Dalla storia alla progettualità futura, dalla banda alla tradizione del plettro, fino alla grande canzone d’autore, il Conservatorio “G.Martucci” ha conquistato la città.Fuoc’ ‘a ‘mmare finale per far luce su quel ponte che ha condotto e condurrà tante generazioni verso il tempo della vita
di Monica De Santis ed Olga Chieffi
Il segno della musica è iridescente, inafferrabile, implicito, sottinteso , compreso in sé,mai convenzionalmente predeterminato, esso si autopresenta, lo si gode per se stesso, dispiega “storie nascoste”, è forse l’unica espressione attraverso cui una realtà si fa trasparente all’anima, mentre in se sterra rimane al di là di ogni possibile espressione”. Lunedì Salerno ha festeggiato la musica, lo ha fatto, toccando con mano la storia della massima istituzione musicale cittadina. Il conservatorio guarda dall’alto la città, nel secolo scorso è stato additato come spauracchio dei bambini “Se non fai il bravo ti andiamo a chiudere al serraglio”, o addirittura la sua leggendaria scuola di musica non era frequentabile dalla borghesia salernitana, ma quell’ istituzione ha scritto la storia di Salerno stessa. Ieri da “sopra” Canalone, il conservatorio è “sceso” in città e lo ha fatto in grande stile, proponendo il suo glorioso passato in comune, quei pionieri i cui nomi sono e rimarranno per sempre nelle mura di quell’istituto, dove hanno studiato, insegnato, battuti per farlo diventare ciò che è oggi, un’istituzione che vanta ila prima cattedra di sassofono in Italia, ottenuta tra sacrifici e rischi di ogni genere da Francesco Florio, come quella di bassotuba da parte di Rocco Citro, il capostipite dei cornisti, Delfino Lisa, delle trombe salernitane, Antonio Avallone, i due maestri di violino, Carlo Giuntoli e Maurizio Aiello, la scuola di clarinetto di Giovanni De Falco, di trombone e strumentazione per banda di Franco Cardaropoli, di armonia e composizione di Alfonso Vitale. I suoni si intrecciano e se Francesco Florio, iniziò lo studio dei suoni fuori-registro sulle partiture sottratte da Luigi Francavilla agli americani, per fondare una big-band da ballo, che insisteva al Tersicore, l’ex teatro San Genesio, pochi metri più avanti a casa Guglielmi, il giovane Achille siedeva al pianoforte, suonando, la nuova musica, il jazz, con “la meglio gioventù” musicale del tempo, tra cui Enrico Parrilli e Franco Deidda. Alle basi del conservatorio di oggi ci sono i “figli” di questi maestri, alcuni portano il loro cognome, altri ne sono figli spirituali e il legame è ancora più forte, poiché hanno il ricevuto il compito di trasmettere la loro eredità, eternandone, così, la memoria. L’allievo e già Maestro Mattia Esposito, ha associato il conservatorio alla pianta di pomodoro, con le radici ben radicate nel territorio, il fusto, i frutti pesanti e succosi, che hanno bisogno di acqua, sole e di un asse di sostegno. Mai figura più indovinata. L’amministrazione comunale presente nella figura tecnica di Claudio Tringali, ha assicurato l’uso dell’auditorium e non solo, al direttore Fulvio Maffia che vuol fare a Canalone un vero e proprio Polo artistico, ospitando anche una sezione staccata dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, e ancora Fulvio Artiano, vicedirettore del Martucci ha espresso i grandi numeri su cui si basa il nostro conservatorio e l’internazionalizzazione oramai mondiale della scuola, che guarda alla Royal Accademy inglese e allo Chopin di Varsavia. La didattica che è legata a doppio filo con la ricerca, illustrata da Nunzia De Falco, con rarità quali il master in canto, lingua e tradizione musicale napoletana, e desideriamo sottolineare in primis la lingua, del pluripremiato compositore e storico Pasquale Scialò in duo con Francesca Seller, oltre due pagine di pubblicazioni, dei vari dipartimenti e il coinvolgimento degli allievi nelle diverse iniziative, e soprattutto con la produzione, di cui hanno reso conto Imma Battista e il Presidente Nello Cerrato, ma che è sotto gli occhi di tutti, poiché in questi giorni in particolare, il teatro, il quadriportico del duomo e i vari spazi deputati, hanno risuonato di note degli allievi e di quanti lì si sono diplomati. Poi, il direttore ha dato l’attacco alla festa, ponendosi alla testa della banda di Nardò, attaccando le marcie “Gli amici di Minori” di Favoino e “Fantastica” marcia sinfonica di Michele Lufrano. Di corsa nello spazio antistante il tempio di Pomona, per applaudire le serenate classiche elevate dai plettri preparati dal Maestro Squillante e concerto finale “extra-colto” al Parco Pinocchio. “In un mondo che prigioniero è” ci piace immaginare che in un posto lontano e decisamente migliore “Lucio incontra Lucio” per parlare di musica e canzoni, per parlare della loro musica e delle loro canzoni. Un po’ come è successo martedì sera, sul palco allestito al Parco dell’Irno, dove Battisti ha incontrato Dalla, in un viaggio immaginario nato dall’idea di Liberato Santarpino e portato in scena in maniera eccelsa da Sebastiano Somma. Uno spettacolo di teatro canzone che ha narrato la vita e la produzione di due notevoli artisti di fama nazionale e internazionale, nati entrambi nel 1943 ad un giorno di distanza, ma in città molto diverse e distanti tra di loro. La vita, la storia e le canzoni dei nostri, sono state ripercorse da Somma capace di regalare al pubblico, numerosissimo, un concerto che nella realtà non c’è mai stato, o meglio che non si è mai riuscito a fare e che ora continua a rivivere ‘postumo’ grazie alla proposta teatral-musicale che da anni continua a raccogliere consensi. Dal “4 marzo 1943” a “Piazza Grande”, da “I giardini di marzo” a “La canzone del sole”, fino ad arrivare ad “Acqua azzurra, acqua chiara” e “Attenti al Lupo”, sono solo alcuni dei brani eseguiti, in questa inedita lettura tra parole e musica (vero fil rouge dello spettacolo) per raccontare la vita di due uomini accomunati non solo dalla stessa passione, ma anche da tanto altro. Applausi tanti, per i protagonisti e la discesa verso il mare, verso “la spiaggia dei poveri”, luogo del cuore di Alfonso Gatto. Lì gran concertazione per scelta dei tempi, di colori e riflessi sull’acqua del fuochista Amodio Curci, che in una notte tutta d’a(mare) ha eseguito e interpretato, la sua spettacolare partitura di luce.