di Olga Chieffi
“La melodia e il linguaggio si appartengono vicendevolmente, rifiuto l’idea che possa esistere una musica pura”. Questo l’assunto di Carl Orff, del quale domani sera, alle ore 21, e domenica, in pomeridiana alle ore 18, sul palcoscenico del teatro Verdi verrà eseguita la “cantata drammatica” “Carmina Burana” datata 1936. Un evento, questo del quale sarà protagonista Michael Balke alla direzione dell’ Orchestra Filarmonica Salernitana “G.Verdi”, del coro e delle voci bianche preparate rispettivamente da Andrea Albertin e Silvana Noschese. Il tenore, Deniz Leone, il soprano, Laura Claycomb e il baritono, Gustavo Castillo, andranno ad elevarsi su di un’orchestra di dimensioni normali alla quale andranno ad aggiungersi pianoforte celesta, cinque timpani e un ampio complesso di percussioni. Orff scelse quale punto di partenza per la sua ricerca melodie nette, dalle semplici strutture armoniche e dai ritmi vigorosi dei canti popolari bavaresi. La sua musica trae il suo fascino emotivo dalla Gemutlichkeit della Bierstube di Monaco, dall’ardore che infiamma il cuore dopo che vari boccali di birra siano stati vuotati in locali dal soffitto basso e pieni di fumo. Si dimostra compositore del XX secolo per il fatto di considerare il ritmo come l’elemento costitutivo della forma musicale, a differenza dei musicisti del XIX secolo, che individuavano tale elemento nell’armonia. Il suo ritmo tare la propria forza dai semplici modelli del canto popolare e della danza paesana, modelli che talvolta ripete con una brutalità che sfiora l’ossessione. Le melodie di Orff nascono da questo impulso ritmico. Egli evita la complessità armonica e l’atteggiamento intellettuale inerenti alla scrittura contrappuntistica; i temi sono ripetuti senza alcun tentativo di variazione e, per ottenere il contrasto, vengono trasposti in altre tonalità. Come ci si può aspettare, la scrittura di Orff è fortemente tonale, nonostante occasionali aggiunte di fragorosi accordi politonali ed è per questo che la sua musica offre un’impressione di semplicità e di schiettezza quasi primitive. Le “Cantiones profanae cantorihus et choris cantandae comitantibus instrumentis acque imaginibus magicis” (“Canzoni profane da cantarsi da cantori e dal coro accompagnati da strumenti e immagini magiche”), come sottotitola l’opera, provengono dalla raccolta manoscritta di carmi ritrovata nel 1847 nel monastero bavarese di Benediktbeuren, poesia burlesca, impudente, sovversiva, inneggiante alle gioie della vita, ai piaceri della carne, della tavola con annessa la paura della morte, alla fatalità del destino. Orff ne ha scelte ventiquattro, le ha raggruppate per affinità di contenuto e quindi su questo curioso magma di scurrilità plebea e raffinatezza ha inserito la sua musica ridondante e solenne, così fisica, immediata e sbalorditiva, scritta con la percussione usata alla maniera di Strawinsky ne’ “Les Noces”. Costruita per blocchi contrapposti, l’opera segna l’esito più riuscito nella ricerca di una via personale alla nuova musica, fuori dalle influenze del tardo-romanticismo, dell’impressionismo tedesco e del primo Schoenberg. Nel riscoprire i melismi del canto gregoriano, gli arabeschi allelujatici orientaleggianti, le cantilene salmodizzanti scandite nelle processioni, Orff punta sull’ossessivo fascino di una coralità priva di intrecci contrappuntistici, sull’insistenza ritmica esaltata dagli strumenti percussivi, sulla declamazione accentuata, su una strumentazione aspra, cruda e brutale, duramente scandita, sull’artificio retorico-musicale. Dalla ripetizione ostinata di motivi ciclici e roteanti, la composizione si consegue spesso un effetto di euforico stordimento, di ebbrezza, partendo da un Prologo che con il suo attacco travolgente ed una melopea ripetuta all’infinito, sempre più veloce invoca la Fortuna Imperatrix Mundi, cieca dispensatrice di gioie e d’affanni. Sotto il volgersi incessante della sua ruota simbolica si svolgeranno le scene successive, dove le figure del “Welttheater”, il teatro del mondo, travolte nel ciclo d’un movimento eterno sfilano da protagonisti di “Primo Vere”, tinta di malinconia, di “in Taberna”, dal rude realismo, e “Cour d’amour”, la più vivace, fino all’”Inno a Venere” e, secondo la circolarità di concezione che informa tutta l’opera il coro iniziale (O Fortuna). L’interpretazione corale e teatrale, che Orff dà di quei canti originariamente così semplici, è, carica di ideologia, tanto più perché sembra dirci che quel Medioevo è qui tra di noi, vive nel nostro tempo, è festa delle nostre feste, ritmo dei nostri ritmi, voglia di cantare della nostra voglia di cantare. E’ un Medio Evo moderno che si presenta musicalmente con il violino diabolico dell’Histoire du soldat di Stravinskij, o il grottesco della Marcia dell’Amore delle tre melarance di Prokofiev: una caricatura, ma seria, un’ironia, ma carica d’ammirazione, un gioco, ma carico d’impegno.