“E’ là, giustamente, l’origine. Noise e nausea e nautica, noise e nave sono della stessa famiglia. Non bisogna stupirsene. Non intendiamo mai bene ciò che chiamiamo rumore di fondo che al mare. Questo bailamme tranquillo o veemente sembra stabilito là per l’eternità. Lungo il piano orizzontale stretto si scambiano senza posa cadute d’acqua, stabili, instabili. Lo spazio è invaso, interamente, dal clamore; siamo occupati per intero dallo stesso clamore. Questa agitazione si trova nell’udito, al di qua dei segnali definiti, al di qua del silenzio. Il silenzio del mare è un’apparenza. Il rumore di fondo è forse lo sfondo dell’essere”. E’ il Michel Serres di Genesi che ci è balenato davanti agli occhi durante l’incontro di presentazione del volume “Con lo Jutta sulla scia del Leone di Caprera”, “vissuto e scritto da Pino Veneroso, svoltosi qualche giorno fa al Circolo Canottieri Irno. “Vi ho assortiti bene – ha scherzosamente affermato Alfonso Andria, promotore della piacevole serata – il presidente della casa del mare salernitana Alberto Gulletta, depositario di 104 anni di cultura marinaresca, Alfredo Ricci, nato e cresciuto in barca a vela passione che è divenuta anche il suo lavoro, Mimma Luca, una vita al servizio dello sport e dell’educazione sportiva dei giovani, oggi alla guida del C.O.N.I. della nostra provincia, un’amazzone con tanto di remi e pagaia, unitamente a Francesco D’Episcopo, docente di letteratura italiana presso la Federico II di Napoli”. Il volume è uno spot per il Cilento è stato sottolineato da tutti. Ad illustrare il libro è toccato a D’Episcopo, che avendo indovinato il talento poetico di Veneroso, lo ha spinto a raccontare la sua avventura marinara. E ne è uscito un testo sorprendentemente lungo, quasi 400 pagine che incutono un po’ di timore, ma che ti prendono e non ti lasciano più. “Un libro cilentano”, lo ha definito D’Episcopo. E il Cilento e Pisciotta e soprattutto Marina di Pisciotta, nella prima parte del libro, compongono un quadro difficile da dimenticare, che è la giusta introduzione all’avventura sull’oceano, oltre le colonne d’Ercole, come un novello Ulisse, fino a Montevideo, sulle orme del Leone di Caprera, una goletta, di nove metri come lo sloop Jutta, che nel 1880 dopo nove mesi di navigazione portò tre emigranti italiani dall’Uruguay all’Italia, sulle tracce di Giuseppe Garibaldi. Fra il pubblico a sorpresa un altro navigatore: Gabriele Vita che accompagnò Veneroso nel viaggio a ritroso dall’Uruguay all’Italia. Fra il viaggio di andata e quello di ritorno passarono un po’ di mesi. Veneroso a capodanno del 2003 lasciò lo Jutta a Montevideo e rientrò a casa con un volo Alitalia. Rimase a Pisciotta fino a Pasqua. In quei mesi fra gennaio e aprile organizzò il viaggio di ritorno, con cui voleva portare sulla tomba di Garibaldi a Caprera una sciabola donatagli dagli italiani di Montevideo. Questa volta voleva che a compiere la traversata fossero in tre, come in tre erano i marinai del Leone di Caprera 124 anni prima. Avrebbe voluto portare con sé un marinaio di Marina di Camerota, lo stesso paese di Pietro Troccoli, uno dei navigatori del Leone di Caprera. Il compagno di viaggio lo trovò invece a Marina di Casalvelino: il nostro Gabriele Vita, esperto velista, cui a Montevideo si aggiunse un medico, Emil Kamaid. Questo, completamente a digiuno di mare. E a questo punto sarebbe il caso che Emil raccontasse la “sua” traversata, tra fortunali pesantissimi. Due i documentari proposti con immagini sia dell’oceano che del nostro Cilento che restano un chiaro invito a perdersi nella scia bianca di una barca, lanciandosi più sicuri a caccia della vita. “Buon vento!” ha augurato Pino Veneroso intrecciando il suo semplice dire con diversi aneddoti, e Alfonso Andria non ha mancato la performance, dedicando lui i versi di “ ‘O viento” di Ernesto Murolo. Tutti a casa con i colori, il profumo la luce del mare evocati da Pino Veneroso, che ha rivelato la prossima sfida, dando appuntamento a Capo Horn.
Olga Chieffi