Non esistono confini invalicabili in quel territorio che è il linguaggio. Il vocabolo è arricchito, potenziato, dissolto e indotto a rinascere da un gioco pressochè infinito di contaminazioni e manipolazioni in cui forme espressive differenti confluiscono, amplificando e stravolgendo la percezione del dato. “Viaggio al termine della parola” è il progetto curato da Antonello Tolve che riunisce presso la Galleria Tiziana Di Caro opere di Tomaso Binga, Maria Adele Del Vecchio, Adelita Husni-Bey, Maria Lai, Magdalo Mussio, Damir Ocko, Lamberto Pignotti, Lina Selander, accomunati da quello che lo stesso Tolve definisce “un punto di vista transemantico”, per esplorare quel rapporto sempre ridefinibile tra il termine e il segno in una visione dell’arte che si fa continua sollecitazione del senso critico, lontano dalla pretesa di un discorso esaustivo. Autori che hanno fatto da apripista dialogano con artisti più giovani nella (ri)scoperta del significante che accoglie o esclude il significato in un’autonomia estetica spesso ironica. Decomposizione (1976) e Flafh Poem (2000) di Lamberto Pignotti si misurano con le suggestioni di un immaginario onnivoro legato a diversi media, il Diario n.1, Diario n.2 (1980) e la Serie Parole su tela (2004) di Maria Lai rimandano alla sua concezione del materiale come qualcosa di vivo, in attesa di comunicare a chi sappia ascoltare, le creazioni di Magdalo Mussio del 1975, 1978 e 2000 sposano alla parola la progettazione architettonica, celebrando il potere della lingua di costruire e deformare. I dattilocodici di Tomaso Binga (1980-82) rendono i segni grafici nati dalla sovrapposizione dei caratteri di una macchina da scrivere la base di una nuova geografia del pensiero, che si tratti di una rilettura dei gironi danteschi, dell’esagono del “Testamento” che allude a una barca in procinto di traghettare verso l’altrove, del rapporto con le proprie fantasie, della solitudine al fondo del calore o del cimitero di Prima Porta riprodotto nella sua straniante immobilità. Damir Ocko (Tk, 2014) risente a sua volta del fascino della sinestesia, unendo ai versi che accompagnano la sua produzione video linee di varie dimensioni che riproducono l’ampiezza del suono. Lo sguardo dell’ingegnere (il professore Lorenzo Jurina )e dell’artista (la logica non ha un unico volto) si sovrappongono nello studio del crollo simbolico di un ponte in Esercizi di interpretazione (2011) di Adelita Husni-Bey, mentre l’ambigua ricchezza delle immagini domina il video When the Sun Sets It’s All Red, Then It Disappears di Lina Selander. Il bisogno di spogliare la comunicazione di ogni rigidità attraversa anche l’opera senza titolo del 2014 di Maria Adele del Vecchio, mentre il suo neon Herstory, sostituendo al possessivo maschile his il corrispondente femminile her nel termine history, invita a capovolgere la prospettiva della narrazione in uno sguardo non allineato. Le parole sono pietre, ma anche e soprattutto vie da percorrere in qualsiasi senso.
Gemma Criscuoli