli ultimi anni, alcuni laboratori internazionali studiano, con risultati molto più interessanti, gli animali estinti vissuti molto più di recente: vissuti dopo o a cavallo dell’ultima era glaciale; in questi casi la linea teorica di studio del genoma potrebbe produrre qualche risultato.
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