di Michelangelo Russo
Sarà oggi, per il Procuratore Generale Primicerio, l’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario. Farà 70 anni tra qualche mese, e per quella sciagurata e miope (ma interessata) scelta della politica di mandare a riposo i giudici prima dei 75 anni (come accadeva invece fino al 2016) se ne va un altro giudice che conserva la memoria di anni preziosi per la democrazia italiana. Cancellare la memoria all’interno del corpo giudiziario è stata una calcolata autodifesa dei potentati politici. L’annientamento dei testimoni è una delle regole degli eserciti vincitori, per facilitare la costruzione di un nuovo ordine. Primicerio è stato un testimone importante della storia salernitana, e non solo. Lo conobbi nel giorno del suo insediamento come uditore giudiziario alla Procura di Salerno, nella primavera del 1981. Con lui, un gruppetto di giovani come Massimo Palumbo, Luigi D’Alessio, e altri, che portarono una ventata di freschezza tra le mura del vecchio Tribunale. Il giorno del loro insediamento, la Procura era investita da polemiche furibonde, anche sui media, sulla sfida lanciata alla politica e agli assetti dei potentati giudiziari dal processo al potente leader della Democrazia Cristiana di allora, De Felice. Un impavido Pubblico Ministero, Luciano Santoro, appena arrivato, aveva rintuzzato una sorta di contrattacco organizzato da Magistratura Indipendente (a quel tempo ideologicamente contigua al Potere costituito) all’inchiesta da me condotta, bollata subito come iniziativa politicizzata di Magistratura Democratica. Quelli erano i tempi di allora: quando mi si presentarono questi giovani nel corridoio, mi scusai quasi per l’infernale baccano, da me involontariamente causato, di una assemblea affollatissima di avvocati nell’Aula Parrilli, con la presenza dei vertici di Magistratura Indipendente, che invocavano il taglio della testa mia e di Luciano Santoro.Ma i giovani uditori si aprirono al sorriso davanti alle scuse. “Ma noi siamo te e con Santoro, e non vediamo l’ora di iniziare a lavorare proprio con voi!” I nuovi tempi stavano arrivando. La rivoluzione giudiziaria salernitana ebbe avvio proprio con l’apporto di quelle giovani forze. Negli anni ’80, lo slancio trainante del gruppo di Unicost, la corrente progressista guidata da Santoro, Antonio Frasso e Leonida Primicerio, affiancò il gruppo di Magistratura Democratica composto da me, Luigi Santaniello, Mariano De Luca, Giovanni Pentagallo, Claudio Tringali, D’Alessio e altri, in un’opera costante di dialogo pubblico con la gente e le componenti sociali. Mai, prima di allora, i giudici si erano mescolati alla gente comune nei dibattiti assembleari e nei convegni; mai, come in quegli anni, ai confronti anche aspri era intervenuta la stampa libera nella radiocronaca senza veli che iniziò ad accompagnare le grandi e inedite inchieste di quel decennio.Il passato è una terra straniera, in cui malvolentieri ci si addentra. Perché ad entrarci si soffre il dolore della nostalgia. E si diventa retorici, declamando la bellezza di un tempo lontano. Ma un giudizio sintetico del magistrato Primicerio va dato: ha incarnato la figura del giudice veramente indipendente, condivisibili o meno che fossero le sue idee. Non lo vedo, dopo la pensione, mendicare un qualche assessorato o una qualche presidenza di commissione elargita dalla politica compassionevole e a volte, forse, grata. Ha avuto, pur da progressista convinto, una visione benevolmente corporativa del ruolo del giudice. Forse perché consapevole, in forza della lunga militanza nell’Associazione Magistrati, come sia pericolosamente fragile l’indipendenza costituzionale della Magistratura, e come siano pericolose le fratture e le lotte intestine al corpo giudiziario. Ma va bene così! Se ne va con tutti gli onori, meritati, di una professione svolta con dignità e discrezione scevra da velleità e vanagloria finalizzata ad incarichi futuri, propri o parentali. Uno stile non sempre tenuto, in passato, in queste terre. Chiudo con un ricordo recentissimo. Ad ottobre 2021, il collega Erminio Rinaldi (che pure fece parte negli anni ’80 di quella schiera di innovatori) organizzò una festa privata per il suo pensionamento. Serata allegra di vecchi amici, piena di facce giovani di figli e loro compagni. Un incontro di generazioni, per uno scambio del testimone di staffetta. Come in una festa collettiva e comunitaria di un paese armonioso della Romagna. Unici magistrati in quella folla amicale, oltre Erminio Rinaldi, io e Leonida Primicerio. Una sorta di telegramma, con i nostri nomi (e il mio, devo dire, immeritatamente forse) alle nuove generazioni di giudici che volessero visitare quella terra straniera che è il nostro passato prossimo.