di Silvia Siniscalchi
A San Marco di Castellabate il giornalismo riscopre la propria anima. Nel corso di un’intensa conversazione tra Domenico Iannacone e Andrea Manzi, conclusiva dell’edizione 2025 della rassegna “ColtoCircuito. I salotti culturali di Dlive Media”, l’informazione giornalistica è stata restituita alla dignità delle sue origini, quale modalità di osservazione rispettosa e partecipata alle vite degli altri. Iannacone, giornalista, autore televisivo, conduttore di rara sensibilità e professionalità, è da anni impegnato nel rappresentare gli aspetti più profondi, scabrosi, scomodi e autenticamente umani della società contemporanea, ricavandoli dalle immagini e dai racconti diretti dei loro protagonisti. Negli ultimi venticinque anni la sua attività, svolta all’interno della terza rete Rai, lo ha visto redattore del magazine “Okkupati”, inviato di “Ballarò” e “W l’Italia”, co-autore del programma “Presadiretta” e autore di documentari-inchiesta che, più di recente, si presentano come veri e propri docufilm dal forte impatto emotivo e sociale. Come ha evidenziato Manzi, queste storie dal sapore quasi cinematografico, incentrate su fatti reali, osservati dall’interno, condivisi, prendono il via da una ricerca di essenzialità e verità rivelatrice della formazione umanistica di Iannacone, maturata nell’officina linguistica di poeti come Mario Luzi, Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci, Eduardo Sanguineti, all’interno della congiunzione tra giornalismo e letteratura. Si tratta di una matrice che Iannacone ha pienamente manifestato nell’ambito della conduzione di trasmissioni come “I dieci comandamenti” (2013-18), “Che ci faccio qui” (2019), nella realizzazione del podcast di Rai Radio Due “Il sillabario delle emozioni” (2022) e nel cosiddetto “abbattimento della quarta parete”, con il passaggio dallo schermo televisivo al teatro, inteso come spettacolo nato dalla cooperazione tra attori e pubblico. Le sue sono storie autentiche e non storytelling, il suo essere giornalista punta alla rappresentazione di una comunità vissuta e non alla finzione della community, lasciando emergere la possibilità di toccare con mano una modalità libera di fare informazione, senza vincoli, senza manipolazioni strumentali, senza riduzioni e format prefabbricati legati alle esigenze degli sponsor e del mercato televisivo. La poetica di Iannacone, ha continuato Manzi, si fonda sul rapporto simmetrico tra il giornalista e le persone che racconta, di cui condivide disagi e fragilità. Nascono proprio da questa esigenza di condivisione lavori come “La Terra dei fuochi”, realizzato insieme a Don Maurizio Patriciello, “Onora il padre e la madre” (in cui l’amore della figlia di Totò Riina per il padre viene accostato a quello di una famiglia omogenitoriale), le conversazioni “irregolari” con Max Ulivieri, attivista per il diritto alla sessualità dei disabili, in una riscoperta e ridefinizione continua del concetto di moralità, alla luce dei cambiamenti sociali che costringono a rivederne di volta in volta il significato. Si tratta di uno svelamento che – ha aggiunto Iannacone – spiega anche la sua passione per il cinema neorealista, dove gli attori sono persone reali, prese dalla strada, dalle quali registi come Vittorio De Sica riuscivano a tirare fuori emozioni vive e autentiche. Si tratta, appunto, di un processo maieutico che Iannacone mette in atto con i suoi “attori” e protagonisti delle narrazioni e delle storie al centro dei suoi docufilm, senza sapere prima quello che accadrà dopo e avendo sempre ben presente come limite invalicabile il rispetto della dignità delle persone con cui si confronta. Se il messaggio di Iannacone, nel corso degli anni, è arrivato forte e chiaro al pubblico della televisione e, di recente, anche dei teatri, il pubblico di San Marco di Castellabate, che ha riempito tutti i posti a sedere disponibili nonché le gradinate dal porto al lungomare, è stato a sua volta rapito dal ritmo coinvolgente della conversazione tra due professionisti alle prese con le sfide del linguaggio giornalistico. Sul filo della riscoperta dei valori autentici dell’informazione come radiografia della parola e della realtà nel profondo rispetto delle persone, Iannacone, sollecitato da Manzi e attraverso alcuni frammenti dei suoi docufilm, ha messo a nudo una poetica fondata sulla riscoperta dei significati della comunicazione, attraverso un lavoro esplorativo che lo ha portato a raccontare con partecipazione le storie difficili e toccanti di persone e situazioni esistenziali cancellate dai format della TV dei consumi, sostituendo alla superficialità della compressione spazio temporale la condivisione della dimensione umana del mondo.





