Gran concorso di pubblico sabato sera al teatro Augusteo di Salerno, dove in occasione del LXX anniversario di Salerno Capitale il jazz Ensemble delle Allied forces Band di stanza a Napoli, ha offerto una serata di quel jazz con cui vennero a contatto i nostri genitori in quel lontano 1943. Big band classica quella diretta e orchestrata perfettamente da Thomas Lawrence, che ha presentato un ensemble “ben temperato” in tutte le sue sezioni. Il recupero degli aspetti melodici, tonali e modali, del jazz, l’approfondimento della ricerca armonica, una sempre vasta curiosità ritmica e il gusto per la sperimentazione timbrica, ma sempre equilibrata, una musica di grande spessore armonico, in cui la totale immediatezza resta la caratteristica dello swing eseguito sulle partiture originali, scritte da grandi compositori e arrangiatori, quali Count Basie, Ray Noble, Louis Prima. Orchestra pienamente agli ordini, dotata di una importante sezione ritmica, guidata da Raymond Laffoon, con ottoni e saxophoni eleganti in sezione, purtroppo mediocri da solisti, sino a “sporcare” finanche il piccolo “duel” tra sax tenore e sax alto in “In The Mood”, che dovrebbe essere quasi una sigla per questa band.
Al levarsi dei solisti, tra cui ci sentiamo di menzionare unicamente il flauto italiano Francesco Desiato, con il suo suono energico e propositivo che ha svelato una capacità davvero rara di regalare profonde emozioni, la voglia di mettersi in gioco, attraverso un processo di creazione straniante e magnetica sulla melodia di “Time after time”, unitamente al sax alto di Jermaine Smalls, intenzione moderna, la sua, suono corposo e di grande personalità, per una convincente e fresca invenzione su Georgia on My Mind, la mente è andata alla Salerno Jazz Orchestra diretta dal tenor sax Maurizio Giammarco, che ricercò l’assieme e in particolare quei giusti volumi ed equilibri di suoni che ci hanno pienamente coinvolto sabato sera al teatro Augusteo e che a Salerno non si ascoltano da quella serata col sassofonista pavese. Mattatori della serata i due cantanti la Erin Strickland, che ha spaziato dal Gershwin di “S’Wonderful”, a una versione jazzata di ‘O sole mio”, passando per “The very thought of you”, “Yes Sir, that’s My Baby” e “Somewhere over the Rainbow” e il simpatico Tommy Horner alla sua ultima performance italiana, il quale si è posto sulle tracce di Frank Sinatra. Se la Strickland ha sfoderato un timing interessante e naturale che, le permette di confrontarsi con ogni genere di song, conservando, pur nel suo fine perlage, l’aplomb e il dinamismo del suo fraseggio, la nitida e aggraziata fluidità della sua enunciazione, incantando per seduzione melodica e luminosità di suono, latrice di una combinazione esplosiva fatta di umiltà e integrità, virtù di intonazione, calore e limpidezza timbrica, sensibilità armonica, invenzione e ornamentazione melodica, la padronanza assoluta del palco da parte di Horner, che si è cimentato con grandi cavalli di battaglia di The Voice quali “I’ve got you under my skin”, “Come fly with me”, evocando anche “Mack the knife”, ha fatto dimenticare qualche passo falso nell’intonazione, pur riconoscendogli morbidezza d’accenti, un’ostentata fiducia nelle sue possibilità vocali e la sua virtù di giocoliere abilissimo a intrattenere ogni tipo di pubblico. Festa degli scambi di doni tra il vicesindaco Eva Avossa e l’ammiraglio Philip Davidson, che ha rubato l’occhio di tutte le donne presenti in sala per la sua invidiabile fisicità, unitamente ad Eduardo Scotti splendido organizzatore e perennemente “fuori protocollo”, il quale ha strappato la promessa di ri-ospitare il concerto della band il 9 settembre a chiusura della rassegna estiva dei Barbuti, magari aggiungiamo noi, con qualche pagina in scaletta di Ellington, orchestrale, senza abissi solistici, e gran finale con il Benny Goodman di “Don’t be that Way” con una dignitosa Jessica Schneider al clarinetto, che un microfono dedicato forse avrebbe esaltato maggiormente e ancora il trionfo dei tamburi di Lafoon che si è completamente calato nel sentire di Gene Krupa per il solo di Sing, sing, sing! con cui si è concluso il programma ufficiale con gli strumentisti nel bel mezzo della platea, per riproporre lo Jungle style, fusione fra due linguaggi e due scuole la bianca e la nera collocabili da allora alla sorgente di un’unica matrice nera. Standing ovation ed ecco ancora Tommy Horner per i bis “New York, New York” e “A foggy day”, che hanno chiuso in bellezza la serata.
Olga Chieffi