George Theodorescu oltre l’istruttore. L’incontro tra la scuola italiana e quella tedesca, convergenze e deviazioni
Di Giulia Iannone
Nel racconto dell’olimpionico Paolo Giani Margi il Maestro e l’Uomo George Theodorescu.
Paolo, chi è per te George Theodorescu?
“Non è facile racchiudere in poche parole la vera essenza di questo straordinario Maestro.Era dotato di una personalità poliedrica, con mille sfaccettature, molto intensa, con lati affascinanti e belli. Non riesco ad inquadrarlo in una descrizione precisa. La sua storia biografica aveva sicuramente scolpito altri elementi nella sua anima: era di origine rumena , dunque, di cultura neo-latina , aveva lasciato il suo paese a 31 anni , ottenendo asilo politico in Germania, e nella culla del dressage, era riuscito ad ottenere un ruolo di primo piano come tecnico di questa disciplina. Da cavaliere astro nascente nel settore del dressage italiano, ho avuto la fortuna di poter vivere quel periodo, respirare quel tipo di aria e mentalità del Gotha del dressage mondiale tedesco, quindi, posso sicuramente sottolineare un elemento peculiare: George non era così inquadrato e allineato secondo le convezioni del tipo di ambiente.”.
In che anni sei stato da George?
“Sono stato da lui dal 1986 al 1988. Ho vinto i Campionati Italiani nel 1985, dopo mi sono sposato, ho terminato la leva militare obbligatoria ed a febbraio sono partito per la Germania.”
Credi che oltre la didattica, la vostra conoscenza sia stata più profonda?
“ Sono sicuro che la nostra frequentazione didattica, sia diventata un’ amicizia, basata su una condivisione artistica, spontanea, senza schemi, senza regole. In generale con me e con gli Italiani, il cavaliere di Palatin, aveva riconosciuto una somiglianza nel modo di vivere e di sentire , una creatività raffinata, scaturita da usi e costumi e tradizioni del suo paese di origine. Per me, è stato un grande professionista, uomo colto, intelligente, raffinato, molto simpatico, molto intenso e sensibile, è stato , oltre che un grande istruttore, anche e, soprattutto, un grande amico. Sono certo di poter dire questa cosa, credo che anche lui corrispondesse questa familiarità. Sono stato con lui in Germania per ben due anni, non ci siamo frequentati nella maniera classica ed appunto formale, come conviene, tra istruttore ed allievo, perché trascorrevamo molto tempo insieme, al di fuori del lavoro tecnico. Dopo le lezioni, entrambi frequentavamo le rispettive case, nel concetto molto comune della ospitalità, e, spesso, abbiamo mangiato insieme: adorava le olive all’ascolana. Veniva sempre assieme alla figlia Monica, oggi CT della squadra tedesca di dressage. Anche lui non aveva grande piacere a viaggiare in aereo, per cui abbiamo trascorso molte ore in macchina, alla volta delle diverse destinazioni di gara ove si svolgevano gli appuntamenti internazionali cui prendevo parte. Ho avuto davvero modo di conoscere la persona e la sua interiorità meravigliosa”.
Puoi dire qualcosa della moglie, Inge?
“Era anche chiamata “Chefin”. Lui era “Chef” il capo, e lei era “Chefin”, ovvero la donna Capo. Era una persona molto sicura, determinata, anche dotata di un aspetto forte, coriaceo, poi, invece, era anche abbastanza dolce e disponibile. Ho sempre avuto un buonissimo rapporto, anche con lei”.
Quanto è stato importante il suo insegnamento, per la tua carriera di cavaliere e poi di istruttore?
“ Provo molta riconoscenza per George. Mi ha dato tanto, soprattutto dal punto di vista psicologico del lavoro, della conoscenza, dell’approccio con i cavalli, perché stiamo parlando di una persona che aveva un intuito ed una sensibilità speciale nei confronti dei cavalli e del lavoro dei cavalli. Oltre tutto, è stato anche testimone e parte integrante di uno dei momenti più importanti della mia vita, ha conosciuto ed è stato con la mia prima figlia, Alice, e con la mia prima moglie, Paola, con le quali ho vissuto in Germania per molto tempo, e, quindi, è una persona a cui sono realmente molto affezionato. Dal punto di vista tecnico, è un coach importante, con il quale ho condiviso tante esperienze equestri, studiando, approfondendo, ragionando su tanti elementi, e non solo per via del lavoro che ho svolto grazie all’impegno ed al supporto della F.I.S.E, ed in particolare di Cesare Croce, che mi aveva mandato con dei cavalli federali a vivere e a lavorare da lui, per un periodo piuttosto lungo. Questo mi ha dato la possibilità di frequentare un ambiente specifico, di sentire il mood del dressage internazionale.”.
L’Italia al tempo avviava il discorso di questa disciplina di nicchia, tu sei stato pioniere , recandoti in terra di Germania. Che anni erano per il dressage internazionale?
“Era il periodo in cui nasceva e si prospettava all’orizzonte, fin dai campionati Europei Young Rider, il cavallo rivoluzionario del dressage, “Rembrandt” montato da Nicole Uphoff, e poi di Isabell Werth, guidate entrambe dall’altro “Great master” del dressage Uwe Schulten Baumer, meglio noto come “Der Doktor”. Questi erano i due colossi della scena del dressage, Theodorescu – Schulten Baumer, che mostravano in campo due tipi di equitazione, che si prospettavano e facevano a gara, anche già all’interno della stessa squadra tedesca di prima fascia. Monica rappresentava il dressage classico: cavallo leggero, molto rilevato, molto impegnato ed ingaggiato da dietro, però, sempre con un genere di equitazione tradizionale, contro la tecnica di Schulten Baumer, con il grande fenomeno assoluto composto da Rembrandt e Nicole, coloro che hanno un po’ sconvolto la cultura ed il modo di pensare dell’equitazione classica tedesca, seguiti poi da Isabell Werth. In un secondo momento, ho a vuto la fortuna di interiorizzare anche il lavoro “lowdeep and round” della scuola di Schulten Baumer ma non avrei potuto comprendere questo metodo, se prima non avessi conosciuto l’equitazione classica tedesca, proprio grazie a Theodorescu.”
Cosa pensava del binomio formato da te e Destino?
“Sarebbe stato giusto chiederlo a lui, sinceramente! Spero che lui, di me, avesse stima, a me sembrava che lui mi apprezzasse come persona e come cavaliere. George aveva già richiesto che io andassi da lui: mi aveva conosciuto ai campionati italiani a Torino. Così, decisi di partire , una volta sistemate alcune cose, alla volta della patria del dressage. Pur essendo un professionista molto importante, non si è fatto problemi ad accogliermi nella sua scuderia con due cavalli normali, soprattutto Destino di Acciarella, che allora era in formazione e che aveva 6 o 7 anni. George si è messo a lavorare di buona lena con me, per preparare questo cavallo, che in fondo era un cavallo italiano molto normale, con il quale invece siamo riusciti ad ottenere dei super risultati”.
Abbiamo detto, dunque, che il metodo di George Theodorescu appartiene alla migliore tradizione classica del dressage. Allora a tuo avviso, quale è il punto saliente dell’esperienza del grande maestro, che fu alle olimpiadi nel 1956?
“Credo che avesse una sensibilità, un talento, un intuito innato, particolare nei confronti dei cavalli. Ecco, mi ha dato molto dal punto di vista della psicologia, della conoscenza, del lavoro pianificato a lunga scadenza, della programmazione delle gare. Questa sensibilità personale, derivata da quel tipo di animus che abbiamo descritto prima, la notavo a partire dal fisico di questo trainer. Non era il classico tedesco dal fisico grande, potente, longilineo, con la capacità o voglia di prendere un cavallo molto forte tra mani e gambe, ma aveva questo genere di equitazione molto leggera, molto improntata sul sentire, sulla capacità di interpretare il cavallo vivendolo in quell’istante, con il tatto equestre del momento, ed in effetti era considerato anche un uomo di spettacolo. Quando lui partecipava alle Fiere ed eseguiva le Kur, otteneva grande riscontro e calore ed applausi dal pubblico. Proprio perché trascinava, improvvisava, creava”.
Puoi raccontare un episodio o un aneddoto, che conservi per sempre tra i tuoi ricordi?
“ Racconto spesso questo episodio, perché secondo me, offre l’idea in sintesi del dressage di George Theodorescu. Era ormai diventato famoso questo scontro finale nel campionato nazionale tedesco dei professionisti, tra lui ed il celebre Georg Otto Heyser detto “Butzer”, che era il proprietario di Amigo, un cavallo sauro, che aveva montato anche Fabio Magni. Nella finale a scambio dei cavalli, Theodorescu si era ritrovato a dover montare questo cavallo del rivale Georg. In Germania, la finale del campionato dei professionisti, viene disputata sullo scambio dei cavalli. Amigo era un cavallo molto forte, di grande fisico, un po’ difficile in bocca, specie nella parte sinistra, e montato da questo Otto Heyser, cavaliere alto 1,90, con le gambe molto lunghe. Theodorescu aveva un fisico piccolo, come ho già sottolineato prima, minuto anche gracile se vogliamo, per cui, quando si sono trovati in finale i due George, Heyser era sicuro di vincere, forte della sproporzione tra Amigo e Theodorescu, quasi una sorta di Davide contro Golia. Invece, nella finale, vinse la leggerezza e l’intuito del maestro rumeno, anche con la qualità di essere riuscito, in pochi minuti, a mettere il cavallo su degli aiuti delicati, specie dalla parte sinistra, in cui Heyser aveva sempre avuto molti problemi. Dopo la vittoria, i due si incontrarono, ed Heyser si complimentò con il suo rivale, ma soprattutto chiese come avesse fatto, in 5 minuti, a risolvere quella resistenza e tensione, ormai consolidata da anni su Amigo, problema che lo affliggeva da molto tempo. Credo che in questa risposta, risieda il cardine della strategia di Theodorescu con i cavalli “ Perché tu a sinistra chiedi sempre tanto e non dai, non alleggerisci mai. Chiedi e non dai!”. La mentalità vincente del piccolo Davide, che aveva sconfitto il dressage forte, poderoso e volitivo del rivale teutonico.”