di Michelangelo Russo
Oggi 18 maggio sono entrato in un set cinematografico. A Salerno! Nel Tribunale!
Ero entrato per vedere come è conciato il vecchio edificio abbandonato. A parte il primo piano, occupato ora dal Giudice di Pace, il resto dovrebbe essere vuoto. Già lo scalone solenne denota i primi segni di degrado, con calcinacci ai bordi delle scale. Ma al piano nobile, il secondo, c’è una strana animazione. Gente che trasporta tralicci e fili elettrici, lampade, riflettori.
Mi avvicina un tizio che mi chiede chi mi abbia fatto entrare, come se l’edificio fosse privato. Gli spiego che tutto l’edificio è ancora un ufficio giudiziario, per quello che mi risulta. Non c’è nessun cartello che vieti l’accesso. E allora mi viene spiegato che stanno girando un film, anzi, una serie addirittura, dal titolo ancora segreto. Il set durerà almeno fino a luglio. E bravi! Bravi tutti! Comune, Tribunale e Demanio! Sono settimane che ci si sgola tra noi Comitato Promotore per il Museo, l’Ordine degli Avvocati, la Camera Penale e, da ieri, il candidato della destra avv. Michele Sarno, a fare progetti per la sistemazione dello storico edificio, e quale è il risultato? C’è anche da dire che l’On. Piero De Luca ha avuto il merito di avviare la discussione pubblica sull’uso futuro del Tribunale, altrimenti, temo, ci sarebbe stato un arrembaggio alla chetichella di uffici e scrivanie a caccia di una camera con vista sul corso principale.
Bene, mentre un gruppo sempre più consistente di cittadini inizia a chiedere rispetto per la storia di Salerno e dignità al Palazzo di Giustizia, qualcuno si è affittato il Tribunale! Chi, innanzitutto? E a che prezzo? Lo si dica subito, perché, finito il contratto con i cineasti, voglio chiedere anche io il noleggio delle sacre aule per farci qualcosa. Escludo una destinazione a discoteca o fast food, che pure sarebbe una destinazione economicamente vantaggiosa e la si può benissimo far passare, politicamente, per beneficio in termine di posti di lavoro. Anzi, il Tribunale potrebbe essere il nuovo centro della Movida, ora che si parla di ripartenza! Il cattivo gusto, nel frattempo, è entrato di prepotenza sulla scena. Alla sommità dello scalone, nell’atrio dove si celebrava l’inaugurazione dell’anno giudiziario, un’orrida e maestosa statua di gesso o di cartapesta pare un incrocio tra la Primavera di Botticelli e una ninfa sbranata dai cani. Nelle due absidi laterali, in cui i mosaici azzurrini del 1935 scandiscono l’armonia architettonica, troneggiano due busti finti in stile umbertino intitolati a barbuti illustri sconosciuti. Nel bel mezzo dell’atrio è stato spostato il grande tavolo quadrato a cui sedeva la Corte d’Appello in camera di consiglio. Non oso andare oltre, preferisco non vedere. E adesso veniamo al punto. Non ci sono scuse su presunte volontà del Demanio di mettere a frutto il bene. Questo è un insulto ad un’intera città e alla lapide di quel povero Nicola Giacumbi, ucciso dalle Brigate, che ora guarda il trucco di questa serie che pare si chiamerà (me lo confida il custode mentre esco) “L’avvocato Malinconico”! Ecco! I latini dicevano, con incredibile arguzia, “Nomen omen”, cioè il nome indica la condizione dell’uomo che lo porta.
La fiction, e la situazione, conducono ad un finale che più comico non potrebbe essere, nel puro stile della politica, soprattutto meridionale, da paese di Pulcinella. Quale beffa maggiore, per i poveri avvocati che chiedono il rispetto per la loro storia, di una telenovela televisiva che si chiamerà “L’avvocato malinconico”?