di Erika Noschese
Oltre 60 pazienti, tra codici gialli e verdi, in attesa di essere visitati. Scene di ordinaria follia ieri mattina presso l’azienda ospedaliera universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona: fin dalla mattinata di ieri, presso il nosocomio, una lunga fila di ambulanze che attendevano di lasciare i pazienti in pronto soccorso. Si tratta, come anticipato, di codici verdi e gialli dovuti alla carenza di posti letto, costringendo i pazienti al ricovero presso il pronto soccorso. Intanto, sempre nella mattinata di ieri, in pronto soccorso erano ricoverati circa 45 pazienti appartenenti all’area medica, da oltre 3 giorni. La problematica riguarda i posti letto, dimezzati a causa delle disposizioni dei vertici aziendali. Ad oggi, infatti, il reparto di medicina d’urgenza è ancora riservata al covid; la pneumologia si trova presso l’ospedale Da Procida così come gli infettivi. Il Tribunale per i Diritti del Malato e Cittadinanza Attiva chiedevano di realizzare un ospedale dedito al covid e uno ai pazienti non covid; ipotesi, questa, che ora sembra impossibile da realizzare in quanto, con la annunciata chiusura del Da Procida, i pazienti covid sono costretti al ricovero presso il Ruggi d’Aragona. “La soluzione era lasciare aperto il Da Procida, rimodulare l’ospedale modulare di terapia intensiva che avrebbe permesso di aumentare i posti letto, se necessario; restituire la medicina d’urgenza all’area medica no covid e costruire un rapporto con il territorio”, ha dichiarato Margaret Cittadino che rilancia la proposta di realizzare l’assistenza sanitaria territoriale almeno per le dimissioni protette. “L’unico posto che resta aperto h24, per una serie di prestazioni, è il pronto soccorso e Salerno oggi ha solo il San Leonardo ed è per questo che si rendono necessarie le Case della Salute, con servizi aperti h24 e i medici di medicina generale, oltre ad un equipe infermieristica per le prestazioni più semplici così da liberare il pronto soccorso”, ha aggiunto la Cittadino, evidenziando un’altra problematica importante, quella relativa alla gestione della sanità, oggi fortemente penalizzata. Con l’arrivo dell’estate i problemi sono destinati ad aumentare: l’ortopedia non ha infermieri; le sale operatorie ne hanno poche; il pronto soccorso ortopedico non ha un accesso diretto per i pazienti traumatizzati che, come facilmente prevedibile, aumenteranno proprio nei prossimi mesi. Altro allarme lanciato riguarda la Breast Unit del Ruggi. In questa fase, è stata registrata una crescita dei tumori alla mammella e l’abbassamento dell’età di insorgenza dello stesso; il tumore al seno rappresenta il 4o% della malattia in questione e ha una incidenza di mortalità ancora elevata, nonostante gli alti indici di remissione. “Vista la riduzione delle prestazioni mediche e chirurgiche causata dalla pandemia, la forte riduzione degli screening e il grido di allarme lanciato dalle società scientifiche e dalle associazioni dei pazienti, che si aspettano una impennata di casi oncologici con diagnosi tardiva”, Cittadinanza Attiva e Tribunale per i diritti del Malato segnalano una serie di criticità, attraverso la Cittadino, Maria Grazioso e Pasquale Trotta: le guardie notturne svolte dai dirigenti medici della breast presso la Uoc di chirurgia generale, sottraggono tempo assistenziale ad una dotazione organica di solo tre sanitari; le sedute operatorie della unità senologica sono state ridotte da due a settimana, a una sola seduta operatoria, che significa due o tre interventi a settimana,la qualcosa produce liste di attesa superiori ai tempi massimo previsto dalle normative regionali. Dopo la diagnosi di carcinoma non si riesce a garantire alla paziente l’intervento chirurgico entro 30 giorni come stabilisce in piano regionale. Per questo molte donne si rivolgono al privato o vanno fuori regione. Di fatti, i posti letto dedicati ai pazienti operati al seno sono solo due ordinari e due in day-surgery e sono ubicati presso la chirurgia generale; attualmente in lista di attesa pare che ci siano 18 donne con carcinoma, 41 con lesioni sospette e 43 con lesioni benigne che potrebbero essere o diventare nel tempo maligne. Da qui la richiesta di aumentare le sedute operatorie e i posti letto, con un reparto ad hoc per la breast e una sistemazione logistica rispettosa delle donne malate e delle operatrici. Ulteriore criticità da sanare urgentemente è la istituzione di ambulatori dedicati ai tumori al seno ereditari Brca 1/2 e altri geni, con il percorso aziendale dedicato: diagnosi con esami eseguiti all’interno,terapia medica e chirurgica e controllo di tutta la famiglia. Nonostante progetti e proposte avanzate dai dirigenti medici della Brest,i finanziamenti regionali e le norme nazionali e regionali, i tumori al seno ereditari non trovano in azienda un percorso stabile. “Anche per gli esami genetici i pazienti vengono inviato al privato nonostante che la azienda ospedaliera universitaria Ruggi abbia un professore universitario di genetica e un laboratorio genetico completo presso la facoltà di medicina. La mortalità nei tumori al seno (ma non solo) geneticamente dipendenti è il 50% in più e senza questi accertamenti si scoprono i tumori troppo tardi.,danneggiando soprattutto le ragazze e i ragazzi”, hanno chiarito, evidenziando che la breat ha piccoli ambulatori che rendono difficile fare in sicurezza prestazioni assistenziali, medicazioni e attività gestionali. Non esiste una medicheria ,uno spogliatoio, un locale sosta per i sanitari. “Negli scorsi anni ci era stato garantito che avrebbero dato alla breast due stanze contigue e un vero reparto di degenza – hanno aggiunto Cittadino, Grazioso e Trotta – Ci era stato garantito che il reparto lasciato vuoto sarebbe stato occupato dalla Breast,da condividere forse con la chirurgia plastica. Con la chiusura della riabilitazione al Da Procida, la riabilitazione ha preso una parte del reparto e al posto della breast va la chirurgia plastica,mentre altri medici e la breast rimane sempre nelle stesse infelici condizioni”.