La Fondazione Ravello celebra il Rito delle tenebre con Haydn - Le Cronache
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La Fondazione Ravello celebra il Rito delle tenebre con Haydn

La Fondazione Ravello celebra il Rito delle tenebre con Haydn

Saranno le prime parti del Teatro San Carlo ad eseguire “Le ultime sette parole di Cristo sulla croce” nella trascrizione per quartetto d’archi, tra le antiche pietre della chiesa di San Giovanni del Toro

Di Olga Chieffi

La celebrazione del Venerdì Santo era detta “delle Tenebre” in ricordo degli antichi riti notturni attraverso i quali si intendeva rievocare l’oscurità che discese sulla terra alla morte di Cristo e l’immagine della Chiesa che brancola nel buio senza il suo Dio. La Fondazione si affiderà per celebrare in musica il triduo pasquale, alla musica di Franz Joseph Haydn e al suo celeberrimo oratorio, che ascolteremo dagli archi del Teatro San Carlo, in forma di quartetto, “Le ultime sette parole di Cristo sulla Croce”, il 2 aprile alle ore 18.00 sui siti ufficiali www.ravellofestival.com, www.fondazioneravello.it, sulle pagine Facebook della Fondazione e sul portale cultura.regione.campania.it. Haydn compose queste pagine su richiesta di un canonico di Cadice che cercava la colonna sonora per l’emozionale officio delle tenebre. L’ opera del genio tedesco, nacque così per il gran teatro della Passione, di estrazione spagnola, che noi campani abbiamo ereditato: “Circa quindici anni fa – scriveva Haydn – mi fu chiesto da un canonico di Cadice di comporre della musica per Le ultime sette Parole del Nostro Salvatore sulla croce. Nella cattedrale di Cadice era tradizione produrre ogni anno un oratorio per la Quaresima, in cui la musica doveva tener conto delle seguenti circostanze. I muri, le finestre, i pilastri della chiesa erano ricoperti di drappi neri e solo una grande lampada che pendeva dal centro del soffitto rompeva quella solenne oscurità. A mezzogiorno le porte venivano chiuse e aveva inizio la cerimonia. Dopo una breve funzione il vescovo saliva sul pulpito e pronunciava la prima delle sette parole (o frasi) tenendo un discorso su di essa. Dopo di che scendeva dal pulpito e si prosternava davanti all’altare. Questo intervallo di tempo era riempito dalla musica. Allo stesso modo il vescovo pronunciava, poi, la seconda parola, poi la terza e così via, e la musica seguiva al termine ogni discorso. La musica da me composta dovette adattarsi a queste circostanze e non fu facile scrivere sette Adagi di dieci minuti l’uno senza annoiare gli ascoltatori”. Un evento, questo promosso dal Ravello Festival che si attaglia perfettamente ai tempi che stiamo vivendo. L’analisi musicale di “Le sette parole di Cristo” di Haydn, tratte dai Vangeli di Luca e Giovanni, da “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” a “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”, sarà svolta da Eduardo Savarese il giovedì santo alle 16, in Villa Rufolo, un preludio al concerto, che saluterà protagonista  il quartetto d’archi del Teatro San Carlo, formato da Cecilia Laca e Giuseppe Carotenuto al violino, Antonio Bossone alla viola e Luca Signorini al violoncello, che si esibiranno tra le antiche pietre di San Giovanni del Toro, il giorno successivo. Le parole cedono, successivamente, il posto alla musica che, dal maestoso iniziale, attraverso sette stazioni, arriva al vertiginoso “Terremoto” in Do minore, dove raggiunge vette sublimi, grazie anche a un linguaggio strumentale che riesce a penetrare, nel profondo, il dramma di una umanità intera. L’opera è ispirata alle sette frasi pronunziate da Cristo prima di morire. «Pater, dimitte illis quia nesciunt quid faciunt». Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. La parola-chiave è la prima, «pater», evocata dai violini, con un tono contemplativo e malinconico in cui si coglie, oltre alla richiesta di perdono, il disincanto sulla natura di «quelli», di noi esseri umani. «Hodie mecum eris in paradiso». In verità ti dico: oggi sarai con me in paradiso. L’oggi, è l’oggi perfetto: un “Hodie” eterno, che indica quello che sta per accadere nel giro di poche ore e nello stesso tempo dà la misura dell’eternità. Infatti, le note sono: “do-mi-re-si-do”, Haydn parte dal do e torna al do, e poi “sol-do-si-la-sol”, si parte dal sol e torna al sol — quindi si formano come due cerchi”, appunto il simbolo dell’infinito: “Idea consapevole oppure mistero del genio?”. “Mulier, ecce filius tuus”; Donna, ecco tuo figlio. Qui la parola-chiave è “ecce”. Particolarmente toccante è “Deus meus, Deus meus, ut quid derelequisti me?”; Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Per restituire la frase più drammatica, la musica deve esprimere un senso di trascinamento; il suono a un tratto si ferma, come fossero singhiozzi. Mancano le parole riferite da Matteo riguardanti il “Terremoto”, in assenza della Resurrezione. C’è qualche via d’uscita? Quando la parola rivela la sua impotenza, bisogna pensare per immagini. Se le immagini vacillano nel voler catturare il non raffigurabile, rimane la musica. Il grido non è più afono, riacquista la voce mediante la “tavolozza sonora” di un musicista come Franz Josef Haydn, che ha composto le sette suonate nel 1786 per le sette ultime parole del Cristo in croce. I suoni sono i mezzi più immateriali di cui disponiamo per comunicare, dopo i pensieri. Ma è difficile comunicare da pensiero a pensiero. Allora la musica ci viene in aiuto. Haydn crea una composizione dove realizza un perfetto equilibrio tra parole e musica, senza perdere il senso della drammaticità della Crocifissione. Così, nella quinta sonata che si fonda sulla richiesta del Cristo, “Sitio”, ho sete, la musica ci trasporta in questo mondo dove la realtà irrompe con tutta la sua forza e implacabilità. Possiamo, nei tempi oscuri di quest’epoca, trasfigurare dolore e amore in musica? Noi lo crediamo fermamente. Il dolore si può esprimere attraverso il colore o attraverso la musica, c’è infatti chi sostiene che il colore lo si possa ascoltare, come il silenzio. Interpretare significa, scoprire il suono, sia della parola che del colore, tanto l’opera haydniana riesce a conferire al silenzio una ispirazione mistica, un modo di trasfigurare il dramma in elemento musicale e di trasformare il mistero della Croce nel mistero della fede.