La pianista vietrese Marina Pellegrino, è stata ospite domenica, del prestigioso cartellone dell’Associazione Siracusana Amici della Musica, presieduta da Vittorio Genovese. Il direttore artistico Corrado Genovese ha inteso affidare il concerto alla giovane musicista, che si è tenuto presso il Salone Carabelli di via Torres. Marina ha inaugurato il suo récital con il terzo studio dell’op.10, di Fryderyk Chopin “Tristesse” in cui vengono confermati alcuni aspetti del linguaggio pianistico chopiniano, quale il “preimpressionismo”, una radice poetica che sarebbe divenuta dominante solo più tardi, andando a ricercare quei timbri in pagine scritte per aprire nuovi spazi alla tecnica pianistica, ma che hanno inaugurato, invece, un capitolo meraviglioso della storia dell’arte, permettendo al suono del pianoforte di diventare evocativo. Una pietra miliare della letteratura pianistica è certamente la Sonata n°31 op.110 in La bemolle maggiore di Ludwig van Beethoven, che la Pellegrino ha proposto all’esigente platea siracusana. Il primo tempo, che reca la rara didascalia con amabilità, è in forma classica, con esposizione di due temi principali e due secondari, sviluppo, riesposizione e coda. Il secondo tempo è in forma di Scherzo con Trio, e il Trio è una delle più bizzarre e divertenti invenzioni pianistiche di Beethoven, con rapidi e pericolosi incroci delle due mani che hanno messo a dura prova i nervi dei pianista. La tonalità del secondo tempo è fa minore con conclusione in fa maggiore. Nulla di inusuale in ciò, senonché Beethoven considera il fa maggiore come tonalità di dominante di si bemolle minore e senza soluzione di continuità, partendo da si bemolle minore, crea un collegamento tra il secondo tempo e l’Arioso dolente. Nel collegamento viene ricreato pianisticamente un effetto tipico del clavicordo, la Bebung, cioè la ribattitura affievolita di un suono, che la pianista ha splendidamente sottolineato. La volontà di sintesi di barocco e classico si estende così anche agli strumenti oltre che agli stili compositivi, e la Sonata op. 110 è diventata, ancor più della Hammerklavier, un manifesto di storicismo. La prima parte della serata si è chiusa con la Ballata n°2 in Si minore di Franz Liszt in cui è da tenere presente una suggestione letteraria, che rimanda al mito classico di Ero e Leandro. Il giovane Leandro raggiungeva a nuoto tutte le notti la sua amata Ero, sacerdotessa di Afrodite, che teneva accesa una lampada per orientarlo; in una notte di tempesta il lume si spense e Leandro morì annegato. Il corpo senza vita dell’amato, riemerso la mattina seguente sulla riva, indusse la sacerdotessa ad uccidersi, lanciandosi da una torre. Mito di amore e morte, come altri molto amato dagli artisti romantici, fornisce l’orizzonte simbolico di questo brano virtuosistico, percorso da un’angosciosa fatalità. Un ribollire di scale cromatiche ascendenti e discendenti al basso su cui si staglia, quasi ad imitare il vento che spazza l’orizzonte, un tema a note lunghe che riecheggia la traversata a nuoto dell’amante e si conclude su accordi in piano che danno l’avvio ad un sognante frammento tematico, l’incontro tra i due giovani. Un nuova affannosa traversata, in Tempo I, ripropone la stessa sognante risoluzione per aprirsi poi ad un nuovo momento, dal carattere quasi marziale, Allegro deciso, introdotto da secche ottave ribattute al basso. È l’inizio della tempesta, che si espande in crescendo culminante in una zona caratterizzata da scale di ottave spezzate che percorrono tutta la tastiera. Ricompare, con una differente armonizzazione, il tema degli amanti che scivola di nuovo nel drammatico tema di Leandro che nuota; e su questi due episodi, variamente riproposti, si gioca il resto della Ballata, in forma rapsodica come tutti gli esempi di questa forma musicale. La seconda parte del programma prevede il Clair de lune terzo frammento dalla Suite bergamasque di Claude Debussy, liberamente ispirato all’omonima poesia di Paul Verlain. Il motivo iniziale, dalla forte suggestione timbrica, lascia il passo a un secondo tema in Tempo rubato, fatto di accordi a due mani, cui segue un episodio più mosso e ondeggiante (arpeggi di semicrome nella mano sinistra). La musica si anima poco a poco ma senza mai dare vita a tensioni armoniche: è tutto meravigliosamente sfuocato e sospeso. Il ritorno del tema principale, arricchito ora dai morbidi arpeggi in ppp della mano sinistra, porta alla conclusione del brano, nella quale Debussy alla tradizionale cadenza dominante-tonica preferisce la morbidezza dell’alternanza mediante-tonica. Gran finale con la Fantasia e fuga sul nome BACH in cui Franz Liszt raccoglie gli elementi più caratteristici del suo pianismo, da quelli ornamentali-virtuosistici a quelli costruttivi ed espressivi, distribuiti in un’articolazione di vasto e inimitabile respiro. La composizione si basa sul tema ricavato dal nome BACH in notazione tedesca (ossia formato dalle note si bemolle-la-do-si), che guida l’intero discorso musicale verso esiti di inesauribile varietà. La Fantasia si articola in diverse sezioni contrassegnata ognuna dal cambiamento di tempo e da figure pianistiche caratterizzanti, nelle quali la libertà dell’improvvisazione si salda nella scelta dei momenti e dei motivi determinanti. La Fuga, a sua volta basata sul tema principale, annunciato pianissimo e misterioso, riprende l’elemento cromatico come fondamento della composizione e si distingue dapprincipio per la pensosa serietà della costruzione polifonica, spesso di una monumentale severità, slanciandosi poi nella visionarietà di passi animati da un’espressione pianistica davvero trascendentale. Applausi scroscianti per la Pellegrino che sa coltivare quello squilibrio sotterraneo che a orecchie attente rende ulteriormente inquietante l’ossessività del pezzo, con il pubblico premiato dall’Arabeske in do maggiore di Robert Schumann
Olga Chieffi